Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33417 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. II, 17/12/2019, (ud. 18/06/2019, dep. 17/12/2019), n.33417

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4860-2016 proposto da:

PANORAMICA s.a.s di A.C. & C., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIOVANNI DELFINO;

– ricorrente –

contro

G.P. COSTRUZIONI s.r.l. in liquidazione, in persona del legale

rappresentante pro tempore;

– intimata –

sul ricorso 11819-2017 proposto da:

PANORAMICA s.a.s di A.C. & C., in persona del legale

rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato

GIOVANNI DELFINO;

– ricorrente –

contro

G.P. COSTRUZIONI s.r.l. in liquidazione, in persona del legale

rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza parziale n. 946/2015 depositata il 16/07/2015 e

la sentenza definitiva n. 1081/16 del 24.10.2016 entrambe della

CORTE D’APPELLO di GENOVA;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/06/2019 dal Consigliere ROSSANA GIANNACCARI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale IGNAZIO

PATRONE che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il giudizio trae origine dalla domanda proposta innanzi al Tribunale di Bologna dalla GP Costruzioni s.r.l. nei confronti della Panoramica s.a.s., con la quale chiedeva la condanna della convenuta al pagamento del corrispettivo delle somme extra capitolato, in relazione ad un contratto d’appalto concluso tra le parti, nella misura di Euro 39.664,25 oltre Iva, nonchè il corrispettivo della costruzione di tre box interrati.

La Panoramica s.a.s. si era difesa, sostenendo di non aver conferito alcun incarico in relazione a dette opere, che erano state effettuate su incarico degli acquirenti delle unità immobiliari.

Con sentenza non definitiva N. 946/2015 dell’8.7.2015, pubblicata il 16.7.2015, la Corte d’Appello di Genova, parzialmente riformando la sentenza di primo grado, accoglieva la domanda della GP Costruzioni s.r.l. e, per l’effetto, condannava la Panoramica s.a.s. al pagamento delle opere extra capitolato, rimettendo la causa sul ruolo per la determinazione dell’entità del corrispettivo, da effettuarsi tramite consulenza tecnica.

La corte territoriale, dando atto della contraddittorietà delle prove testimoniali, riteneva decisivo il contenuto della missiva del 26.1.2015, inviata dalla Panoramica s.a.s. alla GP Costruzioni s.r.l., con la quale la committente giustificava il mancato pagamento delle fatture per i lavori svolti dalla ditta appaltatrice ponendolo in relazione al mancato completamento delle opere previste nel contratto e delle opere concordate con i clienti. Secondo il giudice d’appello, essa costituiva la prova che dette opere non erano oggetto di autonomi contratti conclusi dagli acquirenti con la ditta appaltatrice, ma rientravano nel contratto di appalto originario, concluso tra le due società, in quanto, altrimenti, non vi sarebbe stata alcuna necessità farne menzione nella lettera con cui veniva sollecitata l’esecuzione del contratto.

Con sentenza definitiva N. 1081/2016, pubblicata il 24.10.2016, la Corte d’Appello di Genova, parzialmente riformando la sentenza di primo grado, condannava la Panoramica s.a.s. al pagamento, in favore della GP Costruzioni, del corrispettivo della somma di Euro 39.664, 25 a titolo di somme extra capitolato ed all’ulteriore somma di Euro 10.300,00 a titolo di interessi D.Lgs. n. 231 del 2002, ex art. 5 dall’1.4.2005 al saldo.

La corte territoriale riteneva applicabile ai contratti di appalto d’opera tra imprese gli interessi nella misura prevista dal D.Lgs. n. 231 del 2000 per le transazioni commerciali, come previsto dalla L. n. 161 del 2014, art. 1, comma 24 avente natura di legge interpretativa.

Sia la sentenza non definitiva che quella definitiva venivano autonomamente impugnate per cassazione.

Il ricorso avverso la sentenza non definitiva, basato su due motivi, veniva assegnato alla II Sezione Civile.

In tale giudizio la G.P. Costruzioni rimaneva intimata.

All’udienza dell’8.3 – 12.4.2018, il collegio della Sesta Sezione, rilevata la pendenza del ricorso innanzi a questa sezione avente ad oggetto la sentenza non definitiva, rimetteva la causa alla pubblica udienza.

La Panoramica s.a.s., con il patrocinio di un nuovo difensore, presentava memoria illustrativa in prossimità dell’udienza.

Il Pubblico Ministero, nella persona del Dott. Ignazio Patrone, chiedeva il rigetto di entrambi i ricorsi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso avverso la sentenza non definitiva, si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 342 c.p.c., come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto l’atto d’appello della GP Costruzioni s.r.l. non conterrebbe un progetto di sentenza, limitandosi ad invocare le ragioni esposte nel giudizio di primo grado, relative alla insussistenza di un rapporto contrattuale tra le due società, in relazione ai lavori extracontrattuali, che sarebbero stati commissionati dagli acquirenti delle singole abitazioni.

Il motivo è infondato.

Ha affermato questa Corte che, nell’ipotesi in cui il ricorrente si dolga della carenza di specificità dei motivi, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., pur trattandosi di vizio processuale, in relazione ai quali la Corte di cassazione è anche giudice del fatto, si prospetta preliminare a ogni altra questione quella concernente l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto. Solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità, quindi, diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di questa ultima valutazione la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali.

Nella specie, il ricorrente ha omesso di riportare nel ricorso, nel loro impianto specifico, i motivi di appello e, in mancanza di tale specificazione, non è possibile valutare la fondatezza del ricorso ed accertare il fatto processuale. Inoltre, vertendo la censura su una particolare struttura della motivazione della decisione di primo grado, è mancata anche la specifica illustrazione del contenuto di quest’ultima, quale onere rilevante sempre sul piano della specificità del ricorso (Cassazione civile, sez. III, 23/03/2017, n. 7406; Cassazione civile, sez. III, 23/03/2017, n. 7406; Cass. 10 gennaio 2012, n. 86; Cass. 21 maggio 2004, n. 9734).

E’, inoltre errato il richiamo al requisito del progetto di sentenza, quale elemento essenziale per soddisfare l’onere di specificità dei motivi, posto che l’art. 342 c.p.c., nel testo formulato dal D.L. n. 83 del 2012, conv., con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, richiede una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, ma non un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (Cassazione civile sez. III, 27/06/2018, n. 16914).

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e, segnatamente, della nota della Panoramica s.a.s. del 26.1.2005, della nota del 4.3.2004 e delle note del 13.7.2004, nonchè delle prove testimoniali, da cui risulterebbe che i lavori extracontrattuali non fossero stati richiesti dalla committente ma dai singoli acquirenti degli alloggi e che la ricorrente si sarebbe limitata a sollecitare la conclusione dei lavori dai medesimi commissionati.

Il motivo non è fondato.

Il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5, concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo. L’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti (Cassazione civile sez. un., 07/04/2014, n. 8053).

La società ricorrente non censura l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ma la valutazione delle prove orali e documentali, che sono demandate al giudice di merito e sono sottratte al sindacato di legittimità.

Nella specie, la corte territoriale, dando atto della contraddittorietà delle prove testimoniali, ha accertato che i lavori extra capitolato rientrassero nel rapporto sinallagmatico tra le due imprese, anche se concordate direttamente dagli acquirenti delle unità immobiliari, in quanto nella missiva del 26.1.2015 inviata a GP Costruzioni, la Panoramica aveva giustificato il mancato pagamento delle fatture a causa del mancato completamento delle opere previste nel contratto e delle opere concordate con i clienti. Secondo il ragionamento della corte di merito, se dette opere fossero state oggetto di autonomi contratti conclusi dagli acquirenti con la ditta appaltatrice, non vi sarebbe stata alcuna necessità di farne menzione nella lettera con cui veniva sollecitata l’esecuzione del contratto.

Nè il giudice di merito era tenuto a motivare sul contenuto degli altri documenti e delle altre risultanze istruttorie, di cui peraltro non riporta nemmeno il contenuto, al fine di consentire alla Corte di valutarne la decisività.

Vanno, quindi, esaminati i motivi di ricorso con i quali viene impugnata la sentenza definitiva.

Con il primo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 295 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere il giudice d’appello sospeso il giudizio in attesa della definizione della causa pregiudiziale con cui era stato riconosciuto l’obbligo di pagamento della ditta committente dei lavori extracontrattuali, che sarebbero stati svolti su incarico dei singoli acquirenti delle unità immobiliari.

Il motivo non è fondato.

Nel rapporto fra il giudizio di impugnazione di una sentenza parziale e quello che sia proseguito davanti al giudice che ha pronunciato detta sentenza, l’unica possibilità di sospensione di quest’ultimo giudizio è quella su richiesta concorde delle parti, ai sensi dell’art. 279 c.p.c., comma 4, (che trova applicazione anche nel caso di sentenza parziale sul solo “an debeatur”), restando esclusa sia la sospensione ai sensi dell’art. 295 c.p.c., sia la sospensione ai sensi dell’art. 337 c.p.c., comma 2 per l’assorbente ragione che il giudizio è unico e che per tale ragione la sentenza resa in via definitiva è sempre soggetta alle conseguenze di una decisione incompatibile sulla statuizione oggetto della sentenza parziale (Cassazione civile sez. III, 30/10/2007, n. 22944).

Con il secondo motivo di ricorso, si deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, per non aver disposto il richiamo del CTU per svolgere ulteriori accertamenti ed integrazione della relazione originaria, al fine di individuare le opere extracontrattuali, che non sarebbero dovute perchè effettuate sulla base di accordi con gli acquirenti delle singole unità immobiliari.

Il motivo non è fondato.

Anche detta censura è estranea al vizio motivazionale previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo la corte di merito esaminato il rilievo relativo all’omesso calcolo dei lavori extra capitolato, ritenendo che esso potesse essere ricavato attraverso una operazione aritmetica, ovvero detraendo dal valore delle opere effettuate il corrispettivo inizialmente previsto in contratto (pag.5 della motivazione).

Entrambi i ricorsi vanno, pertanto, rigettati.

Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

rigetta entrambi i ricorsi e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 5000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge nella misura del 15%, iva e cap come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di cassazione, il 18 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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