Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33422 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. II, 17/12/2019, (ud. 03/07/2019, dep. 17/12/2019), n.33422

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14344/2015 proposto da:

FORNI COOP. SOC. COOP., rappresentata e difesa dall’Avvocato CARLOTTA

MATTEI ed elettivamente domiciliata a Roma, via Pasubio 15, presso

lo studio dell’Avvocato DARIO PICCIONI, per procura speciale in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

COPARI SOC. COOP. IN CONCORDATO PREVENTIVO e, rappresentata e difesa

dall’Avvocato ALESSANDRO PEDRIZZI, l’Avvocato PARIDE AGNOLETTI e

l’Avvocato UGO PETRONIO, presso il cui studio a Roma, via Fauro

Ruggero 43, elettivamente domicilia per procura speciale a margine

del controricorso;

– controricorrente –

TRADING S.R.L., rappresentata e difesa dall’Avvocato FILIBERTO

PERELLI ed elettivamente domiciliata a Roma, via Piero Aloisi 29,

presso lo studio dell’Avvocato BRUNO TEMPESTA, per procura speciale

in calce al controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

M.A., rappresentato e difeso dall’Avvocato GIOVANNI B.

GHINI e elettivamente domiciliato a Roma, viale di Villa Massimo 36,

presso lo studio dell’Avvocato RENATO DELLA BELLA, per procura

speciale a margine del controricorso;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

UNIPOL SAI ASSICURAZIONI S.P.A., rappresentata e difesa dall’Avvocato

PAOLO GELLI ed elettivamente domiciliata presso il suo studio a

Roma, via Carlo Poma 4, per procura speciale a margine del

controricorso;

– controricorrente –

nonchè

CONDOMINIO (OMISSIS);

– intimato –

e con l’intervento della:

COPARI SOC. COOP. IN LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA,

rappresentata e difesa dall’Avvocato ALESSANDRO PEDRIZZI, l’Avvocato

PARIDE AGNOLETTI e l’Avvocato UGO PETRONIO, presso il cui studio a

Roma, via Fauro Ruggero 43, elettivamente domicilia per procura

speciale a margine della memoria depositata in data 28/3/2019;

– interventore –

avverso la sentenza n. 400/2015 della CORTE D’APPELLO DI BOLOGNA,

depositata il 26/2/2015;

udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del

3/7/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DONGIACOMO;

sentito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto

Procuratore Generale della Repubblica, Dott. MISTRI Corrado, il

quale ha concluso per la parziale inammissibilità e nel resto e

comunque per il rigetto del ricorso principale e per il rigetto dei

ricorsi incidentali;

sentito, per la FORNI COOP, l’Avvocato DARIO PICCIONI;

sentito, per la COPARI SOC. COOP., l’Avvocato ALESSANDRO PEDRIZZI;

sentito, per il controricorrente M.A., l’Avvocato GIOVANNI

B. GHINI;

sentito, per la controricorrente UNIPOL SAI ASSICURAZIONI S.P.A.,

l’Avvocato PILADE PERROTTI, per delega dell’Avvocato PAOLO GELLI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Condominio (OMISSIS) ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di Ravenna, la coop. Copari deducendo che, con contratto d’appalto dell’1/4/1997, aveva commissionato alla società convenuta l’esecuzione di lavori di impermeabilizzazione di alcune cantine del fabbricato condominiale e che, con scrittura privata integrativa del 16/5/1999, la convenuta si era impegnata ad eseguire i lavori di ripristino essendo stata riscontrata la presenza di acqua nelle cantine.

Il Condominio, quindi, riscontrata l’esistenza di continui e copiosi allagamenti delle cantine ed espletato un accertamento tecnico preventivo, ha rilevato che a carico della convenuta era configurabile una responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 1669 c.c., in considerazione della gravità dei vizi e dell’evidente pericolo di rovina.

Il Condominio ha chiesto la risoluzione del contratto d’appalto e della successiva scrittura integrativa nonchè la condanna della convenuta alla restituzione del corrispettivo di Lire 16.500.000 ed al risarcimento dei danni consistenti negli esborsi necessari per i lavori di ripristino e nella mancata utilizzazione delle cantine allagate.

La coop. Copari si è costituita in giudizio contestando il fondamento della domanda ed eccependo, innanzitutto, di aver affidato all’ing. M.A. l’incarico di eseguire il calcolo, la progettazione e la direzione dei lavori di una soletta armata in calcestruzzo, la cui fornitura e posa in opera rientrava nelle opere appaltate dal Condominio, ed, in secondo luogo, di avere subappaltato alla società coop. Forni tutti i necessari interventi edili.

La società convenuta, inoltre, ha dedotto che, essendosi verificate infiltrazioni apparentemente riferibili a cedimenti della soletta, aveva affidato alla Trading s.r.l. l’esecuzione, a spese della stessa convenuta, di un ulteriore trattamento impermeabilizzante, in seguito al quale, peraltro, erano comparse altre infiltrazioni che avevano reso necessari ulteriori interventi della Trading, risultati, tuttavia, inutili.

La società convenuta, quindi, dopo aver ha chiesto il rigetto della domanda attorea, ha provveduto a chiamare in causa l’ing. M.A. nonchè le subappaltatrici coop. Forni e Trading s.r.l. per essere tenuta indenne di quanto avesse dovuto corrispondere all’attore ed, in ogni caso, per ottenere dalle stesse il risarcimento dei danni, nonchè la condanna, in solido, dell’ing. M. e della coop. Forni al rimborso di quanto corrisposto alla Trading per l’esecuzione del trattamento di impermeabilizzazione.

L’ing. M. ha contestato la propria responsabilità ed, a sua volta, ha chiamato in causa la Sapa Assicurazioni s.p.a. per essere manlevato dalla stessa.

Si è costituita in giudizio la Winterthur Assicurazioni (già Sapa Assicurazioni s.p.a.) la quale, tra l’altro, ha contestato l’operatività della garanzia assicurativa, non essendosi verificato nè essendo stato dedotto il crollo totale o parziale dell’opera al quale le condizioni della polizza subordinavano la copertura.

La Trading s.r.l. si è costituita in giudizio contestando la fondatezza nel merito della domanda proposta dalla Copari e la decadenza della garanzia.

La coop. Forni è rimasta, invece, contumace.

Il tribunale, con sentenza del 20/7/2007, ha ritenuto la responsabilità del progettista e direttore dei lavori, ing. M., nonchè dell’appaltatrice, coop. Copari, ed ha, quindi, dichiarato la risoluzione, ai sensi dell’art. 1668 c.c., del contratto d’appalto stipulato tra il Condominio e la Copari, condannando quest’ultima alla restituzione del corrispettivo dell’appalto, pari ad Euro 8.521,00, nonchè, in solido con l’ing. M. e con la compagnia di assicurazioni, al risarcimento dei danno, nella misura di Euro 4.823,00, pari alla spesa necessaria alla eliminazione dei vizi, oltre alle spese processuali.

La coop. Copari ha proposto appello avverso tale sentenza. L’appellante, in particolare, senza contestare la pronuncia di risoluzione del contratto d’appalto e la condanna a suo carico al risarcimento dei danni nei confronti del Condominio, ha censurato la sentenza nella parte in cui il tribunale non ha ritenuto la responsabilità prevista dall’art. 1669 c.c., nei suoi confronti in capo al progettista e direttore dei lavori e delle imprese subappaltatrici Forni e Trading e non ha pronunciato a loro carico la condanna al risarcimento dei danni.

Hanno proposto appello incidentale la Aurora Assicurazioni (già Winterthur Assicurazioni), la Trading e l’ing. M..

La corte d’appello di Bologna, con la sentenza in epigrafe, ha, sia pure in parte, riformato la pronuncia del tribunale.

La corte, in particolare, per quanto ancora rileva, ha, innanzitutto, ritenuto che nessun dubbio può porsi in ordine alla responsabilità dell’ing. M. nella sua veste di progettista e di direttore dei lavori, deponendo in tal senso gli accertamenti svolti dal consulente tecnico d’ufficio in ordine alle carenze di progetto “per la mancanza sia dei necessari dettagliati disegni esecutivi con l’indicazione specifica dello spessore dei copriferri, sia delle disposizioni relative alla qualità dei materiali da impiegare con particolare riferimento al tipo di calcestruzzo da utilizzare”.

Per ciò che riguarda l’esecuzione delle opere, ha aggiunto la corte, le cause delle infiltrazioni – “che già in sede di accertamento tecnico preventivo il Consulente… aveva attribuito alla non corretta esecuzione della soletta in c.a. in quanto la rete elettrosaldata d’armatura non era stata posta all’intradosso della soletta per renderla solidale all’esistente” e che, in sede di consulenza tecnica d’ufficio, il consulente ha ricondotto alla scarsa coesione tra la parete verticale e quella orizzontale, all’assenza di elementi specifici impermeabilizzanti, alla inidonea posatura dei ferri della parete verticale e all’erronea misurazione del copriferro, oltre che al ritiro del calcestruzzo utilizzato – vanno imputate in pari misura “all’imperizia e alla negligenza tanto del direttore dei lavori, quanto della subappaltatrice FORNI soc. Coop. r.l., che ha materialmente eseguito la soletta”: “l’ing. M. avrebbe infatti dovuto diligentemente dirigere e controllare la corretta esecuzione della soletta, segnalando tempestivamente eventuali errori di posizionamento dei vari elementi o eventuali difformità dal progetto dallo stesso elaborato al fine di consentire la tempestiva adozione dei necessari rimedi”.

Nè rileva, ha aggiunto la corte, il fatto, dallo stesso eccepito, che le imprese subappaltatrici hanno agito in autonomia senza preventivamente consultarlo, dato che era “suo onere, quale direttore dei lavori, fornire precise istruzioni ed assicurarsi che le stesse venissero rispettate, e quindi sorvegliare diligentemente la realizzazione delle opere e predisporre un calendario dei lavori che potesse garantire la sua presenza in cantiere quando era necessario”.

L’ing. M., del resto, ha proseguito la corte, era stato subito informato delle problematiche relative alla comparsa d’infiltrazioni e fessurazioni nella soletta da lui progettata ed avrebbe, quindi, potuto segnalare per tempo l’errata posa dei ferri di armatura (essendosi recato in cantiere subito dopo l’inizio dei lavori, quando i ferri erano stati posati ma l’opera non ancora ultimata) e consigliare il rifacimento della soletta anzichè suggerire ulteriori interventi, poi affidati alla Trading da lui stesso indicata, e rivelatisi del tutto inutili.

L’ing. M., in effetti, ha aggiunto la corte, con una missiva trasmessa alla Copari in data 1/4/1998, aveva elencato dettagliatamente gli errori commessi in sede di esecuzione (e cioè l’erroneo posizionamento della rete elettrosaldata, l’utilizzo di leganti non idonei, l’erroneo aumento di spessore della soletta) dei quali, però, se avesse diligentemente svolto la direzione dei lavori, avrebbe dovuto rendersi conto tempestivamente in corso d’opera.

Dei difetti dell’opera, ha aggiunto la corte, deve rispondere in pari misura la coop. Forni che ha provveduto alla realizzazione dei lavori che la Copari le aveva subappaltato ed indicati nel contratto del 16/5/1997, a nulla rilevando il fatto che la stessa abbia operato in conformità di un progetto, obbedendo alle direttive impartite dal direttore dei lavori: l’appaltatore, infatti, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente ed, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister. In difetto di tale prova, che nella specie non è stata offerta, l’appaltatore, ha concluso la corte, è tenuto a titolo di responsabilità contrattuale derivante dalla sua obbligazione di risultato a rispondere dei vizi dell’opera senza poter invocare l’efficacia esimente di eventuali errori nelle disposizioni ricevute.

La società Trading, invece, ha proseguito la corte, risponde dell’inutilità del successivo intervento d’impermeabilizzazione dalla stessa eseguito e rivelatosi del tutto insufficiente.

La corte, al riguardo, dopo aver escluso la novità della domanda proposta nei suoi confronti dalla Copari, essendo rimasta immutata la prospettazione in fatto sulla quale quest’ultima aveva fondato la sua originaria domanda nei confronti della Trading, la cui qualificazione spetta al giudice, ha ritenuto l’infondatezza delle eccezioni di prescrizione e di decadenza sollevate dalla Trading. In ordine a quest’ultima, in particolare, la corte ha osservato, innanzitutto, che la fattispecie è riconducibile all’art. 1669 c.c., posto che tra i gravi difetti previsti dalla norma indicata rientrano anche le infiltrazioni d’acqua causate da difetti di impermeabilizzazione, ed, in ogni caso, che la Trading ha pacificamente riconosciuto l’esistenza del vizio ed è più volte intervenuta gratuitamente per porvi rimedio: ed il riconoscimento del vizio da parte dell’appaltatore, che può attuarsi in qualsiasi forma attraverso un comportamento incompatibile con la volontà di eccepire la decadenza, quale, appunto, l’adoperarsi per eliminare il vizio, implica comunque la rinuncia ad avvalersi della decadenza anche se l’appaltatore nega di dover rispondere del vizio di cui ha riconosciuto l’esistenza.

Nè, ad escludere la garanzia dovuta dalla Trading, rileva il fatto che la stessa non era a conoscenza dei difetti delle opere eseguite dalla coop. Forni, trattandosi di un’affermazione che, ha osservato la corte, risulta smentita dalla documentazione prodotta in giudizio: prima di dar corso all’intervento, infatti, la Trading era stata compiutamente informata di tutte le problematiche emerse e dettagliatamente indicate dall’ing. M. nella missiva indirizzata a Copari il 27/3/1998, avendo partecipato, tramite il proprio tecnico, all’incontro avvenuto per la relativo risoluzione in data 1/4/1998 presso la sede della Copari con l’ing. M. e la società Forni.

Nè, del resto, ha aggiunto la corte, la Trading può addurre a sua discolpa il fatto di avere manifestato parere contrario all’eliminazione del foro che si trovava nella soletta e nel quale era alloggiata una pompa ad immersione che aveva la funzione di mantenere basso il livello dell’acqua di falda, posto che, in ogni caso, prima del proprio intervento, la stessa era stata informata dell’eliminazione della pompa e, ciò nonostante, non si era astenuta dall’esecuzione dell’intervento d’impermeabilizzazione: significativa, al riguardo, è la deposizione del teste geom. Mi., il quale, in particolare, ha confermato che la Trading, che pure aveva chiesto il mantenimento della pompa, aveva accettato di eseguire il lavoro e lo aveva garantito anche in assenza della pompa.

Ciò detto, la corte d’appello ha provveduto alla quantificazione delle rispettive obbligazioni risarcitorie, evidenziando, in particolare, che la Trading è responsabile non già per l’errata esecuzione della soletta in c.a. ma solo per avere accettato di eseguire un successivo intervento d’impermeabilizzazione rivelatosi inutile e inidoneo a risolvere il problema delle infiltrazioni, ed è, quindi, tenuta solo al rimborso del corrispettivo ricevuto, pari ad Euro 4.389,88.

L’ing. M. e la soc. Forni, invece, ha osservato la corte, hanno responsabilità più gravi perchè riguardano la progettazione e l’esecuzione della soletta in c.a., e devono, quindi restituire i compensi rispettivamente ricevuti, pari, quanto al primo, ad Euro 971,29 e, quanto alla seconda, ad Euro 11.700,33, oltre che a tenere indenne Copari di quanto la stessa è stata condannata a pagare al Condominio (escluso il rimborso del corrispettivo dell’appalto dovuto in restituzione da Copari al Condominio committente in seguito alla risoluzione del contratto d’appalto). L’ing. M. e la soc. Forni, inoltre, sono tenuti, in solido, al rimborso della somma di Euro 3.176,21, per gli ulteriori costi di impermeabilizzazione sostenuti da Copari, rimasti incontestati, nonchè al risarcimento del danno da lucro cessante, in corrispondenza dell’utile che la Copari avrebbe conseguito, dalla stessa quantificato nella misura, non contestata, di Euro 4.810,44, pari alla differenza tra il corrispettivo pattuito con il Condominio e i costi.

La natura risarcitoria delle obbligazioni incombenti sul M., sulla Forni e la Trading, ha aggiunto la corte, comporta che le relative somme debbano essere rivalutate secondo gli indici istat dalla data della domanda fino alla sentenza e che sulle stesse somme, rivalutate di anno in anno, competono gli interessi legali con la medesima decorrenza fino al saldo.

La corte, infine, ha respinto la domanda proposta dall’ing. M. nei confronti della compagnia di assicurazioni in quanto, come dalla stessa eccepito, il sinistro in oggetto, che non ha compromesso la stabilità del fabbricato, non è coperto dalla garanzia assicurativa alla luce dell’art. 4 delle condizioni allegate di polizza, che limita la copertura, in caso di errore di progettazione e di direzione dei lavori, “ai danni alle opere in costruzione e a quelle sulle quali o nelle quali si eseguono i lavori provocati da rovina totale o parziale delle opere stesse” nonchè “alle spese imputabili all’assicurato per neutralizzare o limitare le conseguenze di un grave difetto che incide sulla stabilità dell’opera”.

La corte, infine, ha condannato il M., la coop. Forni e la Trading a rimborsare alla Copari le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Le spese sostenute dalla Compagnia di assicurazione sono state poste, per entrambi i gradi di giudizio, a carico dell’ing. M..

La coop. Forni, con ricorso spedito per la notifica il 28/5/2015, ha chiesto, per tre motivi, la cassazione della sentenza resa dalla corte d’appello, dichiaratamente non notificata.

Ha resistito, con controricorso spedito per la notifica in data 13/7/2015, M.A. il quale ha proposto, per cinque motivi, ricorso incidentale.

Ha resistito, con controricorso spedito per la notifica in data 14/7/2015, la Trading s.r.l., che ha proposto, per tre motivi, ricorso incidentale.

Ha resistito la coop. Copari con controricorsi spediti per la notifica in data 14/7/2015 e in data 15/9/2015.

Ha resistito l’Unipol Sai Assicurazioni s.p.a. con controricorso notificato il 30/7/2015.

Il M. ha depositato memoria. E lo stesso ha fatto la coop. Copari.

Con memoria depositata il 28/3/2019, è intervenuta in giudizio la liquidazione coatta amministrativa della coop. Copari.

La Corte, con ordinanza dell’8/4/2019, ha rimesso la causa alla pubblica udienza in prossimità della quale il M. ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, la ricorrente principale, lamentando la nullità parziale della sentenza o del procedimento d’appello o, in subordine, l’omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia rilevabile d’ufficio, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello non ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti del liquidatore giudiziale nominato con l’omologazione, in data 7/4/2014, del concordato preventivo proposto dalla soc. coop. Copari.

1.2. La corte d’appello, infatti, ha osservato la ricorrente, non ha considerato che, in caso d’intervenuta ammissione del debitore al concordato preventivo con cessione dei beni, se il creditore agisce proponendo non solo una domanda di accertamento del proprio diritto, ma anche una domanda di condanna o comunque idonea ad influire sulle operazioni di liquidazione e di riparto del ricavato, alla legittimazione passiva dell’imprenditore si affianca quella del liquidatore giudiziale dei beni, quale contraddittore necessario, con la conseguenza che, ove l’omologazione del concordato e la nomina del liquidatore giudiziale siano intervenute dopo che l’imprenditore sia stato convenuto in giudizio da un creditore con domanda di condanna, è necessario provvedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti del liquidatore onde evitare che la sentenza sia inutiliter data.

1.3. Nel caso in esame, la Copari è stata ammessa ad un concordato con cessione dei beni ed il creditore ha agito nei suoi confronti con domanda di condanna idonea ad influire sulle operazioni di liquidazione e di riparto, con la conseguenza che, alla legittimazione passiva della società convenuta, si è affiancata, nel corso del giudizio, quella del liquidatore giudiziale quale suo contraddittore necessario.

2.1. Il motivo è infondato. La Corte, sul punto, rileva che “la procedura di concordato preventivo mediante la cessione dei beni ai creditori comporta il trasferimento agli organi della procedura non della proprietà dei beni e della titolarità dei crediti, ma solo dei poteri di gestione finalizzati alla liquidazione, con la conseguenza che il debitore cedente conserva il diritto di esercitare le azioni o di resistervi nei confronti dei terzi, a tutela del proprio patrimonio, soprattutto dopo che sia intervenuta la sentenza di omologazione; per effetto di tale sentenza è da ritenere che venga meno il potere di gestione del commissario giudiziale, mentre quello del liquidatore è da intendere conferito nell’ambito del suo mandato e perciò limitato ai rapporti obbligatori sorti nel corso ed in funzione delle operazioni di liquidazione” (Cass. n. 7661 del 2005).

In tale ottica, infatti, “il debitore ammesso al concordato preventivo subisce uno spossessamento attenuato, in quanto conserva, oltre ovviamente alla proprietà (come nel fallimento), l’amministrazione e la disponibilità dei propri beni, salve le limitazioni connesse alla natura stessa della procedura, la quale impone che ogni atto sia comunque funzionale all’esecuzione del concordato. In particolare, nel concordato con cessione dei beni, la legittimazione a disporne viene attribuita al commissario liquidatore, che agisce in una veste generalmente qualificata come di mandatario dei creditori, mentre il debitore in ogni caso mantiene (oltre che la proprietà dei beni) la legittimazione processuale, mancando nel concordato una previsione analoga a quella dettata dalla L. Fall., art. 43, per il fallimento” (Cass. n. 6211 del 2007).

Si è, poi, aggiunto che “non possiede la qualità di successore a titolo particolare il liquidatore nella procedura di concordato preventivo, il quale subentra soltanto nella gestione dei beni ceduti e più in generale nelle questioni attinenti alla liquidazione ed al carattere concorsuale del credito” (Cass. n. 14206 del 2000; Cass. n. 681 del 2017).

2.2. La Corte, quindi, pur consapevole dell’esistenza di un difforme indirizzo secondo il quale, “a seguito dell’omologazione del concordato preventivo con cessione pro solvendo dei beni, si determina, rispetto ai crediti concordatari, la scissione fra titolarità del debito, che resta all’imprenditore, e legittimazione all’adempimento, che compete al liquidatore”, sicchè “nella controversia promossa dal creditore, per sentir accertare il carattere concordatario delle proprie ragioni, i predetti soggetti assumono la qualità di litisconsorti necessari, anche agli effetti dell’art. 102 c.p.c., comma 2” (Cass. SU n. 4779 del 1987; in senso conf., Cass. n. 10250 del 2001, per cui “in caso di intervenuta ammissione del debitore al concordato preventivo con cessione dei beni, se il creditore agisce proponendo non solo una domanda di accertamento del proprio diritto, ma anche una domanda di condanna o comunque idonea ad influire sulle operazioni di liquidazione e di riparto del ricavato, alla legittimazione passiva dell’imprenditore si affianca quella del liquidatore giudiziale dei beni, quale contraddittore necessario. Ne consegue che, qualora la sentenza di omologazione del concordato preventivo con cessione dei beni nella quale si provveda alla nomina del liquidatore giudiziale intervenga dopo che l’imprenditore sia stato convenuto in giudizio da un creditore con domanda di condanna, è necessario provvedere all’integrazione del contraddittorio nei confronti del liquidatore, onde evitare che la sentenza “inutiliter data”;…”; Cass. n. 16015 del 2007), ritiene di aderire al principio, di recente affermato da questa Sezione, secondo il quale la legittimazione processuale del liquidatore del concordato non è connessa alla circostanza per cui la controversia abbia ad oggetto l’accertamento di una ragione di credito e la condanna al pagamento del correlativo debito, ancorchè idonee ad influire sul riparto che segue le operazioni di liquidazione, ma è ancorata e circoscritta al perimetro delle prerogative liquidatorie e distributive che fanno capo allo stesso e, quindi, ai rapporti che nel corso ed in funzione della liquidazione vengono in essere (cfr. Cass. n. 17606 del 2015; in senso conf., Cass. n. 14683 del 2017).

Nel caso in esame, quindi, deve escludersi che l’intervenuta omologazione del concordato preventivo proposto dalla società convenuta nel corso del giudizio d’appello abbia posto la necessità d’integrare il contraddittorio con il liquidatore giudiziale ivi nominato.

2.3. Rileva, peraltro, la Corte che, come emerge dalla memoria del 28/3/2019, la società convenuta, già ammessa al concordato preventivo, omologato in data 7/4/2014, è stata, infine, assoggettata, a seguito della risoluzione del concordato, a liquidazione coatta amministrativa con decreto ministeriale del 10/5/2018.

Si tratta, quindi, di verificare, d’ufficio, se ciò comporti, o meno, l’applicazione del principio (tipico del fallimento ma espressamente esteso anche a quest’ultima procedura concorsuale: L. Fall., art. 201, comma 1) per cui l’accertamento di un credito vantato nei confronti del (debitore) fallito è devoluto, a norma della L. Fall., art. 52 (anche se, come nella specie, consegua all’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto: L. Fall., art. 72, comma 5, in relazione a quanto stabilito dalla L. Fall., art. 201, comma 1), alla competenza esclusiva del giudice delegato (o, nel caso della liquidazione coatta amministrativa, del commissario liquidatore: L. Fall., art. 209), con la conseguenza che, ove la relativa domanda sia proposta o proseguita nel giudizio ordinario di cognizione, deve esserne dichiarata d’ufficio, in ogni stato e grado, anche nel giudizio di cassazione, l’inammissibilità ovvero, rispettivamente, l’improcedibilità (cfr. Cass. n. 24156 del 2018): salvo, naturalmente, il caso in cui, già prima dell’apertura della procedura concorsuale, la pronuncia del giudice ordinario su tale domanda, sia, nel corso del giudizio, divenuta definitiva per mancata impugnazione.

2.4. La questione va risolta in senso negativo.

La società convenuta, infatti, come espressamente evidenziato dalla corte d’appello, aveva a suo tempo impugnato la sentenza di primo grado solo nella parte in cui il tribunale non aveva ritenuto la sussistenza, nei suoi confronti, della responsabilità prevista dall’art. 1669 c.c., in capo al progettista e al direttore dei lavori e delle imprese subappaltatrici Forni e Trading e per non aver pronunciato a loro carico la condanna al risarcimento dei danni: non anche nella parte in cui il tribunale aveva pronunciato la risoluzione del contratto d’appalto stipulato con il Condominio e l’aveva condannata al risarcimento dei danni nei confronti dello stesso.

L’accoglimento di tali domande, a seguito della scadenza dei termini per la proposizione dell’appello, risulta, pertanto, coperto dal giudicato interno (art. 329 c.p.c., comma 2): rimanendo, quindi, del tutto privo di rilievo, almeno a questi fini, il fatto che, nel prosieguo del medesimo giudizio, la società convenuta sia stata ammessa alla procedura della liquidazione coatta amministrativa.

2.5. Nè può, in senso contrario, rilevare il fatto che la coop. Forni, vale a dire da uno dei chiamati in causa (in garanzia impropria), abbia, come evidenziato in precedenza, censurato la sentenza della corte d’appello con riguardo al rapporto principale tra il Condominio e la società convenuta sul rilievo che il relativo giudizio avrebbe dovuto svolgersi anche nei confronti del liquidatore designato nel decreto di omologazione del concordato preventivo proposto dalla stessa ed, in quanto tale, suo litisconsorte necessario.

Il terzo chiamato in garanzia impropria, in effetti, come è legittimato a svolgere le sue difese per contrastare non solo la domanda di manleva ma anche quella proposta dall’attore principale, così può autonomamente impugnare le statuizioni della sentenza di primo grado relative al rapporto principale, sia pure al solo fine di sottrarsi agli effetti riflessi che la decisione spiega sul rapporto di garanzia (Cass. n. 3969 del 2012).

In caso di chiamata in garanzia impropria, invero, essendo l’azione principale e quella di garanzia fondate su titoli diversi, le due cause, benchè proposte all’interno di uno stesso giudizio, rimangono distinte e scindibili, con la conseguenza che, ove manchi da parte del convenuto rimasto soccombente l’impugnazione sulla domanda principale, il giudicato che si forma sulla stessa non estende i suoi effetti al chiamato in garanzia impropria in ordine al rapporto con il chiamante, ed il chiamato può impugnare la statuizione sul rapporto principale solo nell’ambito del rapporto di garanzia e per i riflessi che la decisione può avere su di esso (Cass. n. 2557 del 2010).

L’impugnazione proposta dal chiamato in garanzia impropria, quindi, pur quando investa, come nella specie, il rapporto principale, non può impedire che, tra le parti dello stesso (e cioè il Condomino e la coop. Copari), si sia formato, con la mancata impugnazione della relativa pronuncia da parte della convenuta soccombente, il giudicato (Cass. n. 14813 del 2006).

3.1. Con il secondo motivo, la ricorrente principale, lamentando l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che la stessa, pur avendo operato in conformità di un progetto ed obbedito alle direttive impartite dal direttore dei lavori, dovesse rispondere dei difetti dell’opera che la Copari le aveva subappaltato.

3.2. Così facendo, ha osservato la ricorrente, la corte d’appello ha omesso di considerare che la coop. Forni si è occupata della fornitura e posa della rete elettrosaldata e che, per espressa disposizione contrattuale, doveva eseguire l’opera secondo le indicazioni del progettista e direttore dei lavori, senza avere, quindi, alcun tipo di autonomia tecnica.

3.3. La Forni, del resto, quale mera impresa esecutrice, non poteva riconoscere, con l’ordinaria diligenza, gli eventuali errori di progetto.

3.4. D’altra parte, la responsabilità dell’appaltatore dev’essere esclusa nell’ipotesi in cui svolga il ruolo di mero esecutore rispetto ad elementi progettuali prestabiliti dal committente, senza avere alcuna possibilità di introdurre modifiche al progetto nè assoggettare quest’ultimo a rilievi critici.

3.5. Del resto, ha concluso la ricorrente, nel giudizio di primo grado non era emerso alcun profilo di responsabilità a carico della Forni, avendo il consulente tecnico d’ufficio ravvisato la piena responsabilità del progettista e direttore dei lavori, al quale spettava di vigilare, con la dovuta diligenza, sull’esecuzione dei lavori impartendo le opportune disposizioni.

4.1. Il motivo è infondato. L’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo in vigore successivamente alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito con modificazioni con la L. n. 134 del 2012, ed applicabile ratione temporis, prevede che la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione solo in caso omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Ed è noto come, secondo le Sezioni Unite di questa Corte (n. 8053 del 2014), la norma consente di denunciare in cassazione – oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia (nella specie neppure invocata) si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione – solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia (Cass. n. 14014 del 2017, in motiv.; Cass. n. 9253 del 2017, in motiv.; Cass. n. 7472 del 2017).

Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

4.2. Nel caso in esame, la società ricorrente ha dedotto che la sentenza impugnata avrebbe omesso di esaminare il fatto che le opere erano state dalla stessa eseguite secondo le istruzioni del progettista e direttore dei lavori.

Si tratta, tuttavia, di un fatto che, a ben vedere, la corte d’appello ha senz’altro esaminato ritenendolo, però, irrilevante in forza del principio, del tutto corretto sul piano giuridico, per cui l’appaltatore, dovendo assolvere al proprio dovere di osservare i criteri generali della tecnica relativi al particolare lavoro affidatogli, è obbligato a controllare, nei limiti delle sue cognizioni, la bontà del progetto o delle istruzioni impartite dal committente ed, ove queste siano palesemente errate, può andare esente da responsabilità soltanto se dimostri di avere manifestato il proprio dissenso e di essere stato indotto ad eseguirle, quale nudus minister, per cui, in difetto – come nella specie – di tale prova, l’appaltatore è tenuto a titolo di responsabilità contrattuale derivante dalla sua obbligazione di risultato a rispondere dei vizi dell’opera senza poter invocare la efficacia esimente di eventuali errori nelle disposizioni ricevute (Cass. n. 23594 del 2017).

Quanto al resto – escluso ogni rilievo al fatto che la Forni, quale mera impresa esecutrice, non poteva riconoscere, con l’ordinaria diligenza, gli eventuali errori di progetto, trattandosi di questione che la corte d’appello non risulta aver affrontato: ed è noto che, in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio (Cass. n. 20694 del 2018) – non può che ribadirsi come la valutazione degli elementi istruttori costituisce un’attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, le cui conclusioni in ordine alla ricostruzione della vicenda fattuale non sono sindacabili in cassazione (Cass. n. 11176 del 2017, in motiv.): non è, infatti, compito di questa Corte quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, nè quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudici di merito (Cass. n. 3267 del 2008).

5. Con il terzo motivo, la ricorrente principale, lamentando l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha omesso di considerare la responsabilità contrattuale della Copari alla quale, infatti, competeva, quale appaltatore delle opere, l’obbligo del risultato e il compimento dei lavori a regola d’arte e rimane, quindi, responsabile, ove le opere si sono rivelate inadeguate e/o difettose, nei confronti del primo committente anche se le difformità sono imputabili alle prestazioni eseguite dal subappaltatore.

6. Il motivo è infondato. La ricorrente, infatti, non si confronta con la sentenza impugnata: la quale, invero, non ha affatto escluso la responsabilità contrattuale della Copari verso il Condominio committente, prendendo atto, piuttosto, che, sul punto, la pronuncia di primo grado, che l’aveva affermata, non era stata censurata dalla stessa convenuta che, a tale titolo, era stata condannata dal tribunale alla restituzione del corrispettivo dell’appalto stipulato con il Condominio ed al risarcimento dei danni corrispondenti alla spesa necessaria alla eliminazione dei vizi.

7.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale, la Trading s.r.l., lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto, per un verso, che la Trading non potesse addurre a sua discolpa il fatto di avere manifestato parere contrario all’eliminazione del foro che si trovava nella soletta e nel quale era alloggiata una pompa ad immersione che aveva la funzione di mantenere basso il livello dell’acqua di falda, posto che, in ogni caso, prima del proprio intervento, la stessa era stata informata dell’eliminazione della pompa e che, ciò nonostante, non si era astenuta dall’esecuzione dell’intervento d’impermeabilizzazione, e, per altro verso, che la Trading fosse responsabile non già per l’errata esecuzione della soletta in c.a. ma solo per avere accettato di eseguire un successivo intervento d’impermeabilizzazione rivelatosi inutile e inidoneo a risolvere il problema delle infiltrazioni.

7.2. Così facendo, ha osservato la ricorrente, la corte d’appello, con motivazione contraddittoria e manifestamente illogica, ha espresso concetti incompatibili con la responsabilità ad essa ascritta, visto che l’esecuzione del lavoro nonostante il parere contrario sta a significare la sua qualità di nudus minister, con conseguente discolpa, e che, in ogni caso, non può essere ritenuta responsabile per vizi e difetti ai quali non ha concorso, essendosi limitata al tentativo di approntare un rimedio.

7.3. La corte d’appello ha omesso, pertanto, di considerare che la Trading, come accertato dal consulente tecnico d’ufficio, non ha concorso sul piano causale all’evento lesivo, che si era già prodotto prima del suo intervento.

7.4. La corte, inoltre, ha proseguito la ricorrente, senza procedere ad una complessiva interpretazione delle clausole del capitolato d’appalto e della documentazione prodotta, per la ricerca della comune intenzione delle parti, ha contraddittoriamente attribuito alla Trading un’autonomia esecutiva che non si evince dall’istruttoria e della consulenza tecnica d’ufficio.

7.5. La Trading, del resto, aveva evidenziato alla Copari la circostanza che l’impermeabilizzazione, in assenza del pozzetto – pompa, non sarebbe stata possibile e, quando ha dato esecuzione all’opera, si è limitata ad adempiere alle obbligazioni assunte eseguendo pedissequamente le direttive della Copari e del direttore dei lavori.

8. Il motivo è infondato. La ricorrente incidentale, infatti, non si confronta con la ratio sottostante alla decisione che ha impugnato: la quale, invero, non l’ha affatto ritenuta responsabile dei vizi e dei difetti dell’opera già eseguita, e cioè la soletta di c.a., ma solo dell’inutilità del successivo intervento di impermeabilizzazione sul rilievo che lo stesso, in quanto eseguito dopo l’eliminazione della pompa ad immersione che aveva la funzione di mantenere basso il livello di falda, si era rivelato inidoneo a risolvere il problema delle infiltrazioni e l’ha condannata, quindi, a titolo di risarcimento dei danni arrecati dall’inadempimento al relativo obbligo contrattuale, al pagamento della somma corrispondente al corrispettivo ricevuto; la stessa sentenza, inoltre, ha ritenuto irrilevante, al fine di essere esonerata da tale responsabilità, il parere contrario all’eliminazione della pompa che la Trading aveva manifestato, evidenziando, in forza di un apprezzamento dei fatti insindacabile in cassazione, che, in realtà, quest’ultima, prima del suo intervento, era stata informata dell’eliminazione della pompa e che, ciò nonostante, non si era astenuta dall’esecuzione dell’intervento di impermeabilizzazione, che aveva, anzi, accettato di eseguire e garantito anche in assenza della stessa.

9.1. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, la Trading s.r.l., lamentando la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto (art. 345 c.p.c.), ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha escluso che, con l’atto d’appello, fosse stata proposta una domanda nuova in quanto volta ad affermare anche nei suoi confronti un titolo di responsabilità mai dedotto prima del gravame, ritenendo che tale difformità fosse superabile attraverso l’esercizio dei poteri di riqualificazione del tipo di responsabilità da parte del giudice sulla scorta della immutata prospettazione in fatto su cui la Copari aveva fondato la sua domanda nei confronti della Trading.

9.2. Così facendo, però, ha osservato la ricorrente incidentale, la corte d’appello non ha considerato l’evidente diversità delle domande, quale emerge dalla loro trascrizione nel controricorso, che la Copari aveva proposto in primo ed in secondo grado.

9.3. L’appello, del resto, ha aggiunto la Trading, era inammissibile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., poichè si chiedeva la condanna della Trading al pagamento di una somma, a titolo di risarcimento del danno, “per le ragioni di cui in narrativa al presente atto di citazione in appello e nei precedenti atti di causa, così come ivi quantificati”.

10. Il motivo è inammissibile in quanto del tutto generico. La ricorrente, infatti, omette, tanto sotto il primo, quanto sotto il secondo profilo, di illustrare le ragioni per le quali ha dedotto, per un verso, che la domanda proposta nei suoi confronti nell’atto d’appello sarebbe nuova e, quindi, inammissibile, rispetto a quella articolata nell’atto con il quale la Copari l’ha chiamata in causa, e, per altro verso, che l’atto d’appello, per come articolato, sarebbe inammissibile a norma dell’art. 345 c.p.c.. Ed è, in effetti, noto come i motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere, tra l’altro, i caratteri della specificità e della completezza: e ciò comporta – fra l’altro – l’esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti che, ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, siano volte a motivatamente dimostrare in qual modo le statuizioni contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità. Risulta, quindi, inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in quale modo (se per contrasto con la norma indicata, o con l’interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina) abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito (Cass. n. 13830 del 2004). In effetti, in tema di ricorso per cassazione per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (sostanziali o processuali), il principio di specificità dei motivi, di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, dev’essere letto in correlazione al disposto dell’art. 360-bis c.p.c., n. 1, ed è, quindi, inammissibile, per difetto di specificità, il motivo di ricorso che, nel denunciare la violazione di norme di diritto, ometta di raffrontare la ratio decidendi della sentenza impugnata con la giurisprudenza della S.C. ed, ove la prima risulti conforme alla seconda, ometta di fornire argomenti per mutare orientamento (Cass. n. 5001 del 2018), così impedendo alla corte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Non risulta, quindi, correttamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. n. 24298 del 2016).

11. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, la Trading s.r.l., lamentando la nullità parziale della sentenza o del procedimento d’appello, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha omesso di considerare che la Copari, ammessa alla procedura del concordato preventivo, omologato in data 7/4/2014, avrebbe dovuto costituirsi in giudizio in persona del proprio liquidatore giudiziale con la conseguente nullità della sentenza in quanto resa in assenza di una parte necessaria.

12. Il motivo è assorbito dal rigetto del primo motivo del ricorso principale.

13.1. Con il primo motivo di ricorso incidentale, M.A., lamentando l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto che le cause delle infiltrazioni, che già in sede di accertamento tecnico preventivo il consulente aveva attribuito “alla non corretta esecuzione della soletta in c.a. in quanto la rete elettrosaldata d’armatura non era stata posta all’intradosso della soletta per renderla solidale all’esistente”, dovessero essere imputate in pari misura “all’imperizia e alla negligenza tanto del direttore dei lavori, quanto della subappaltatrice Forni soc. Coop. r.l., che ha materialmente eseguito la soletta”.

13.2. Così facendo, ha osservato il ricorrente incidentale, la corte ha completamente omesso di riportare e valutare l’affermazione con la quale il consulente nominato in sede di accertamento tecnico preventivo aveva affermato che l’esecuzione era avvenuta “contrariamente a come progettata” dall’ing. M.. La corte d’appello, quindi, omettendo l’esame di un fatto decisivo, ha erroneamente affermato la responsabilità del M. sulla base delle considerazioni svolte dal consulente tecnico d’ufficio in ordine alle carenze di progetto che, però, erano state espressamente smentite dal consulente designato in sede di accertamento tecnico preventivo e reintrodotte dal consulente tecnico designato nel corso del giudizio non in quanto da lui accertate ma sulla base delle testimonianza della Copari e delle dichiarazioni delle parti.

13.3. La corte d’appello, in definitiva, ha concluso il ricorrente, ha dapprima omesso di indicare e valutare il fatto storico già accertato, che avrebbe condotto all’esclusione della responsabilità del M., e poi ha inspiegabilmente fatto proprie le considerazioni del consulente tecnico designato nel corso del giudizio, che ha, però, redatto la perizia sulla base di una ricostruzione della vicenda che lo stesso aveva riferito come non del tutto attendibile.

14.1. Il motivo è infondato. Il ricorrente incidentale non si confronta con la sentenza che ha impugnato, lì dove, in particolare, la corte d’appello, lungi dal considerare irrilevante il fatto che le opere erano state eseguite in difformità del progetto predisposto dal direttore dei lavori, ha ritenuto che “l’ing. M. avrebbe… dovuto diligentemente dirigere e controllare la corretta esecuzione della soletta, segnalando tempestivamente eventuali errori di posizionamento dei vari elementi o eventuali difformità dal progetto dallo stesso elaborato al fine di consentire la tempestiva adozione dei necessari rimedi” e che non valesse ad escludere la sua responsabilità il fatto, dallo stesso eccepito, che le imprese subappaltatrici avevano agito in autonomia senza preventiva mente consultarlo, essendo “suo onere, quale direttore dei lavori, fornire precise istruzioni ed assicurarsi che le stesse venissero rispettate, e quindi sorvegliare diligentemente la realizzazione delle opere e predisporre un calendario dei lavori che potesse garantire la sua presenza in cantiere quando era necessario”.

14.2. La corte, del resto, con statuizione non specificamente contestata, ha ritenuto di affermare la responsabilità dell’ing. M. anche per le accertate carenze di progetto “per la mancanza sia dei necessari dettagliati disegni esecutivi con l’indicazione specifica dello spessore dei copriferri, sia delle disposizioni relative alla qualità dei materiali da impiegare con particolare riferimento al tipo di calcestruzzo da utilizzarè. Ed è noto che, ove la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, è inammissibile il ricorso che non formuli specifiche doglianze avverso una di tali rationes decidendi, neppure sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. n. 4293 del 2016).

15.1. Con il secondo motivo di ricorso incidentale, il M., lamentando la nullità della sentenza e del procedimento, per violazione dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha pronunciato in contrasto con il giudicato che si era formato sulla domanda principale di risoluzione del contratto d’appalto per inadempimento tanto della Copari, quanto dell’ing. M..

15.2. La Copari, appellante principale, non aveva, infatti, contestato la sentenza con la quale il tribunale, dopo aver accertato che “i lavori appaltati per la impermeabilizzazione delle cantine non stati correttamente eseguiti… per inidoneità dei materiali utilizzati, oltre che per la non analitica progettazione dei lavori”, ha ritenuto che vi fosse stato “un comportamento colposo da parte della ditta appaltatrice (convenuta) e del direttore dei lavori anche progettista” ed ha, quindi, pronunciato la risoluzione del contratto d’appalto a norma dell’art. 1668 c.c., comma 2, condannando, in solido, l’impresa appaltatrice ed il progettista al risarcimento dei danni, avendo “concorso indifferenziatamente all’evento dannoso per propria colpa”.

15.3. La corte d’appello, quindi, ha proseguito il ricorrente incidentale, avrebbe dovuto, come già eccepito nella comparsa di risposta depositata nel giudizio di secondo grado, riconoscere la formazione di un giudicato, tanto sostanziale, quanto formale, in ordine al capo della sentenza con la quale il tribunale aveva sancito la responsabilità congiunta e solidale della Copari nella causazione del danno. La condanna di tutte le appellate alla restituzione, in favore della Copari, degli importi ricevuti nonchè al risarcimento di tutti i danni subiti anche in relazione alle somme che quest’ultima era stata costretta a corrispondere al Condominio in forza della sentenza di prime cure, implica, al contrario, l’assenza di qualsiasi responsabilità in capo alla stessa.

15.4. La corte d’appello, in definitiva, pur dando atto dell’acquiescenza prestata sulla domanda di risoluzione e, quindi, sull’accertata responsabilità o, quanto meno, corresponsabilità colposa dell’appellante principale, ha pronunciato in violazione dell’art. 2909 c.c., omettendo qualsiasi motivazione sul punto.

15.1. Il motivo è infondato. La sentenza impugnata, invero, come in precedenza osservato, non ha affatto escluso la responsabilità contrattuale della Copari verso il Condominio committente, prendendo atto, piuttosto, che, sul punto, la pronuncia di primo grado, che l’aveva affermata, non era stata censurata dalla stessa convenuta che, a tale titolo, era stata condannata dal tribunale alla restituzione del corrispettivo dell’appalto stipulato con il Condominio ed al risarcimento dei danni corrispondenti alla spesa necessaria alla eliminazione dei vizi.

15.2. La responsabilità contrattuale dell’appaltatore nei confronti del committente, del resto, è senz’altro compatibile con l’affermazione – tanto in via autonoma, quanto in sede di eventuale rivalsa – di un’analoga responsabilità verso l’appaltatore in capo ai soggetti cui l’opera sia stata dallo stesso subappaltata (art. 1670 c.c.) ovvero che, rispetto a tale opera, abbiano svolto, su suo incarico, l’attività di progettista e di direttore dei lavori, tutte le volte in cui il giudice di merito accerti, in fatto, che i vizi o i difetti dell’opera, previsti dagli artt. 1667 e 1669 c.c., siano imputabili alle loro inadempienze verso l’appaltatore.

17.1. Con il terzo motivo di ricorso incidentale, M.A., lamentando la nullità della sentenza e del procedimento, per violazione dell’art. 102 c.p.c. e/o irregolare costituzione del processo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha omesso di considerare che la Copari, nel corso del giudizio, era stata ammessa al concordato preventivo, omologato in data 7/4/2014, e che il liquidatore giudiziale ometteva di intervenire nel giudizio nonostante la sua veste di litisconsorte necessario.

17.2. In caso di ammissione al concordato preventivo con cessione dei beni, infatti, ha osservato il ricorrente incidentale, il liquidatore giudiziale è contraddittore necessario tanto nei giudizi nei quali l’imprenditore sia stato convenuto con una domanda di condanna, quanto nei giudizi volti ad ottenere la condanna al pagamento di somme in favore della liquidazione ed in quelli comunque idonei ad influire sul riparto.

17.3. Nel caso di specie, ha rilevato il ricorrente incidentale, la Copari, pur avendo agito per l’accertamento di un proprio credito e la conseguente condanna al suo pagamento, idonea di influire sulle operazioni di liquidazione giudiziale e di riparto, non ha provveduto, una volta ammessa al concordato preventivo, ad integrare il contraddittorio nei confronti del liquidatore giudiziale così nominato.

18. Il motivo è assorbito dai rilievi già formulati in sede di rigetto del primo motivo del ricorso principale.

19.1. Con il quarto motivo di ricorso incidentale, M.A., lamentando la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha escluso la responsabilità della compagnia di assicurazione.

19.2. La corte d’appello, ha osservato il ricorrente incidentale, dopo aver ritenuto che fattispecie fosse riconducibile all’art. 1669 c.c., posto che tra i gravi difetti previsti dalla norma indicata rientrano anche le infiltrazioni d’acqua causate da difetti d’impermeabilizzazione, ha, poi, contraddittoriamente respinto la domanda proposta dall’ing. M. nei confronti della compagnia di assicurazioni sul rilievo che il sinistro in oggetto, non avendo compromesso la stabilità del fabbricato, non è coperto dalla garanzia assicurativa alla luce dell’art. 4 delle condizioni allegate di polizza, il quale limita la copertura, in caso di errore di progettazione e di direzione dei lavori, “ai danni alle opere in costruzione e a quelle sulle quali o nelle quali si eseguono i lavori provocati da rovina totale o parziale delle opere stesse” nonchè “alle spese imputabili all’assicurato per neutralizzare o limitare le conseguenze di un grave difetto che incide sulla stabilità dell’opera”.

19.3. L’art. 1669 c.c., infatti, ha proseguito il ricorrente incidentale, comprende due ipotesi: la totale o parziale rovina delle opere e i gravi difetti, tra i quali sono da ritenersi comprese sia le deficienze costruttive, sia le carenze per errori progettuali ovvero esecutive che determinano un’apprezzabile menomazione del bene, compromettendone la stabilità e la conservazione nel tempo.

19.4. Se, dunque, il giudice ha correttamente inquadrato la fattispecie nell’art. 1669 c.c., non può, in seguito, escludere la responsabilità della Compagnia assicurativa sulla base di una qualificazione giuridica del medesimo fatto esattamente opposta a quella della norma sopra riportata.

20. Il motivo è infondato. Rileva la Corte che non sussiste affatto la denunciata contraddizione tra la qualificazione giuridica della fattispecie in termini di grave difetto a norma dell’art. 1669 c.c. e l’esclusione della garanzia assicurativa rispetto alla stessa: se solo si considera che la corte d’appello, da un lato, ha (correttamente o meno non importa) ritenuto che costituiscono gravi difetti ai fini della norma indicata anche le infiltrazioni d’acqua causate da difetti di impermeabilizzazione, e, dall’altro lato, (implicitamente ma inequivocamente) affermato che non tutti i gravi difetti sono coperti dalla polizza la quale, infatti, in caso di errore di progettazione e di direzione dei lavori, limita la copertura “alle spese imputabili all’assicurato per neutralizzare o limitare le conseguenze di un grave difetto che incide sulla stabilità dell’opera”: laddove, nella specie, la corte, con accertamento in fatto rimasto incensurato, ha escluso che il sinistro in esame avesse compromesso la stabilità del fabbricato.

21.1. Con il quinto motivo di ricorso incidentale, M.A., lamentando la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e per omesso esame delle domande di nullità delle clausole vessatorie apposte al contratto di assicurazione dell’ing. M., in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha respinto la domanda proposta dal M. nei confronti della Compagnia di assicurazioni omettendo, tuttavia, di pronunciarsi sull’eccezione che il M. aveva sollevato sin dal giudizio di primo grado e che aveva poi reiterato nel giudizio d’appello fino agli scritti difensivi, secondo cui tale clausola, comportando una limitazione della responsabilità, era nulla per non essere stata specificamente approvata a norma dell’art. 1341 c.c., comma 2.

21.2. L’omessa pronuncia su un motivo d’appello, quindi, ha concluso il ricorrente incidentale, si traduce in un vizio dell’impugnata sentenza, che ne comporta la nullità.

22.1. Il motivo è infondato. Non ricorre, infatti, il vizio di omessa pronuncia quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto della domanda o eccezione formulata dalla parte (Cass. n. 20718 del 2018). Nel caso di specie, la corte d’appello, pur non pronunciandosi espressamente sull’eccezione di nullità della clausola, l’ha nondimeno inequivocamente respinta quando, nel rigettare la domanda sulla stessa fondata, ne ha correttamente ritenuto la validità. Nel contratto di assicurazione, infatti, le clausole che, come quella in esame, riguardano il contenuto ed i limiti della garanzia assicurativa, specificando il rischio garantito, non possono essere considerate, agli effetti dell’art. 1341 c.c., come limitative della responsabilità e non sono, perciò, assoggettate al regime previsto da tale norma, vale a dire la sottoposizione della stessa alla necessaria e specifica approvazione preventiva per iscritto (cfr. Cass. n. 8235 del 2010; Cass. n. 17783 del 2014).

23. Il ricorso principale ed i ricorsi incidentali, devono essere, pertanto, rigettati.

24. Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.

25. La Corte dà atto della sussistenza, tanto con riguardo al ricorso principale, quanto con riferimento ai due ricorsi incidentali, dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte così provvede: rigetta il ricorso principale ed i ricorsi incidentali; condanna la ricorrente principale ed i ricorrenti incidentali, in solido, a rimborsare alla coop. Copari le spese di lite, che liquida in Euro 3.600,00, di cui Euro 200,00, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%; dà atto della sussistenza, tanto con riguardo al ricorso principale, quanto con riferimento ai due ricorsi incidentali, dei presupposti per l’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 3 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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