Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33420 del 27/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 27/12/2018, (ud. 21/03/2018, dep. 27/12/2018), n.33420

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L. – Presidente –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27007/2011 R.G. proposto da:

O.V. (c.f. (OMISSIS)), rappresentato e difeso

dall’Avv. Fabio Massimo Orlando, con domicilio eletto in Roma Via

Carlo Poma n. 2 presso lo studio del difensore;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (c.f. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello

Stato, con domicilio eletto in Roma, via Dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Sicilia, sez. staccata di Siracusa, n. 257/16/10 depositata il 22

settembre 2010, non notificata.

Udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 21

marzo 2018 dal consigliere Pierpaolo Gori.

Fatto

RILEVATO

che:

– Con sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Sicilia sez. staccata di Siracusa, (in seguito, CTR) veniva parzialmente accolto l’appello proposto da O.V. (in seguito, il contribuente) e, per l’effetto, riformata la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Siracusa (in seguito, CTP) n. 51/02/2008, avente ad oggetto un avviso di accertamento con cui veniva recuperato ad imposta reddito per attività di impresa artigiana panificatoria ai fini dell’imposizione diretta, IVA, addizionali e IRAP relativamente all’anno di imposta 2002. L’entità della produzione e vendita dei prodotti panificatori veniva ricostruito sulla base della quantità di materie prime acquistate dal contribuente nell’anno, ed applicando ai prodotti commercializzati prezzi di vendita determinati dai verbalizzanti nel contraddittorio con il contribuente. La CTP accoglieva il ricorso del contribuente ritenendo l’accertamento non sufficientemente motivato e, a seguito dell’appello dell’Agenzia, la CTR rideterminava il recupero ad imposta nella misura del 50% di quanto contestato con l’avviso;

– Propone ricorso il contribuente, affidato a 9 motivi, cui replica l’Agenzia con controricorso.

Diritto

RITENUTO

che:

– Con il primo motivo, il contribuente censura l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, e al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 1, n. 3), da un lato per omessa pronuncia sulle eccezioni di legittimità sollevate dal ricorrente sull’uso nei suoi confronti dell’accertamento induttivo da parte dei verbalizzanti e, dall’altro, quanto al contenuto della determinazione induttiva dei ricavi sulla base dei quantitativi di farina utilizzata e rimanenze, per aver abbattuto del 50% i maggiori ricavi accertati senza una motivazione controllabile;

– il motivo è inammissibile nella parte in cui fa riferimento all’omessa pronuncia su non meglio precisate eccezioni di legittimità dell’accertamento, non solo in quanto non riproposte ai fini dell’autosufficienza del ricorso, ma anche perchè nel pure articolato motivo non c’è riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, utilmente invocabile in caso di omessa pronuncia. Il resto del motivo è poi inammissibile in quanto tendente ad una rivalutazione di statuizioni di merito non censurabili in sede di legittimità, in presenza di un iter logico motivazionale adeguato, anche in merito alla rideterminazione della ripresa motivata in una decina di righe a pag. 3 della sentenza, senza far valere una prova decisiva ritualmente introdotta nel processo e trascurata dal giudice di appello;

– Con il secondo motivo, il contribuente censura la nullità del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, per essere stati i motivi di appello dell’Agenzia proposti avanti alla CTR privi di specificità; il motivo, è formulato in termini largamente generici al limite dell’inammissibilità, ed è comunque infondato, dal momento che nell’atto di appello allegato, risultano dedicate circa 4 pagine alle doglianze di merito avverso il provvedimento del giudice di prime cure, argomentazioni adeguate ai fini del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1;

Con il terzo motivo viene invocata la nullità del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., alla L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1 e della L. n. 241 del 1990, art. 3, per aver la CTR considerato implicitamente legittimo l’avviso di accertamento impugnato sotto il profilo della motivazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche determinanti, specificamente censurati dal contribuente;

– il motivo è inammissibile per carenza di decisività oltre che di interesse, in quanto la CTR non ha confermato l’avviso impugnato, operando una rideterminazione dell’ammontare dei maggiori ricavi recuperati ad imposta, autonomamente motivata;

– Con il quarto motivo, viene dedotta la nullità del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c. e al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), in quanto l’accertamento sarebbe stato induttivo e condotto in assenza dei presupposti;

– Il motivo è infondato. Questa Corte ha più volte affermato che “In tema di accertamento dell’IVA, il ricorso al metodo induttivo è ammissibile anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, il quale autorizza l’accertamento anche in base al “altri documenti” o “scritture contabili” (diverse da quelle previste dalla legge) o ad “altri dati e notizie” raccolti nei modi prescritti dagli articoli precedenti, potendo le conseguenti omissioni o false o inesatte indicazioni essere indirettamente desunte da tali risultanze ovvero anche in esito a presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti” (Cass. 25 marzo 2009 n.7184); inoltre, è assodato che “In tema di accertamento induttivo del reddito d’impresa ai fini IRPEG ed IVA, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, la sussistenza di un saldo negativo di cassa, implicando che le voci di spesa sono di entità superiore a quella degli introiti registrati, oltre a costituire un’anomalia contabile, fa presumere l’esistenza di ricavi non contabilizzati in misura almeno pari al disavanzo” (Cass. 25 ottobre 2017 n. 25289);

– Dunque, in linea di principio, è consentito l’accertamento induttivo, quale è quello esperito nel caso di specie, in cui è stata esaminata la documentazione contabile offerta dal contribuente, ma ritenuta non attendibile, pur in presenza di una regolarità formale delle scritture. La ragione di tale inattendibilità emerge dal richiamo al p.v.c. operato dall’avviso di accertamento, essenzialmente l’antieconomicità, sulla base di rilievi in fatto;

– Ciò è conforme alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui “In tema di accertamento induttivo dei redditi d’impresa, consentito dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 , art. 39, comma 1, lett. d), sulla base del controllo delle scritture e delle registrazioni contabili, l’atto di rettifica, qualora l’ufficio abbia sufficientemente motivato, specificando gli indici di inattendibilità dei dati relativi ad alcune poste di bilancio e dimostrando la loro astratta idoneità a rappresentare una capacità contributiva non dichiarata, è assistito da presunzione di legittimità circa l’operato degli accertatori, nel senso che null’altro l’ufficio è tenuto a provare, se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, mentre grava sul contribuente l’onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse, senza che sia sufficiente invocare l’apparente regolarità delle annotazioni contabili.” (Cass. 20 giugno 2014 n. 14068);

– In conclusione, in sede di accertamento in rettifica, era consentito ai verbalizzanti, anche in presenza di contabilità formalmente regolare, di far uso di prove presuntive, anche semplici, in presenza di indizi gravi precisi e concordanti, tratti dall’antieconomicità riscontrata nel caso di specie, in rapporto alle materie prime consumate nel periodo di imposta;

– Il quinto ed il sesto motivo sono da trattarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, e vertenti sulla presunta violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato da parte della CTR ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c.; secondo il contribuente, si sarebbe in presenza di giudicati interni, da un lato in relazione il riparto dell’onere della trova tra contribuente ed Agenzia ex art. 2697 c.c. circa la fondatezza della pretesa tributaria e, dall’altro, in relazione all’art.109 TUIR circa le modalità di calcolo del volume di affari sulla base di costi e ricavi operati dal giudice di primo grado;

– Anche questi mezzi sono infondati, in quanto che l’Agenzia ha censurato dettagliatamente nel merito la decisione di primo grado con il suo appello, allegato al ricorso e, pertanto, nessuno dei due giudicati interni sopra dedotti si è verificato; per l’effetto, la CTR aveva la domanda cui rispondere e, così facendo, ha esercitato unicamente il suo potere-dovere;

– Con il settimo motivo, si denuncia la nullità del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 1, per difetto del soggetto sottoscrittore dell’avviso impugnato;

– Il motivo è infondato, in quanto il giudice di appello ha accertato in fatto specificamente che durante il secondo grado di giudizio l’Agenzia ha anche depositato l’atto di delega in questione, nè il contribuente ha addotto elementi di prova decisivi contrari a tale statuizione di merito;

– Con l’ottavo motivo, viene invocata la nullità del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c. e alla L. n. 212 del 2000, art. 12, commi 1, 2 e 7, per non aver la CTR dichiarato la nullità dell’accertamento nonostante il mancato rispetto del termine dilatorio di 60 giorni tra la consegna del processo verbale di constatazione e la notifica dell’atto impositivo;

– Il motivo è inammissibile, in quanto la questione non risulta riproposta all’attenzione della CTR attraverso le controdeduzioni in appello o con appello incidentale: l’unico capo di appello incidentale, si legge anche nella sentenza gravata, è infatti relativo alle spese di lite. In ogni caso, il motivo difetterebbe anche di autosufficienza in quanto non è riportata la parte degli atti difensivi ex art. 346 c.p.c. in cui la doglianza sarebbe stata riproposta avanti alla CTR e da questa non esaminata;

– Con il nono ed ultimo motivo, si censura la nullità del procedimento ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c. e al D.M. 26 aprile 1995, art. 4, comma 2, perchè il contribuente avrebbe contestato l’eccesso di potere e la documentazione ottenuta illegittimamente dai verbalizzanti, e su questa doglianza non si sarebbero pronunciate la CTP e la CTR;

– Il motivo è inammissibile per difetto di autosufficienza, in quanto viene omesso il passaggio delle controdeduzioni in appello in cui sarebbe stata riproposta la doglianza ex art. 346 c.p.c., presupposto per censurare utilmente una eventuale mancata pronuncia della CTR;

– Al rigetto del ricorso segue il regolamento delle spese di lite, come da dispositivo.

PQM

la Corte:

rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite, liquidate in Euro 5.600,00 per compensi, oltre Spese generali prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 21 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2018

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