Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33423 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. II, 17/12/2019, (ud. 04/07/2019, dep. 17/12/2019), n.33423

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

(art. 380-bis.1 c.p.c.)

sul ricorso (iscritto al N. R.G. 21970/18) proposto da:

B.J.P., (C.F.: (OMISSIS)), B.S. (C.F.:

(OMISSIS)) e H.O. (C.F.: (OMISSIS)), tutti quali eredi di

R.L.T., rappresentati e difesi, in virtù di distinte

procure speciali notarili del 18 e 21 giugno 2012, dagli Avv.ti

Pietro Casavola e Nori Giovanni ed elettivamente domiciliati presso

lo studio del primo, in Roma, v. A. Depretis, 86;

– ricorrenti –

contro

R.S., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso, in virtù

di procura speciale a margine del controricorso, dall’Avv. Goffredo

Gobbi ed elettivamente domiciliato presso il suo studio, in Roma, v.

Maria Cristina, 8;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di appello di Bologna n. 1637/2014,

depositata l’8 luglio 2014 (non notificata).

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Con atto di citazione notificato nel luglio 1987 R.L. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Forlì, il germano R.S. deducendo che: – in data 19 ottobre 1979 era deceduto il padre R.P. lasciando eredi legittimi gli stessi figli L. e S. e la moglie N.G. in ragione di un terzo per ciascuno e che nell’asse ereditario rientrava anche un immobile sito in (OMISSIS), costituito da un fabbricato ad uso abitativo e da un locale ad uso commerciale interamente utilizzati dal fratello come abitazione e per l’esercizio della sua attività commerciale; – che, in data 5 luglio 1982, era deceduta anche la di loro suddetta genitrice per cui la quota di comproprietà del predetto immobile era da suddividersi in parti uguali tra i due figli; – che, però, con atto pubblico del 29 ottobre 1981, la madre aveva alienato al figlio S. la propria quota dell’immobile al prezzo di Lire 60.000.000, ma, tuttavia, tale cessione si sarebbe dovuta ritenere simulata in quanto volta a coprire una donazione in violazione della legittima spettante ad essa attrice quale figlia ed erede di N.G.; – che era suo interesse chiedere lo scioglimento della comunione e la divisione dei beni caduti in eredità; tanto premesso, chiedeva che venisse dichiarata la simulazione del menzionato atto di compravendita intervenuto tra la madre e il fratello S., con conseguente nullità ed inefficacia della dissimulata donazione ed attribuzione ad essa attrice della quota della metà degli immobili e la corresponsione di un’indennità di occupazione pari ad un terzo dalla data del decesso del padre e corrispondente alla metà dalla data di decesso della madre, instando, in via subordinata, per l’attribuzione di un terzo della proprietà degli stessi immobili e di un’indennità di occupazione commisurata a tale quota.

Nella costituzione del convenuto che si opponeva alla domanda, l’adito Tribunale, all’esito dell’esperita istruzione, con sentenza depositata il 12 marzo 2010, accoglieva la domanda di simulazione del contratto di compravendita dedotto in controversia e dichiarava la nullità dello stesso; riconosceva l’indennità di occupazione in favore dell’attrice compensandola in parte con l’indennità per migliorie effettuate dal convenuto; disponeva lo scioglimento della comunione ereditaria ed assegnava all’attrice l’appartamento e al convenuto i residui beni, condannando quest’ultimo alla corresponsione, in favore dell’attrice, di un conguaglio di Euro 71.761,69, ordinando al convenuto il rilascio dell’immobile e regolando le complessive spese giudiziali.

Decidendo sull’appello proposto da R.S. e nella costituzione degli eredi dell’appellata R.L. (riportati in intestazione), la Corte di appello di Bologna, con sentenza n. 1637/2014 (depositata l’8 luglio 2014), accoglieva per quanto di ragione il gravame e, in parziale riforma dell’impugnata decisione, rigettava, in primo luogo, per la ravvisata insussistenza dei relativi riscontri probatori, la domanda di simulazione del contratto di compravendita di cui all’atto pubblico per notaio D. del 29 ottobre 1981, adottando le ulteriori conseguenti statuizioni.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Avverso la suddetta sentenza di appello hanno proposto ricorso per cassazione, riferito a quattro motivi, B.J.P., B.S. e H.O., quali eredi di R.L., al quale ha resistito con controricorso l’intimato R.S..

I difensori di entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c..

1.1. Con il primo motivo i ricorrenti hanno denunciato – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1414 e 1471 c.c. (rectius: art. 1417), per mancato accoglimento della domanda di simulazione del controverso contratto di compravendita, in quanto dissimulante una donazione per carenza di forma, ai sensi dell’art. 782 c.c..

1.2. Con la seconda censura i ricorrenti hanno prospettato – ancora in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – un ulteriore profilo di violazione e/o falsa applicazione degli stessi artt. 1414 e 1417 c.c., per mancato accoglimento della stessa domanda di simulazione, siccome lesiva della quota/porzione ereditaria a loro spettante quali eredi di R.L..

1.3. Con la terza doglianza i ricorrenti hanno dedotto – in ordine all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2729 e 2729 c.c., avuto riguardo all’erronea valutazione del comportamento di controparte in corso di causa e degli altri elementi presuntivi.

1.4. Con il quarto ed ultimo motivo i ricorrenti hanno denunciato la violazione e falsa applicazione degli artt. 232 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver ritenuto ammessi i fatti di causa, in particolare la nullità del contratto oggetto di causa per sua simulazione.

2. Rileva, innanzitutto, il collegio che i motivi, siccome all’evidenza connessi (ruotando tutti intorno alla contestazione – sotto più profili tra loro collegati – dell’impugnata sentenza che ha escluso la simulazione del controverso contratto di compravendita), possono essere esaminati unitariamente.

3. Essi sono infondati per le ragioni che seguono.

Osserva, innanzitutto, il collegio che – con i primi due motivi – risultano dedotte asserite violazioni degli artt. 1414 e 1417 c.c., che attengono, rispettivamente, agli effetti della simulazione tra le parti e ai limiti probatori che vigono in materia di simulazione.

Senonchè, nel caso di specie, non vengono in rilievo profili di criticità riguardanti le due suddette norme poichè, in effetti, la prima investe la disamina dell’efficacia della simulazione, la quale implica la già accertata simulazione, mentre la seconda concerne eventuali aspetti che comportino possibili violazioni dei ristretti limiti istruttori che riguardano propriamente il giudizio per l’accertamento della dedotta simulazione.

Ma, nella vicenda processuale in questione, i ricorrenti, nella spesa qualità di eredi di R.L., si dolgono – a ben vedere – dell’apprezzamento di merito compiuto con l’impugnata sentenza di appello sulla scorta delle acquisite emergenze probatorie in virtù del quale la Corte territoriale è pervenuta al risultato di escludere la configurazione della denunciata simulazione (come ritenuta dall’originaria attrice R.L. sul presupposto che l’apparente vendita dissimulasse, in realtà, una donazione, da assoggettare, tuttavia, alla forma prescritta dall’art. 782 c.c.) – con tutte le relative conseguenze di legge in ordine alla divisione iure hereditatis – riferita alla cessione di cui all’atto pubblico del 29 ottobre 1981, con cui la madre della loro genitrice ( R.L.) aveva alienato al figlio S. (germano di L.) la propria quota dell’immobile di cui in narrativa caduto nell’eredità di R.P. (coniuge premorto della cedente) al prezzo di Lire 60.000.000. Sono, invece, inerenti all’aspetto valutativo della prova circa l’esclusa sussistenza della dedotta simulazione il terzo e quarto motivo, i quali, tuttavia, non possono essere accolti sia per non essersi configurato l’omesso esame di fatti decisivi in senso contrario sia per la condivisione del ragionamento logico operato dalla Corte emiliana sulla ravvisata insussistenza di un quadro propriamente indiziario tale da condurre – in modo univoco – al risultato della dichiarazione di simulazione.

A tal proposito, infatti, il giudice di appello – nell’esercizio del potere conferitogli dall’art. 116 c.p.c. – ha ritenuto determinante la circostanza, incontestatatamente acquisita al giudizio, che la Navacchia (quale cedente della sua quota immobiliare) aveva certamente ricevuto il suddetto importo di 60.000.000 di Lire siccome attestato da corrispondenti assegni circolari, nel mentre era rimasta sprovvista di idoneo riscontro probatorio la circostanza che detta somma fosse stata riconsegnata al figlio S., rilevando che – a quest’ultimo fine – non era stata acquisita alcuna prova di eventuali versamenti e che si sarebbe dovuta considerare irrilevante l’ulteriore allegazione che della somma stessa non fosse stata rinvenuta alcuna traccia nella dichiarazione della successione della N.G. (non potendosi escludere che la medesima fosse stata spesa dalla cedente per sue esigenze o per ragioni varie, tenuto conto che ella aveva vissuto per altri otto mesi prima del suo decesso).

Alla stregua di tali risultanze la Corte felsinea ha rilevato che la figlia R.L. (a cui sono succeduti quali eredi gli odierni ricorrenti) non avesse assolto ad un’idonea prova contraria circa l’asserita simulazione della cessione onerosa operata dalla madre in favore dell’altro figlio S., non emergendo altri sicuri elementi – tali da concretare indizi univoci e concordanti (diversamente da quanto asserito dai ricorrenti), in relazione al disposto di cui all’art. 2729 c.c., nell’ambito di un complessivo quadro probatorio – dai quali evincere la configurazione dell’addotta simulazione.

In tal senso – ovvero sulla base della primaria rilevanza attribuita alle suddette acquisite circostanze (con particolare riguardo all’effettività dell’avvenuto pagamento del prezzo) – la Corte territoriale ha considerato implicitamente prive di rilevanza le ulteriori circostanze (indicate dai ricorrenti) riguardanti la cura degli interessi della madre da parte del figlio S. ed il mancato deposito del fascicolo di parte dello stesso contenente la prova del deposito e dell’incasso degli assegni circolari, dal momento che, peraltro, con riferimento a quest’ultima, il giudice di appello ha ritenuto che essa fosse incontestata, come, invero, aveva già accertato essere il giudice di primo grado. Pertanto, non può ritenersi essersi configurato il denunciato omesso esame di fatti decisivi (non potendo quelli prospettati nell’interesse dei ricorrenti ritenersi tali).

In sostanza, quindi, il giudice di appello ha fornito una sufficiente motivazione del suo convincimento sul merito della causa, da ritenersi, perciò, non censurabile in questa sede, siccome sorretto da un adeguato percorso argomentativo sotto il profilo logico e giuridico (v., per tutte, Cass. n. 22801/2014).

Quanto all’ulteriore doglianza (costituente oggetto specifico del quarto motivo) della mancata valorizzazione dell’omessa comparizione del R.S. all’interrogatorio formale deferitogli in ordine alle circostanze fattuali dedotte dalla difesa della sorella L., la Corte territoriale – proprio sulla base della insussistenza di elementi di giudizio integrativi (non essendo stati valutati come tali quelli offerti dalla R.L.) – ha escluso che potesse derivarne la conseguenza prevista dall’art. 232 c.p.c., comma 1.

A questo riguardo va riconfermato l’orientamento giurisprudenziale di questa Corte (cfr. Cass. n. 6697/2009 e Cass. n. 17719/2014), alla cui stregua la mancata risposta all’interrogatorio formale costituisce un comportamento processuale qualificato che, nel quadro degli altri elementi probatori acquisiti, può fornire elementi di valutazione idonei ad integrare il convincimento del giudice sulle circostanze articolate nei singoli capitoli, precisandosi, però, che, qualora lo stesso giudice ritenga che i fatti dedotti non siano suffragati da alcun elemento di riscontro, può negare ad essi valore probatorio senza però prescindere dalla valutazione del risultato del mezzo istruttorio e dall’espressa menzione delle ragioni che sorreggono il proprio negativo apprezzamento (operazioni, queste ultime, che la Corte bolognese ha idoneamente compiuto).

4. In definitiva, per le ragioni complessivamente svolte, il ricorso deve essere rigettato, con la conseguente condanna dei soccombenti ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.

Va dato, infine, anche atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, in solido, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, comma 1.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido fra loro, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessive Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre iva, cap e contributo forfettario nella misura del 15% sulle voci come per legge.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, con vincolo solidale, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 4 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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