Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33416 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. II, 17/12/2019, (ud. 30/05/2019, dep. 17/12/2019), n.33416

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. SANGIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianluca – rel. Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29007-2015 proposto da:

CO.ME.CA. Snc dell’Ing. S.S.M. & C., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA DEL TRITONE 169, presso lo studio

dell’avvocato MONICA BUCARELLI, rappresentata e difesa dall’avvocato

STEFANO DE FERRARI;

– ricorrente –

contro

D.R.M., e L.L., + ALTRI OMESSI, elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA TACITO 10, presso lo studio dell’avvocato

ENRICO DANTE, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato

SERGIO ROMANELLI;

– controricorrenti –

contro

INFISSI TRASIMENO S.r.l. in liquidazione, in persona del Liquidatore

pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 605/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 05/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/05/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CELESTE

ALBERTO, che ha concluso per la rimessione alle Sezioni Unite per

quanto riguarda il primo motivo, in subordine per l’accoglimento del

primo motivo e per l’assorbimento dei restanti motivi del ricorso;

udito l’Avvocato STEFANO DE FERRARI, difensore della ricorrente, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato ENRICO DANTE, difensore dei controricorrenti, che si

è riportato agli atti depositati.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. D.R.M. e altri sette attori, tutti acquirenti di unità immobiliari, facenti parte di un edificio condominiale, loro venduti dalla costruttrice s.n.c. CO.ME.CA. dell’ing. S.S.M. & C., citavano in giudizio l’alienante al fine di sentirla condannare al pagamento di quanto occorrente per la sostituzione degli infissi, affetti da gravi difetti.

1.1. Autorizzata la chiamata in causa, su istanza della convenuta, della s.r.l. Infissi Trasimeno, che aveva prodotto i manufatti, la quale aveva, fra l’altro, eccepito l’avvenuto decorso del termine prescrizionale annuale, decorrente dalla denunzia, al fine far valere la garanzia decennale di cui all’art. 1669 c.c., il Tribunale rigettava la domanda per intervenuta prescrizione.

1.2. La Corte d’appello, alla quale si erano rivolti gli acquirenti degli immobili, nella contumacia della Infissi Trasimeno, affermata la sussistenza di idonei atti interruttivi e condivise le valutazioni del CTU, condannò la CO.ME.CA. a corrispondere, a titolo di risarcimento del danno, a ciascuno degli attori le somme in dispositivo esplicitate.

2. Avverso quest’ultima determinazione propone ricorso per cassazione la CO.ME.CA. s.n.c., allegando tre motivi di censura.

Resistono con controricorso, i condomini. La terza chiamata non ha svolto difese.

La ricorrente e i controricorrenti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la società ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1117,1139,1131,1669 e 2943 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Questa, in sintesi, la prospettazione della censura.

La Corte d’appello aveva ritenuto che le missive del 22/12/2003, 20/9/2004 e 16/12/2004, tutte inviate dall’amministratore del condominio, avessero procurato l’interruzione del termine prescrizionale. L’affermazione non viene condivisa dalla ricorrente, la quale evidenzia che:

a) i poteri rappresentativi dell’amministratore del condominio (art. 1131 c.c.) sono segnati dalle attribuzioni di cui all’art. 1130 c.c., da ciò derivando che costui è legittimato a rappresentare il condominio per la tutela delle parti comuni e non già i singoli condomini, in relazione alle parti di proprietà esclusiva;

b) con una prima lettera del 22/11/2002 l’amministratore aveva segnalato al venditore-costruttore taluni inconvenienti, fra i quali, tuttavia, non figurava lo stato degli infissi; al verbale dell’assemblea condominiale del 15/4/2003 non poteva assegnarsi valore interruttivo; la lettera del 22/12/2003, a firma di un legale, in nome e per conto dell’amministratore e “dei singoli danneggiati”, per un verso esprimeva il volere di un soggetto non legittimato (l’amministratore) e, per altro verso, faceva riferimento in forma del tutto generica ai danneggiati; il comunicato verbale assembleare del 29/1/2004, oltre a provenire dal condominio e non dai singoli condomini interessati, era privo dei requisiti di cui all’art. 2943 c.c.; la lettera del 9/3/2004 conteneva “un mero riferimento a non meglio precisati accordi intercorsi, perciò risultando priva dei requisiti della messa in mora”; quella del 13/9/2004 era stata, ancora una volta, inoltrata dall’amministratore privo di legittimazione; infine, quella dell’11/12/2004, a riguardo della quale la ricorrente non contesta l’attitudine interruttiva, era stata inoltrata da un legale di fiducia, che non rappresentava tutti i condomini in causa e, comunque, era giunta a prescrizione oramai maturata.

1.1. La censura è, nel suo complesso, priva di fondamento.

Risulta utile, sia pure in sintesi, riprendere i fatti di causa salienti, siccome spiegati dalla sentenza della Corte d’appello:

– la lettera a firma del legale del 22/12/2003, valutata dal primo Giudice inidonea perchè mancante “della chiara indicazione del soggetto obbligato”, aveva fatto seguito a una missiva dell’8/9/2003 (ricevuta il 15/9/2003), la quale, pur affrontando altre problematiche, recava l’espressa indicazione della società costruttrice, e richiamava il verbale assembleare del 15/4/2003, trasmesso sempre alla costruttrice con raccomandata del 19/4/2003 e, quindi, l’obbligato era stato inequivocamente individuato e indicato;

– all’atto interruttivo di cui alla nota del 22/12/2003, avevano fatto seguito altri atti interruttivi, tutti infra-annuali, del 13/9/2004 (ricevuto il 20/9/2004) e dell’11/12/2004 (ricevuto il 16/12/2004) e, infine l’atto introduttivo del giudizio, notificato il 15/9/2005.

La prospettazione con la quale si nega attitudine interruttiva alle lettere inviate dall’amministrazione del condominio, come correttamente rilevano i controricorrenti, appare essere nuova e, pertanto, confermandosi il ben consolidato orientamento di legittimità deve riaffermarsi che ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr., da ultimo, Sez. 2,n. 2038, 24/01/2019, Rv. 652251).

In ogni caso, la tesi, nei termini in cui viene proposta, non è condivisibile.

E’ rimasta non censurata la riforma, peraltro coinvolgente valutazione di merito, del giudizio di primo grado, secondo il quale la lettera del 22/12/2003 non individuava l’obbligato.

Quanto agli atti interruttivi infra-annuali successivi presi in considerazione dalla Corte d’appello (missiva del 13/9/2004, ricevuta il 20/9/2004, dell’11/12/2004, ricevuta il 16/12/2004), poi tempestivamente seguiti dalla notifica dell’atto introduttivo del giudizio (notifica del 15/9/2005), le mosse critiche non meritano di essere condivise, valendo quanto segue.

La legittimazione dell’amministratore derivante dall’art. 1130 c.c., comma 1, n. 4, – a compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio – gli consente di promuovere azione di responsabilità, ai sensi dell’art. 1669 c.c. nei confronti del costruttore a tutela dell’edificio nella sua unitarietà, ma non di proporre, in difetto di mandato rappresentativo dei singoli condomini, delle azioni risarcitorie per i danni subiti nelle unità immobiliari di loro proprietà esclusiva (Sez. 2, n. 22656, 8/11/2010, Rv. 615545; conf., Sez. 2, n. 217/015).

Qui, tuttavia, la questione che si pone è ben diversa: l’amministratore ha agito quale procuratore dei singoli condomini, che gliene avevano dato mandato, e non v’è ragione d’imporre una forma solenne alla procura, al di fuori dei casi previsti dalla legge. Proprio per questa ragione si è già avuto modo di condivisamente chiarire che anche se l’atto di costituzione in mora – idoneo ai fini dell’interruzione della prescrizione – richiede la forma scritta, tuttavia analoga formalità non è imposta per il conferimento della relativa procura, non operando in tale ipotesi il richiamo fatto dall’art. 1324 c.c., alla disciplina propria dei contratti per gli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale. Pertanto, l’esistenza di un potere rappresentativo a detti fini può essere provata con ogni mezzo di prova e, quindi, anche mediante presunzioni (Sez. L., n. 9046, 16/4/2007, Rv. 596176).

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,345,346 e 347 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Afferma il ricorso che la sentenza d’appello aveva liquidato come manifestamente infondata la pretesa di essere garantita dalla società che aveva fabbricato gli infissi, perchè il contratto intercorso con quest’ultima era da qualificarsi come di compravendita e non di appalto, con la conseguenza che la chiamante era incorsa in decadenza ai sensi dell’art. 1495, c.c., non avendo denunziato i vizi nel termine decadenziale di otto giorni.

L’asserto violava l’art. 346 c.p.c. La decadenza di cui detto deve, infatti, essere eccepita dalla parte che ne ha interesse e non può giammai essere rilevata d’ufficio dal giudice.

La chiamata, che costituitasi in primo grado, aveva dedotto l’eccezione, era rimasta, tuttavia, contumace in appello. Or poichè la regola predicata dall’art. 346 c.p.c., deve valere anche per la parte rimasta contumace in appello, la quale non può pretendere un regime di favore rispetto all’appellante, l’eccezione in discorso, non più riproposta in secondo grado, avrebbe dovuto intendersi rinunciata.

2.1. Il motivo è fondato per le ragioni che seguono.

Questa Corte ha reiteratamente avuto modo di chiarire che il principio sancito dall’art. 346 c.p.c., che intende rinunciate e non più riesaminabili le domande ed eccezioni non accolte dalla sentenza di primo grado che non siano state espressamente riproposte in appello, trova applicazione anche nei riguardi dell’appellato rimasto contumace in sede di gravame, in coerenza con il carattere devolutivo dell’appello, così ponendo appellato e appellante su un plano di parità – senza attribuire alla parte, rimasta inattiva ed estranea alla fase di appello, un posizione sostanzialmente di maggior favore – sì da far gravare su entrambi, e non solo sull’appellante, l’onere di prospettare al giudice del gravame le questioni (domande ed eccezioni) risolte in senso ad essi sfavorevole (Sez. 3, n. 28454, 1912/2013; conf., Cass. n. 23489/07).

Di conseguenza la Corte d’appello non avrebbe potuto d’ufficio prendere in esame l’eccezione.

3. Con il terzo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5; nonchè violazione dell’art. 1027 (rectius, art. 1227) c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Vengono evidenziati due profili censuratori.

Il primo, con il quale si critica la sentenza per avere “pedissequamente” riportata il contenuto della CTU, nonostante “non fosse affatto così univoca e chiara nell’individuare la responsabilità dei soggetti coinvolti nel giudizio” è inammissibile, stante che sotto l’usbergo dell’omesso esame, in effetti insussistente, mira ad un improprio riesame di merito.

Il secondo è, invece, fondato.

Assume a ragione la CO.ME.CA. che il perito aveva individuato una concausa nel difetto di manutenzione (e di ciò dà atto la sentenza a pag. 19), ma la Corte d’appello sul punto non svolge alcuna pertinente osservazione in rapporto al contenuto dell’art. 1227 c.c., comma 1, che, come noto, impone vaglio d’ufficio, a differenza dell’ipotesi di cui al comma 2 medesimo articolo (cfr., da ultimo, Sez. 3, n. 19218, 19/07/2018).

4. In considerazione di quanto esposto, la sentenza deve essere cassata con rinvio, nei limiti di quanto spiegato, potendosi, inoltre, devolvere al Giudice del rinvio la statuizione sul capo delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il secondo e il terzo motivo del ricorso per quanto in motivazione e rigetta il primo; cassa e rinvia, in relazione agli accolti motivi, alla Corte d’appello di Genova, altra sezione, anche per la statuizione sul capo delle spese del presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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