Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33422 del 27/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 27/12/2018, (ud. 14/09/2018, dep. 27/12/2018), n.33422

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI IASI Camilla – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. STALLA Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17040-2012 proposto da:

ARCO SPEDIZIONI SPA, in persona dell’Amministratore unico e legale

rappresentante pro tempore elettivamente domiciliato in ROMA VIA G.

BAZZONI 3 presso lo studio dell’avvocato FABRIZIO PAOLETTI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALFREDO SARDELLA,

giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

COMUNE BENTIVOGLIO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA GIUSEPPE AVEZZANA 1, presso lo studio

dell’avvocato LORENZO SCIUBBA, rappresentato e difeso dagli avvocati

RUGGERO MOLLO, ANTONIO MOLLO, giusta delega in calce;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1/2012 della COMM.TRIB.REG. di BOLOGNA,

depositata il 09/01/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/09/2018 dal Consigliere Dott.ssa FASANO ANNA MARIA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PAOLA MASTROBERARDINO, che ha concluso per l’inammissibilità in

subordine l’accoglimento del 2 motivo di ricorso, l’inammissibilità

del 1 motivo, assorbiti gli altri;

udito per il ricorrente l’Avvocato SARDELLA ALFREDO, che si riporta

agli scritti;

udito per il controricorrente l’Avvocato MOLLO RUGGERO, che si

riporta agli scritti e deposita sentenza Commissione Tributaria

Regionale di Bologna n. 1714/17 del 15/12/16.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società Arco Spedizioni S.p.A., svolgente attività di autotrasporto merci per conto terzi e gestione merci nell’interporto bolognese di Bentivoglio, disponeva di due magazzini, il primo (mq. 3119) al blocco 2.2. dal 1.2.2004, ed il secondo (mq. 2996) al blocco 3.2. dal 1.7.2007. La contribuente riteneva di non dovere il pagamento della TARSU in quanto nel primo magazzino si producevano imballaggi terziari, smaltiti autonomamente mediante ditte autorizzate, mentre nel secondo, di puro transito, non vi era produzione di rifiuti. In particolare, deduceva che l’attività svolta nel magazzino al blocco 2.2 dava luogo a rifiuti di imballaggio terziario, costituiti da bancali in legno, cartone e plastica di avvolgimento, che la ricorrente aveva l’onere di recuperare e smaltire a proprie spese.

La società, ai fini TARSU, presentava denuncia con raccomandata del 14.4.2004, mentre con raccomandata del 1.8.2005 depositava al Comune di Bentivoglio ulteriore richiesta di esenzione dal pagamento della tassa.

La contribuente proponeva ricorso contro il ruolo con riferimento all’anno 2008, accolto dalla CTP di Bologna con sentenza n. 4/2/10 del 19.1.2010. La sentenza veniva impugnata dall’ente comunale innanzi alla CTR dell’Emilia Romagna che, con pronuncia n. 1 del 9.1.2012, ordinava la determinazione della TARSU in base all’art. 20 bis del regolamento comunale. La contribuente impugnava una cartella di pagamento per TARSU relativa all’anno 2009 innanzi alla CTP di Bologna che, con sentenza n. 24/11/11, respingeva il ricorso. La decisione veniva appellata da Arco Spedizioni innanzi alla CTR, che ordinava, con sentenza n. 2 del 9.1.2012, la determinazione della TARSU in base al regolamento comunale, art. 20 bis.

La contribuente, infine, con riferimento all’anno 2007, impugnava la cartella di pagamento relativa al solo magazzino sito al blocco 3.2 innanzi alla CTP di Bologna che, con sentenza n. 179/11/10, respingeva il ricorso. L’appello proposto dalla società veniva deciso dalla CTR con sentenza n. 3 del 9.1.2012, che determinava la riduzione della TARSU in base al regolamento comunale, art. 20 bis. La società Arco Spedizioni S.p.A. propone ricorso cumulativo avverso le tre sentenze, svolgendo nove motivi. Il Comune di Bentivoglio si è costituito con controricorso. La società Arco Spedizioni ed il Comune di Bentivoglio hanno presentato memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di ricorso si censurano le sentenze n. 1 e 2 che pronunciano sugli anni 2008 e 2009, in relazione al magazzino blocco 2.2., per violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 72, art. 97 Cost., L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 1 e del Regolamento comunale TARSU, art. 24, atteso che le sentenze omettono ogni esame della orginaria denuncia delle superfici, inoltrata con raccomandata del 14.5.2004 che il Comune ha ricevuto il 21.5.2004, con cui veniva comunicato il trasferimento dal blocco 1.1. al blocco 2.2 dello stesso inter-porto e contestualmente richiesta la “detassazione” del magazzino, in quanto nello stesso venivano prodotti scarti di imballaggi terziari avviati al recupero. Le sentenze sarebbero errate nella parte in cui riterrebbero legittimi i ruoli perchè coerenti con il modulo di dichiarazione 2004, come se il contribuente non avesse chiesto l’esenzione dalla tassa. Ciò in violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 72, secondo cui si può iscrivere a ruolo l’importo liquidato “sulla base delle denunce presentate”, in assenza dl ruoli dell’anno precedente o di accertamenti notificati.

2. Con il secondo motivo di ricorso si censurano le sentenze n. 1 e 2, denunciando la violazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62, comma 3 e del Regolamento comunale, art. 16, comma 1, nonchè falsa applicazione del predetto Regolamento, art. 20 bis, atteso che vi sarebbe insanabile contraddittorietà tra la affermata causa di esclusione dalla tassa per superfici di ordinaria produzione di rifiuti speciali e l’ipotizzata facoltà comunale di prevedere le modalità di tassazione di tali superfici. Le impugnate sentenze concludono sostenendo che la tassa deve essere calcolata deducendo dall’importo corrispondente all’intera superficie la somma pagata dalla società Arco per lo smaltimento dei rifiuti speciali. Parte ricorrente lamenta che per capire la soluzione dettata dalle decisioni occorre leggere il penultimo capoverso della sentenza n. 1, o i rispettivi dispositivi ove viene richiamato l’art. 20 bis del regolamento comunale. La disposizione non comporterebbe alcuna riduzione della superficie tassabile, laddove è proprio sulla superficie tassabile che i comuni possono esercitare la potestà attribuita dal secondo periodo dell’art. 62 comma 3, in funzione della illustrata finalità cui la norma intende assolvere.

3. Con il terzo motivo di ricorso si censurano le sentenze n. 2 e n. 3 per difetto di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Parte ricorrente deduce che tutte e tre le sentenze ordinano la determinazione della TARSU in base al regolamento comunale, art. 20 bis. Ma se per la sentenza n. 1 ciò è avvenuto in base alla richiesta subordinata dell’appellante, per la sentenza n. 2 e n. 3 non vi sarebbe stata alcuna richiesta delle parti in tal senso.

4.Con il quarto motivo di ricorso si censurano le sentenze n. 1 e n. 2, per omessa pronuncia con riferimento al D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 195, comma 2, lett. e).

5. Con il quinto motivo di ricorso si censurano le tre sentenze impugnate per omessa pronuncia sull’assenza del servizio pubblico, persino vietato per il magazzino al blocco 2.2. e privo di contenuto per il magazzino al blocco 3.2., incorrendo nel vizio di non corrispondenza tra chiesto e pronunciato.

6. Con il sesto motivo di ricorso si censurano le sentenze impugnate per violazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., sulla denunciata assenza del servizio pubblico, stante l’assoluta genericità e non pertinenza delle repliche avversarie.

7. Con il settimo motivo di ricorso si censurano le sentenze impugnate denunciando omessa motivazione sulle prove offerte e richieste. Si argomenta che in relazione al magazzino di puro transito al blocco 3.2. e al blocco 2.2. la contribuente aveva presentato perizia giurata illustrando che nello svolgimento dell’attività non si produceva alcun genere di rifiuti perchè la merce veniva movimentata ed esitata negli stessi imballi di ingresso, sulla cui valenza la CTR omette di pronunciarsi.

8. Con l’ottavo motivo di ricorso si censurano le sentenze impugnate, denunciando violazione della legislazione comunitaria, atteso che non risulterebbe comprensibile come quanti onerati dell’obbligo di provvedere direttamente al recupero o smaltimento di rifiuti al di fuori di qualsiasi privativa comunale, vengano pure assoggettati all’imposizione derivante dalla privativa. Si conclude chiedendo il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, ai sensi dell’art. 267 del Trattato del 25.3.57 nel testo consolidato con le modifiche apportate a Lisbona il 13.12.07, perchè si stabilisca se il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 62 e, in genere, se le norme dell’ordinamento italiano che assoggettino a privativa comunale e al relativo tributo le superfici ove di regola si formano rifuti speciali costituiti da imballaggi terziari, pur dopo aver posto gli oneri per il loro recupero o smaltimento a carico dei produttori o degli utilizzatori, costituiscano violazione delle norme comunitarie sulla concorrenza, liberalizzazione dei servizi e tutela ambientale di cui agli artt. 56, 59, 101, 103, 106, 113, 119, 120, 191 del Trattato, e delle relative direttive comunitarie.

9. Con il nono motivo di ricorso si censurano le sentenze impugnate per violazione di norme costituzionali, pur affrontate dalla CTR in via preliminare, senza che sia stata presa piena contezza della complessa problematica.

10. In via preliminare ed assorbente vanno esaminate le due eccezioni di inammissibilità del ricorso per cassazione proposte da parte controricorrente con controricorso.

a) La prima eccezione riguarda l’inammissibilità del ricorso per cassazione cumulativo avverso tre distinte sentenze. Si argomenta che i vizi denunciati riguardano solo due delle tre sentenze impugnate (con il terzo motivo di ricorso la n. 2 e n. 3 e con il quarto mezzo la n. 1 e n. 2), cosicchè si è dell’avviso che non potendo il giudice nomofilattico adito “dar vita ad un giudicato rilevabile d’ufficio in tutte le controversie relative al medesimo rapporto di imposta”, dovrebbe dichiarare l’inammissibilità del ricorso. Inoltre, si sostiene che difficilmente la Corte adita potrebbe trovare un’unica soluzione per tutte le sentenze che dipenda da identiche questioni di diritto comuni a tutte le cause, vista la diversità del petitum e di causa pe-tendi dei procedimenti conclusi con le sentenze impugnate. Le sentenze n. 1-2/20/12 della CTR di Bologna hanno riguardato entrambi gli immobili di proprietà della società, mentre la sentenza n. 3/20/12 della medesima Commissione regionale ha riguardato esclusivamente il magazzino posto al blocco 3.2.

b) La seconda eccezione riguarda la violazione del principio di autosufficienza, atteso che non sarebbe stata ricostruita in modo adeguato ed intellegibile la vicenda processuale relativa ai tre distinti giudizi di merito, conclusosi con le sentenze impugnate ed, in particolare, non sarebbero state specificamente indicate le questioni poste all’attenzione dei singoli giudici di merito e le rispettive statuizioni da questi ultimi assunte, in primo ed in secondo grado, in ordine alle doglianze proposte innanzi alla Corte. Inoltre, la società ricorrente, limitandosi ad allegare al ricorso in esame le sole sentenze impugnate e le relative istanze ex art. 369 c.p.c., non ha nemmeno provveduto al deposito degli atti processuali su cui si fonderebbe la domanda proposta nei tre distinti procedimenti, ossia gli appelli proposti e, soprattutto, gli ulteriori documenti posti a fondamento dei motivi di ricorso; per tale ragione deve essere dichiarata l’improcedibilità ex art. 369 c.p.c., commi 1, 2 e 4.

10.1. La prima eccezione è fondata.

Questa Corte ha precisato che: “In materia tributaria è ammissibile, fermi restando gli eventuali obblighi tributari del ricorrente, in relazione al numero dei provvedimenti impugnati, il ricorso cumulativo avverso più sentenze emesse tra le stesse parti, sulla base della medesima “ratio”, in procedimenti formalmente distinti ma attinenti allo stesso rapporto giuridico d’imposta, pur se riferiti a diverse annualità, ove i medesimi dipendano per intero dalla soluzione di una identica questione di diritto comune a tutte le cause, in ipotesi suscettibile di dare vita ad un giudicato rilevabile d’ufficio in tutte le cause relative al medesimo rapporto d’imposta” (Cass. n. 4595 del 2017).

In sostanza, il ricorso cumulativo contro una pluralità di sentenze emesse in materia tributaria, anche se formalmente distinte, perchè relative a differenti annualità, deve consentire alla Corte una medesima soluzione delle questioni trattate, quindi stesso rapporto di imposta, questioni di diritto comuni a tutte le cause, in modo da dare vita ad un giudicato rilevante per tutte le controversie oggetto del ricorso (Cass. S.U. n. 3692 del 2009; Cass. n. 15582 del 2010; Cass. n. 8075 del 2013; Cass. n. 4595 del 2017). Il ricorso cumulativo, dunque, è ammissibile solo ove i diversi procedimenti non solo si svolgono tra le stesse parti ed attengono al medesimo rapporto giuridico di imposta, pur riguardando situazioni giuridiche formalmente distinte in quanto si riferiscono a diverse annualità, ma soprattutto dipendano per intero dalla soluzione di una identica questione di diritto comune a tutte le cause ed in ipotesi suscettibile di dare vita ad un giudicato rilevabile d’ufficio in tutti i giudizi relativi al medesimo rapporto di imposta, presupposti, tutti, che non sussistono nel caso che occupa. Va, inoltre, precisato che i singoli motivi non censurano simultaneamente tutte le sentenze, essendo prevalentemente riferiti ad alcune delle tre impugnate. Nella fattispecie, pertanto, la Corte dovrebbe pronunciarsi su un ricorso che concerne sentenze riguardanti procedimenti diversi, e non tutte nell’ambito di un unico rapporto processuale, riferite a diverse controversie di imposta (si impugnano un avviso di pagamento e cartelle di pagamento), relative a periodi diversi e riferite, soprattutto, a diverse fattispecie impositive (blocco 2.2. e blocco 2.3), ove le soluzioni giuridiche prospettate, in relazione alle stesse, sono naturalmente diversificate.

Nel processo tributario, inoltre, il D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 non prevede alcuna specifica disposizione in ordine al cumulo dei ricorsi, rinviando l’art. 1, comma 2, alle norme del c.p.c. per quanto da esso non disposto e nei limiti della loro compatibilità.

A tale riguardo, va rilevato come l’opzione processuale di proporre con un unico atto diverse impugnazioni attribuirebbe alla parte il potere di disporre in tal modo la riunione dei procedimenti concernenti le impugnazioni proposte, sottraendo il relativo potere al giudice, ovvero imponendo al predetto giudice l’esercizio di tale potere che conserva, invece, natura discrezionale, laddove l’art. 335 c.p.c. impone la riunione solo nel caso di impugnazioni proposte avverso la medesima sentenza. Ne consegue che l’ammissibilità del ricorso cumulativo è consentito solo nell’ipotesi in cui, non ravvisabile nella fattispecie in esame, sia consentito alla Corte (v. Cass. SS.UU. n. 13916 del 2016) di dare vita ad un giudicato rilevabile d’ufficio in tutte le cause relative al medesimo rapporto di imposta (v. Cass. SS.UU. n. 3692 del 2009).

10.2. Da siffatti rilievi consegue che, nella specie, il ricorso cumulativo è inammissibile, tenuto conto anche del fatto che i motivi proposti non sono riferibili a tutte le sentenze impugnate e, quindi, non investono le medesime questioni di diritto. Invero, alcune delle doglianze illustrate da parte ricorrente riguardano la tassabilità del blocco 2.2. e, in particolare, con il primo motivo di ricorso si impugnano solo le sentenze n. 1 e n. 2, con il secondo motivo di ricorso si impugnano solo le sentenze n. 1 e n. 2, con il terzo motivo di ricorso solo la n. 2 e n. 3, mentre con il quarto si impugnano ancora solo la n. 1 e la n. 2.

11. In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte soccombente al rimborso delle spese di lite che liquida in complessivi Euro 2.900,00, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 14 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2018

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