Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33432 del 27/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 27/12/2018, (ud. 09/05/2018, dep. 27/12/2018), n.33432

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA E. L. – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo M. – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M. G. – Consigliere –

Dott. GORI P. – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 22243/2011 R.G. proposto da:

COOPERATIVA “LE VERDI MADONIE” (c.f. (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv.

Rosario Calì, domiciliata presso la Segreteria della Corte;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Sicilia, n. 162/24/10 depositata il 10.12.2010 e non notificata.

Udita la relazione svolta nell’adunanza camerale del 9 maggio 2018

dal consigliere Dott. Gori Pierpaolo;

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia (in seguito, CTR), veniva accolto l’appello principale proposto dall’AGENZIA DELLE ENTRATE, dichiarato assorbito l’appello incidentale della COOPERATIVA “LE VERDI MADONIE” (in seguito, la contribuente), e riformata la sentenza emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Palermo n. 347/04/2007, con rigetto del ricorso originario, con il quale era stato impugnato un avviso di accertamento di rettifica del reddito di impresa in dipendenza di operazioni soggettivamente inesistenti di acquisto di animali vivi da macellazione formalmente comprati da rivenditori nazionali ma realmente venduti da cedenti esteri;

– Veniva così riformata la sentenza della CTP, la quale aveva parzialmente accolto il ricorso della contribuente, limitatamente alla somma relativa all’IVA su acquisiti non ammessi a detrazione, sentenza contro la quale le parti avevano proposto appello, sui rispettivi capi di soccombenza;

– La ripresa traeva origine da un processo verbale di constatazione (in seguito, p.v.c.) in cui i militari della Guardia di Finanza, dopo aver verificato la inattendibilità della documentazione contabile della contribuente, avevano ritenuto che due fornitori le avessero venduto sottocosto determinate partite di animali da macellazione; i verbalizzanti procedevano quindi all’accertamento del reddito di impresa e, in particolare, con l’avviso di accertamento oggetto di impugnazione, quanto all’anno di imposta 1999, rettificavano il reddito dell’impresa ai fini IRPEG, oltre che IRAP e IVA, ed irrogando infine la sanzione corrispondente alle violazioni riscontrate;

– Avverso la sentenza della CTR propone ricorso la contribuente affidato a quattro motivi, cui l’Agenzia replica con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– Invertendo l’ordine dei motivi, e partendo senz’altro da quelli attinenti al merito, con il terzo motivo, si deduce l’illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 37, 39 e 40, D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 25 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, per l’asserito illegittimo utilizzo dell’accertamento analitico-induttivo, in mancanza di presunzioni gravi precise e concordanti, ed illegittima inversione dell’onere della prova;

– Con il quarto motivo, si denuncia l’illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 17, comma 1 e art. 19, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c. comma 1, n. 3, per l’asserita mancanza di prove in merito alla presunta inesistenza soggettiva delle operazioni passive;

– I motivi, strettamente connessi e per tale ragione da trattarsi congiuntamente, sono infondati, nei termini che seguono. Sebbene la contribuente si dolga del fatto che nell’avviso di accertamento non sia precisato quale metodo di accertamento abbia seguito l’Amministrazione, in sentenza l’accertamento viene qualificato come analitico-induttivo, dal momento che viene fatto riferimento a presunzioni gravi precise e concordanti e non a c.d. “supersemplici”. Orbene, questa Corte ha stabilito che “In tema d’imposte sui redditi, è legittimo il ricorso all’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 39, comma 1, lett. d), anche in presenza di una contabilità formalmente corretta ma complessivamente inattendibile, potendosi, in tale ipotesi, evincere l’esistenza di maggiori ricavi o minori costi in base a presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, con conseguente spostamento dell’onere della prova a carico del contribuente.” (Cass. 5 novembre 2014 n.23550); inoltre, è assodato che “In tema d’IVA, l’Amministrazione, anche nel caso di regolarità formale della contabilità, può disconoscere la detrazione in ragione di presunzioni semplici basate su dati e notizie apprese da terzi o su accertamenti effettuati presso terzi, atteso l’ampio potere conoscitivo della posizione fiscale, riconosciuto dalla legge e limitato solo dal rispetto dei diritti costituzionali, con conseguente inversione dell’onere della prova, essendo il contribuente tenuto a dare prova dell’infondatezza della pretesa erariale.” (Cass. 16 settembre 2016 n.18232);

– Dunque, in linea di principio, è consentito l’accertamento analitico-induttivo, quale è quello esperito nel caso di specie, in cui è stata esaminata la documentazione contabile offerta dalla contribuente, ma ritenuta non attendibile, pur in presenza di una regolarità formale delle scritture. La ragione di tale inattendibilità emerge, dal richiamo al p.v.c. operato dall’avviso di accertamento e nella parte motiva della sentenza impugnata, ed è la pacifica antieconomicità delle operazioni contestate, come confermato dalla lettura dello stesso ricorso, a pag. 28: “unico isolato indizio in forza del quale l’Ufficio ritiene inesistenti le operazioni di acquisto da parte dei fornitori Subasio Carni s.r.l. e Mediterranea Carni s.r.l. è la rivendita, operata dai due fornitori, delle merci ad un prezzo inferiore a quello di acquisto”;

– Si tratta di un fatto decisivo e pacifico, che dà spessore e riscontro alle risultanze del p.v.c., conformemente alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui “In tema di accertamento induttivo dei redditi d’impresa, consentito dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio e dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate,anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili, perchè proprio una tale condotta è di regola alla base di documenti emessi per operazioni inesistenti o di valore di gran lunga eccedente quello effettivo.” (Cass. 20 giugno 2014 n.14068); non sussiste dunque il vizio di motivazione nè le violazioni di legge denunciate con i mezzi di impugnazione summenzionati, essendo legittimo il ricorso al metodo induttivo sulla base della dimostrata inattendibilità della documentazione contabile;

– Quanto alle operazioni soggettivamente inesistenti, va ricordato che se l’Amministrazione finanziaria contesta che la fatturazione attenga ad operazioni soggettivamente inesistenti, ha l’onere di provare, non solo l’oggettiva fittizietà del fornitore, ma anche la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta, dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi e specifici, che il contribuente era a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo, usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente (Cass. 20 aprile 2018 n.9851);

– Nel caso di specie la CTR ha adeguatamente motivato, principalmente con richiamo al processo verbale di constatazione, il quale ha accertato quanto al profilo oggettivo la non operatività delle due società cartiere, il loro essere solo formalmente fornitrici della merce ed emittenti le fatture portate in detrazione e, elementi rilevanti anche sotto il profilo soggettivo, l’acquisto da parte della contribuente diretto da venditori intracomunitari e l’antieconomicità delle operazioni contestate di cui la contribuente, acquirente della merce a prezzi non di mercato, non poteva non essere consapevole; tale documento è munito di fede privilegiata (Cass. 3 luglio 2014 n.15191), nè può essere disatteso in assenza di motivata intrinseca inattendibilità o di contrasto con altri elementi acquisiti nel giudizio, attesa la certezza, fino a querela di falso, che i documenti su cui si basa sono stati esaminati dall’agente verificatore (Cass. 24 novembre 2017 n.28060) e, nel caso di specie, la contribuente non apporta alcun elemento documentale in senso contrario, nè contesta l’esattezza delle somme e la descrizione delle single operazioni economiche, appuntandosi sulla inversione dell’onere della prova, a suo dire illegittimamente applicata;

– L’Amministrazione ha invece già adempiuto al proprio onere istruttorio per le ragioni sopra esposte e, conseguentemente, la CTR ha correttamente applicato l’inversione dell’onere probatorio, in quanto grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto, non assumendo rilievo, a tal fine, nè la regolarità della contabilità e dei pagamenti, nè la mancanza di benefici dalla rivendita delle merci o dei servizi, onere non assolto nel caso di specie;

– Con il primo motivo, si censura la nullità della sentenza per omessa motivazione, in violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per aver la CTR omesso di pronunciarsi su specifico motivo di appello con cui la contribuente denunciava la mancata statuizione della CTP sull’asserita definizione di tutti i rilievi esposti nel p.v.c. a seguito di domanda di condono L. n. 289 del 2002, ex art. 15, comma 5;

– Con il secondo motivo, si denuncia l’illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 5, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto, in seguito alla definizione con condono dei rilievi contenuti nel p.v.c. ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 15, sarebbe preclusa all’Ufficio la possibilità di rettificare il reddito dell’impresa richiamando le risultanze dell’atto istruttorio definito;

– I motivi possono essere scrutinati congiuntamente, e sono entrambi infondati; premesso che la CTR si è pronunciata sull’appello incidentale, salvo dichiararlo assorbito tanto in parte motiva quanto in dispositivo, la Corte rammenta innanzitutto che l’accertamento impugnato è relativo anche ad Iva all’importazione e, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relativamente all’IVA, dev’essere tenuto conto della sentenza della Corte di Giustizia UE del 17 luglio 2008 la quale, nella causa C-132/06, ha dichiarato l’incompatibilità con il diritto comunitario della legge citata, art. 9, relativamente alla condonabilità dell’IVA, nella parte in cui esso disponeva, come effetto automatico dell’adesione al condono, anche la esclusione di ogni accertamento fiscale e la estinzione delle sanzioni amministrative tributarie;

– Infine, è stato specificamente contestato dall’Agenzia in controricorso l’avvenuto integrale pagamento della somma necessaria per la definizione agevolata, e su ciò la contribuente non solo non ha offerto evidenza diversa, ma non ha nemmeno replicato, con il consapevole difetto di autosufficienza;

– Il ricorso va in conclusione rigettato e, secondo soccombenza, segue il regolamento delle spese di lite, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

la Corte:

rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese di lite, liquidate in Euro 10.100,00 per compensi, oltre Spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 9 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2018

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