Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33414 del 27/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 27/12/2018, (ud. 24/04/2018, dep. 27/12/2018), n.33414

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 15572/2012 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici domicilia, in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

Edil Euro 2000 s.r.l., unipersonale in liquidazione, in persona del

legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv.

Giuseppe Tinelli e dall’Avv. Giovanni Contestabile, elettivamente

domiciliata presso il loro studio, in Roma, via Quattro Fontane n.

15, giusta delega a margine del ricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Regionale della Lombardia n.

90/64/2011 depositata il 3 maggio 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24 aprile 2018

dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale dott. Sergio Del Core, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Giovanni Contestabile per la Edil Euro 2000 s.r.l. in

liquidazione.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle entrate, a seguito di processo verbale di constatazione, emetteva avviso di accertamento nei confronti della Edil Euro 2000 s.r.l., per il periodo 1-1-2003/31-12-2003), riprendendo a tassazione la somma di Euro 1.358.400,00 ai fini Iva e quella di Euro 6.792.000,00 ai fini Irpeg e Irap, evidenziando che la società aveva ricevuto in subappalto dalla CSC s.p.a. lavori edili in vari cantieri, e li aveva a sua volta subappaltati alla Nuova Edil di P.G., che i lavori si erano conclusi con la loro consegna alla Edil Euro 2000, con accettazione da parte della stessa, che però la Nuova Edil aveva emesso fatture per importi complessivamente superiori a quanto contrattualmente previsto, che le fatture a fronte di “acconti in corso d’opera” erano state emesse dopo la data di chiusura dei cantieri, che i pagamenti erano avvenuti in contanti e solo saltuariamente con assegni, che però la Nuova Edil aveva emesso note di credito dopo l’anno, consentendo alla Edil Euro 2000 di non versare l’Iva dovuta, che le fatture si riferivano ad operazioni inesistenti.

2. Proponeva ricorso la società dinanzi alla Commissione tributaria provinciale che lo accoglieva.

3. La Commissione tributaria regionale rigettava il gravame proposto dalla Agenzia delle entrate, rilevando che la contabilità era stata tenuta in modo ineccepibile, che i rapporti di lavoro si erano svolti secondo una procedura dettagliatissima, che l’Agenzia delle entrate aveva fornito solo meri indizi della inesistenza delle operazioni, che l’Ufficio non aveva dimostrato i presupposti della evasione fiscale, che non era stato provato che l’emissione delle fatture oltre il limite ritenuto congruo e legittimo, stornate con note di credito, avesse dato luogo ad intenti sicuramente evasivi, che la mancata riproposizione di argomentazioni ne aveva determinato la loro rinuncia, che che l’Agenzia aveva esposto solo sinteticamente le argomentazioni con l’atto di appello, che altre sentenze di merito tra le stesse parti avevano valenza ai fini della decisione, che era stata disposta l’archiviazione del procedimento penale nei confronti degli amministratori della CSC e della Edil.

4. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.

5. Resisteva con controricorso la società.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Anzitutto, si rileva che la sentenza della Suprema Corte n. 25756 del 5-12-2014, indicata dalla Procura Generale in sede di discussione, non può costituire giudicato per il presente giudizio, in quanto la società Edil Euro 2000 non ha partecipato a quel giudizio, che si è svolto tra parti diverse.

Inoltre, le fatture relative al rapporto di subappalto tra Edil Euro 2000 e Nuova Edil di P.G. sono diverse da quelle oggetto del giudizio già definito dalla Suprema Corte, che si è pronunciata solo per l’Iva, in relazione al rapporto intercorso tra Csc, Edil Euro 2000, Nuove Costruzioni s.r.l. e Nuova Edil di P.G..

1.1. Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “omessa o insufficiente motivazione su punti di fatto decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto la Commissione regionale, nel respingere il gravame, ha ritenuto che l’Agenzia ha fondato l’accertamento sulla circostanza che, pur sussistendo indizi della inesistenza delle operazioni di subappalto fatturate dalla Nuova Edil di P.G. alla Edil Euro 2000, non vi erano però certezze, in quanto i cantieri esistevano realmente ed i lavori erano stati effettivamente eseguiti. In realtà, la Edil Euro 2000 ha approfittato dei cantieri aperti per i lavori appaltati dalla Csc e da essa subappaltati alla Nuova Edil, allo scopo di innestare sulla fatturazione di tali lavori un movimento di fatture per operazioni inesistenti e di note di credito anch’esse inesistenti, con l’effetto di creare costi fittizi deducibili e Iva a debito detraibile. Gli indizi gravi, precisi e concordanti consistono nella emissione delle fattura da parte della Nuova Edil alla Edil Euro nel 2003, tutte dopo l’ultimazione dei lavori e di importo nettamente superiore al prezzo dei lavori stabilito nei contratti, con emissione di nota di credito dopo l’anno. I maggiori importi fatturati dalla Nuova Edil, allora, servivano solo a consentire alla Edil Euro 2000, destinataria delle fatture, di esporre costi deducibili ed una Iva “a monte” detraibile, divenuta intangibile per il decorso del termine annuale di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 26, comma 3. Inoltre, i pagamenti alla Nuova Edil avvenivano in contanti e la Nuova Edil non presentava dichiarazioni Iva non corrispondendo alcunchè a tale titolo.

1.2. Tale motivo è infondato.

Invero, la ricorrente chiede una nuova valutazione delle risultanze istruttorie, già pienamente apprezzate dalla Commissione regionale, con idonea e congrua motivazione, indagine però non consentita in sede di legittimità.

Va condiviso, dunque, l’apparato motivazionale complessivo, costruito su una serie di passaggi logici ineccepibili e pienamente soddisfacenti ai fini della esposizione del tessuto logico argomentativo della decisione.

In particolare, la Commissione tributaria regionale ha chiarito che la contabilità dei lavori è stata tenuta in modo ineccepibile, che i rapporti di lavoro si sono svolti secondo una procedura “capillare e dettagliatissima”, che gli elementi indiziaria non avevano le caratteristiche di una vera e propria prova, che non è stato provato che il meccanismo fosse volto a finalità di evasione, che non è stato dimostrato che l’emissione di fatture oltre il limite ritenuto congruo, stornate con note di credito, abbia dato luogo ad intenti sicuramente evasivi, che altre pronunce di merito, relative ad altri anni, hanno riconosciuto la legittimità della condotta della società, che il procedimento penale a carico degli amministratori delle società si era concluso con l’archiviazione.

Infatti, la fatturazione di una operazione viene annullata con l’emissione della nota di credito da parte del cedente (la Nuova Edil), in base alla quale il cedente restituisce l’importo dell’Iva al cessionario (Edil Euro 2000), recuperandolo dallo Stato mediante una corrispondente riduzione dell’Iva a debito. Il cessionario, ove soggetto Iva, deve riversare tale importo allo Stato per controbilanciare la detrazione a suo tempo effettuata per la fattura oggetto di rettifica.

Se decorre l’anno, invece, tale meccanismo non può operare, sicchè la società cedente (Nuova Edil) mantiene il debito Iva, senza avere la possibilità di detrarla.

2. Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, “, in quanto gli elementi gravi, precisi e concordanti addotti dall”Ufficio non sono stati contestati dalla società, che si è limitata a generiche spiegazioni. L’Agenzia, quindi, ha fornito la prova che ad esso incombeva, restando a carico della contribuente fornire elementi di prova contraria atti a neutralizzare la portata indiziaria degli elementi portati dalla Agenzia delle entrate.

2. Tale motivo è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Invero, quanto alla asserita non contestazione dei fatti, l’Agenzia non ha indicato gli atti processuali dai quali desumere l’allegazione dei concreti elementi addotti dalla Agenzia per dimostrare l’inesistenza delle operazioni fatturate e le difese asseritamente generiche della società sui singoli aspetti. Infatti, ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica (Cass. Civ., 12 ottobre 2017, n. 24062).

Inoltre, secondo la Commissione tributaria l’Agenzia delle entrate non ha fornito indizi gravi, precisi e concordanti in ordine alla pretesa inesistenza delle operazioni, essendosi limitata ad allegare che le fatture sono state emesse dalla Nuova Edil dopo la chiusura del cantiere e con la formula “acconti in corso di prestazione”, e che quest’ultima ha emesso una nota di credito oltre il decorso del termine annuale.

Infatti, in tema di contenzioso tributario, l’Amministrazione finanziaria, ove contesti l’inesistenza di operazioni assunte a presupposto della deducibilità dei relativi costi e di detraibilità della relativa imposta, ha l’onere di provare, anche mediante presunzioni semplici, che dette operazioni, in realtà, non sono state effettuate, mentre, in presenza di siffatta prova, spetta al contribuente dimostrare la fonte legittima della detrazione o del costo altrimenti indeducibili (Cass. Civ., 5 dicembre 2014, n. 25775; Cass. Civ., 14 gennaio 2015, n. 428). Pertanto, la Commissione ha fatto corretta applicazione del principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c.

3. Con il terzo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, in quanto la Commissione regionale ha fatto riferimento alla “mancata riproposizione di argomenti proposti in primo grado” dalla parte “controdeducente”, mentre l’Ufficio si è limitato a dedurre una sola tesi di merito, in violazione quindi degli artt. 112 e 115 c.p.c..

3.1. Tale motivo è inammissibile.

Invero, la Commissione regionale, nell’ambito di una più generale ed articolata motivazione, si è limitata ad affermare che “La mancata riproposizione delle argomentazioni, specificatamente e dettagliatamente esposte dalla parte controdeducente, avanzate in primo grado di giudizio, ritenute sostanzialmente irrilevanti dalla Commissione Tributaria Provinciale, determina la loro rinuncia nella presente sede per la mancata riproposizione delle stesse”.

L’Agenzia, però, avrebbe dovuto indicare con precisione gli scritti difensivi in cui erano contenute le proprie allegazioni ed il tenore delle stesse, in modo da consentire alla Corte, di valutare l’eventuale violazione degli artt. 115,112 c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 (Cass. Civ., 30 aprile 2010, n. 10605; Cass. Civ., 19 marzo 2007, n. 6361).

Peraltro, la parte della motivazione censurata non rappresenta il pilastro centrale della motivazione, ma solo una considerazione periferica della Commissione, in ordine alla mancata riproposizione di argomentazioni, neppure indicate nel loro contenuto, sicchè il motivo risulta inammissibile anche per irrilevanza ai fini del decidere e per genericità.

La violazione dell’art. 115 c.p.c., non consente di comprendere, in assenza di allegazioni puntuali, quali prove sono state prese dal Giudice a fondamento della sua decisione in modo asseritamente illegittimo.

4. Con il quarto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione del D.Lgs n. 546 del 1992, art. 53 comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”, in quanto la Commissione regionale avrebbe ritenuto inammissibile l’appello della Agenzia delle entrate per difetto di specificità dei motivi.

4.1. Tale motivo è infondato.

Invero, la Commissione tributaria, pur evidenziando, in un passaggio non decisivo ai fini della motivazione, che “Ancor più pregnante è il fatto che la sinteticità e concisione, riscontrate dall’Ufficio nei confronti della sentenza impugnata, viene nella presente sede attuata dall’Ufficio stesso, il quale espone sinteticamente argomentazioni, che presuppongono implicitamente la conoscenza e soprattutto la valenza delle presunzioni già avanzate, ma con approfondimenti delle tesi proposte nella sede precedente”, non pronuncia una sentenza di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità dei motivi.

5. Con il quinto motivo di impugnazione la ricorrente deduce “omessa o insufficiente motivazione su punti di fatto decisivi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5. Motivazione contraddittoria, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, in quanto la Commissione tributaria ha errato quando ha ritenuto irrilevante la sentenza della medesima Commissione, perchè riferita ad altro anno (2004), ed ha richiamato a favore della tesi della società altre pronunce di merito, senza indicarne il contenuto. In particolare, la sentenza della Commissione provinciale 27/12/09 è la sentenza del presente giudizio; quella n. 22/5/2008 riguarda l’anno 2004; quella n. 182/02/08 riguarda la Csc s.p.a..

6. Con il sesto motivo di impugnazione la ricorrente censura la decisione per “violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p. e dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, in quanto l’ordinanza di archiviazione non è vincolante nel giudizio tributario, essendo il processo penale fondato sul principio della prova della responsabilità “oltre ogni ragionevole dubbio”.

6.1. Tali motivi, che vanno trattati unitamente per ragioni di connessione, sono è infondati.

Invero, la Commissione, con ampia motivazione, ha tenuto conto di molti elementi per giungere al rigetto dell’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, senza considerare in via prioritaria le risultanze di altre pronunce di merito rese dalle Commissioni provinciale o l’ordinanza di archiviazione emessa dal Gip presso il Tribunale di Bergamo.

In particolare, la Commissione ha ritenuto insussistente la prova indiziaria addotta dalla Agenzia delle entrate, per la dimostrazione del carattere fittizio delle operazioni.

Per la Suprema Corte, poi, in materia di contenzioso tributario, nessuna automatica autorità di cosa giudicata può attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati fiscali, ancorchè i fatti esaminati in sede penale siano gli stessi che fondano l’accertamento degli Uffici finanziari, dal momento che nel processo tributario vigono i limiti in tema di prova posti del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, e trovano ingresso, invece, anche presunzioni semplici, di per sè inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Ne consegue che l’imputato assolto in sede penale, anche con formula piena, per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste, può essere ritenuto responsabile fiscalmente qualora l’atto impositivo risulti fondato su validi indizi, insufficienti per un giudizio di responsabilità penale, ma adeguati, fino a prova contraria, nel giudizio tributario (Cass. Civ., 28 giugno 2017, n. 16262).

Si è ulteriormente precisato che nel processo tributario, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula “perchè il fatto non sussiste”, non spiega automaticamente efficacia di giudicato, ancorchè i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente, ma può essere presa in considerazione come possibile fonte di prova dal giudice tributario, il quale nell’esercizio dei propri poteri di valutazione, deve verificarne la rilevanza nell’ambito specifico in cui detta sentenza è destinata ad operare (Cass. Civ., 22 maggio 2015, n. 10578), sicchè tale sentenza rappresenta un semplice elemento di prova, liberamente valutabile in rapporto alle ulteriori risultanze istruttorie, anche di natura presuntiva (Cass. Civ., 13 febbraio 2015, n. 2938; Cass. Civ., 27 febbraio 2013, n. 4924; Cass. Civ., 28 ottobre 2016, n. 21873).

La Commissione non ha attribuito carattere di cosa giudicata alla pronuncia di archiviazione, ma la ha valutata in relazione agli altri elementi probatori in atti.

7. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico della Agenzia delle entrate e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna l’Agenzia delle entrate a rimborsare in favore della società le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 14.000,00, oltre accessori di legge e spese forfettarie nella misura del 15 %.

Così deciso in Roma, il 24 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2018

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