Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33416 del 27/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 27/12/2018, (ud. 24/04/2018, dep. 27/12/2018), n.33416

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 25598-2011 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

PAOIL SPA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 721/2010 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

LATINA, depositata il 20/07/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/04/2018 dal Consigliere Dott. BERNAZZANI PAOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SERGIO DEL CORE che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato FIORENTINO che ha chiesto

l’accoglimento.

Fatto

FATTI DI CAUSA

L’Agenzia delle Entrate propone ricorso, affidato a sei motivi, avverso la sentenza n. 721/39/10, depositata il 20.7.2010, della CTR del Lazio, sezione distaccata di Latina, che, in controversia concernente avviso di accertamento ai fini Irpef ed Ires in relazione al periodo 1.8.2004/31.7.2005, con cui erano stati recuperati a tassazione costi ritenuti indeducibili, accogliendo l’appello principale proposto della contribuente Paoil s.p.a. e rigettando l’appello incidentale dell’Agenzia delle entrate, riformava la sentenza di prime cure emessa della CTP di Latina, parzialmente favorevole al contribuente.

La contribuente è rimasta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, l’Agenzia ricorrente deduce nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 4, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, comma 2, n. 4 e art. 61, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia sull’appello incidentale proposto dall’Ufficio.

Il motivo è fondato.

Nella specie, premesso che l’ufficio formulava appello incidentale – i cui motivi sono stati debitamente riprodotti nel ricorso per cassazione, in ossequio al principio di autosufficienza – avverso la sentenza emessa dalla CTP, in relazione all’accoglimento parziale, da parte dei giudici di primo grado, del ricorso del contribuente, specificamente in punto di ripresa a tassazione per costi di manutenzione e riparazione di beni di terzi ed in merito al riconoscimento totale della deducibilità di spese di ristorazione, va osservato che nella motivazione della sentenza impugnata la CTR si è limitata, in modo sostanzialmente apodittico e meramente assertivo, ad affermare “rigetta l’appello incidentale” senza aggiungere alcun altra considerazione od argomentazione, ossia senza minimamente dare conto di aver esaminato criticamente i motivi di impugnazione formulati dall’ufficio nè esplicitare le ragioni per cui gli stessi avrebbero dovuto ritenersi infondati.

Tanto risulta in antitesi rispetto al costante insegnamento di questa Corte, secondo cui sussiste il vizio di nullità della sentenza per omessa motivazione allorchè essa sia priva dell’esposizione dei motivi in diritto sui quali è basata la decisione (Cass. Sez. 5, 16/07/2009, n. 16581, Rv. 609148 – 01; Cass. Sez. 1, 04/08/2010, n. 18108, Rv. 614462 – 01; Cass. Sez. 6 – 5, 10/08/2017, n. 19956, Rv. 645670 – 01).

2. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce violazione dell’art. 67 (ora 102) t.u.i.r. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Premesso che la società contribuente aveva stipulato un contratto di affitto di azienda, con l’avviso di accertamento l’Ufficio ha contestato alla società contribuente l’indebita deduzione di Euro 286.409,20 quali quote di ammortamento relative a beni strumentali della società affittante (Pasqualini s.p.a.), acquisiti in esercizi precedenti all’affitto d’azienda stipulato con la Paoil sp.a.

In particolare, l’Agenzia, verificato che i beni strumentali erano stati acquistati tutti entro l’anno 1994, erano stati utilizzati in maniera residuale ed erano state iscritte in bilancio quote di ammortamento inferiori al 50% della misura massima prevista dal D.M. 31 dicembre 1988, aveva escluso che il minore ammontare non ammortizzato, secondo quanto disposto dall’art. 67, comma 4, t.u.i.r. ratione temporis applicabile, potesse rientrare nel calcolo del valore residuo da ammortizzare, non essendo consentito recuperare in esercizi successivi l’importo non dedotto in precedenza, in quanto inferiore al predetto limite del 50%.

La CTR, peraltro, nell’accogliere l’appello della società contribuente, richiamava l’art. 67, comma 9, t.u.i.r. a tenore del quale, per le aziende date in affitto o in usufrutto, le quote di ammortamento sono deducibili nella determinazione del reddito dell’affittuario o dell’usufruttuario; ad avviso dell’odierna ricorrente, così operando la CTR avrebbe errato nell’individuazione del parametro normativo di riferimento in relazione alla fattispecie dedotta in giudizio, che era costituito dall’art. 67, comma 4, t.u.i.r..

Il motivo è fondato.

La disposizione di cui al comma 4 dell’art. 67 t.u.i.r., abrogata ad opera del D.Lgs. 12 dicembre 2003, n. 344, fissava un importo minimo per le quote d’ammortamento ammissibili in deduzione, costituito dal 50 per cento della quota massima stabilita dal comma 2 della medesima disposizione (il comma 2 specificamente recitava: “La deduzione è ammessa in misura non superiore a quella risultante dall’applicazione al costo dei beni dei coefficienti stabiliti con decreto del Ministro delle finanze pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, ridotti alla metà per il primo esercizio. I coefficienti sono stabiliti per categorie di beni omogenei in base al normale periodo di deperimento e consumo nei vari settori produttivi”).

In particolare, il quarto comma della norma in esame prevedeva che, “se in un esercizio l’ammortamento è fatto in misura inferiore a quella massima indicata al comma 2 le quote di ammortamento relativamente alla differenza sono deducibili negli esercizi successivi, fermi restando i limiti di cui ai precedenti commi. Tuttavia se l’ammortamento fatto in un esercizio è inferiore alla metà della misura massima il minore ammontare non concorre a formare la differenza ammortizzabile, a meno che non dipenda dalla effettiva minore utilizzazione del bene rispetto a quella normale del settore”.

Con riferimento alla prassi applicativa invocata dall’Ufficio (cfr. Agenzia delle Entrate Risoluzioni 22 aprile 2005, n. 51/E e 17 giugno 2005, n. 78/E), per i cespiti acquisiti in esercizi precedenti ed il cui processo d’ammortamento era ancora in corso al 31 dicembre 2003, l’importo in precedenza non dedotto perchè inferiore al limite del 50 per cento della quota prevista dal D.M. 31 dicembre 1988 non poteva comunque concorrere alla formazione del residuo ammortizzabile, assumendo rilevanza fiscale unicamente al momento della cessione del bene, nel senso di determinare una minore plusvalenza o una maggiore minusvalenza nei confronti del cedente.

Restava, peraltro, fermo quanto sancito dall’ultima parte del quarto comma dell’art. 67 cit., che faceva espressamente salva l’ipotesi che il minore ammortamento fosse dipeso dalla effettiva minore utilizzazione del bene rispetto a quella normale del settore.

Orbene, premesso che la società affittante aveva dedotto, nei periodi di imposta precedenti al venire in essere del rapporto di affitto di azienda, quote di ammortamento in misura inferiore al 50% della quota massima prevista, l’oggetto della controversia fra le parti – come si evince dagli stralci degli atti del giudizio di appello rappresentativi delle deduzioni e delle controdeduzioni sul punto -, era proprio l’integrazione dell’ipotesi normativa da ultimo illustrata, avendo la società contribuente affermato che la Pasqualini s.p.a. aveva applicato aliquote di ammortamento inferiori di oltre il 50 per cento della misura massima anzidetta proprio perchè effettivamente aveva utilizzato i propri beni strumentali in misura inferiore alle medie del settore; in tale prospettiva, la questione controversa riguardava, altresì, la ripartizione dell’onere della prova sul punto e le modalità del suo assolvimento.

Tanto osservato, la CTR appare non aver correttamente individuato il thema decidendum nel suo limitarsi a richiamare l’art. 67, comma 9, t.u.i.r., nel testo vigente sino al 31 dicembre 2003, a tenore del quale per le aziende date in affitto o in usufrutto le quote di ammortamento sono deducibili nella determinazione del reddito dell’affittuario o dell’usufruttuario: profilo che, come sottolineato dall’Agenzia, non era stato posto in discussione, dal momento che la contestazione, come detto, riguardava un profilo del tutto diverso, ossia la deducibilità delle differenze non ammortizzate dalla Pasqualini s.p.a. negli esercizi precedenti e ammortizzate invece dalla Paoil s.p.a. negli esercizi successivi.

La decisione, sulla base di tali rilievi, incorre dunque nel vizio di violazione e falsa applicazione di legge denunciato.

3. Con il terzo motivo di ricorso, si deduce il vizio di insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 con riferimento al medesimo profilo sopra illustrato sub specie di violazione di legge: ne consegue che l’accoglimento del secondo motivo determina l’assorbimento del motivo in esame.

4. Con il quarto motivo, l’Agenzia ricorrente lamenta la violazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, comma 1, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 42, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento all’annullamento della ripresa relativa ai costi corrispondenti a provvigioni ritenute indeducibili per difetto di competenza.

Il motivo è fondato.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, che il Collegio intende ribadire, “L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, che si riferisce solo agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza, consente di assolvere all’obbligo di motivazione degli atti tributari anche per relationem, ovvero mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessari e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione permette al contribuente ed al giudice, in sede di eventuale sindacato giurisdizionale, di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento. (Cass. Sez. 6 – 5, 11/04/2017, n. 9323, Rv. 643954 – 01); nella stessa prospettiva, si è affermato che, “In tema di motivazione per relationem degli atti d’imposizione tributaria, dello Statuto del contribuente, art. 7, comma 1, nel prevedere che debba essere allegato all’atto dell’amministrazione finanziaria ogni documento da esso richiamato in motivazione, si riferisce esclusivamente agli atti di cui il contribuente non abbia già integrale e legale conoscenza”. (Cass. Sez. 5, del 04/07/2014, n. 15327, Rv. 631550 – 01)

Nella specie, occorre osservare che la CTR ha accolto l’appello del contribuente avverso l’avviso di accertamento invocando L. n. 212 del 2000, art. 7, sulla base del presupposto che la motivazione dell’accertamento stesso faceva riferimento ad altro atto e che, tuttavia, non erano stati allegati “gli elementi riepilogativi e probanti della contestazione ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, commi 2 e 3”, con conseguente nullità dell’accertamento in parte qua.

In tale prospettiva, la decisione in esame non risulta aver fatto corretta applicazione dei principi sopra enunciati. Invero, risulta che – come documentato nel ricorso dell’Ufficio, riproduttivo delle deduzioni e delle produzioni documentali sul punto effettuate nei precedenti gradi di giudizio – l’avviso di accertamento, nella parte qui in rilievo, oltre a contenere gli elementi fondamentali, in fatto ed in diritto, della contestazione, richiama il p.v.c. redatto nei confronti della contribuente in data 15 giugno 2006 (foglio n. 26, punto n.8), il quale enuncia nel dettaglio le operazioni commerciali che avevano generato i costi per provvigioni, ritenuti indeducibili in quanto riferibili all’esercizio precedente o successivo rispetto a quello in cui gli stessi erano stati contabilizzati; lo stesso p.v.c. riporta, in tale ottica, una tabella riepilogativi in cui vengono indicati gli estremi delle nove fatture in considerazione (di cui erano precisati numero di registrazione, data, fornitore, importo totale, importo ritenuto indeducibile). Ancora, va evidenziato che il p.v.c. riproduce, sul punto, il contenuto del p.v. giornaliero di verifica redatto in data 12 giugno 2006, anch’esso regolarmente consegnato alla parte e dalla stessa sottoscritto. Quanto, poi, alle specifiche fatture indicate quali allegati al p.v.c. ed al verbale giornaliero di verifica e di cui la contribuente aveva lamentato l’omessa effettiva allegazione, va rilevato che esse si trovavano nella disponibilità della stessa contribuente, che le aveva contabilizzate, e, conseguentemente, era pienamente a conoscenza del loro contenuto, onde l’inserimento, nel contesto degli atti amministrativi citati, dello specifico prospetto riepilogativo relativo alle fatture in contestazione assicurava alla società la piena ed agevole individuazione di tali documenti, come detto da ritenersi perfettamente conosciuti.

5. Alla luce dell’accoglimento del quarto motivo, nei termini illustrati, il quinto motivo di ricorso, concernente il vizio di insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine al medesimo profilo sostanziale appena esaminato, risulta assorbito.

6. Con il sesto motivo di ricorso, l’Ufficio deduce insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento all’annullamento del recupero conseguente all’indebita deduzione del costo di Euro 10.596,60, relativo ad una sanzione amministrativa comminata dal Consorzio per lo sviluppo industriale Roma-Latina a titolo di penale per il mancato pagamento del contributo dovuto.

Il motivo è fondato.

La CTR, nell’accogliere l’appello della società contribuente, ha affermato la legittimità della deduzione del predetto costo “in quanto trattasi di contributo consortile”, “inerente all’attività di impresa”.

Così argomentando, peraltro, la CTR non mostra di aver affrontato ed esaminato criticamente la questione specificamente dedotta dall’Agenzia (cfr. le controdeduzioni depositate in appello a pag. 8, riprodotte testualmente nel ricorso), incentrata sulla natura di sanzione pecuniaria rivestita da almeno parte della somma di cui trattasi (per l’affermazione che, in casi consimili, il relativo costo non può ritenersi connesso all’attività d’impresa, giacchè, altrimenti, ne deriverebbe, in termini di riduzione del carico fiscale, una rimodulazione al ribasso della sanzione pecuniaria, non giustificata da alcuna circostanza attenuante, cfr. Cass. Sez. 5, 13/10/2011, n. 21091 Rv. 620171 – 01). Ne consegue che, avendo la sentenza di appello omesso di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento e di dar conto della disamina critica delle deduzioni dell’odierna ricorrente, con conseguente impossibilità di controllare l’esattezza e la logicità del suo ragionamento decisorio, la stessa risulta affetta dal dedotto vizio motivazionale.

In conclusione, devono essere accolti il primo, il secondo – in esso assorbito il terzo -, il quarto – in esso assorbito il quinto – ed il sesto motivo di ricorso; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai predetti motivi accolti, con rinvio alla CTR del Lazio, sezione distaccata di Latina, in diversa composizione, cui si demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo, il quarto ed il sesto motivo di ricorso, in essi assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, il 24 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2018

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