Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33414 del 11/11/2021

Cassazione civile sez. VI, 11/11/2021, (ud. 17/06/2021, dep. 11/11/2021), n.33414

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31552-2019 proposto da:

B.P., in proprio e nella qualità di amministratore unico

della (OMISSIS) SRL, A SOCIO UNICO, elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato ANGELO CURCIULLO;

– ricorrente –

contro

SICAB SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DUI GRACCHI 91, presso lo

studio dell’avvocato PIERFRANCESCO TORRISI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ALFIO FRANCO AMATO;

– controricorrente –

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO (OMISSIS) SRL;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1904/2019 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 3/9/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 17/6/2021 dal Consigliere Relatore Dott. ALBERTO

PAZZI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Il Tribunale di Catania, con sentenza n. 90/2019, dichiarava il fallimento di (OMISSIS) s.r.l. su istanza di S.I.Ca.B. s.r.l..

2. La Corte d’appello di Catania, con sentenza pubblicata in data 3 settembre 2019, rigettava il reclamo presentato dalla compagine debitrice, ritenendo che non esistesse alcun obbligo di notificare l’istanza di fallimento presso la residenza del legale rappresentante della società.

Il collegio del reclamo, preso atto che il titolo vantato dall’istante era oramai definitivamente esecutivo, rilevava poi che la reclamante, nonostante che la sua attività fosse cessata e il pignoramento mobiliare subito avesse dato esito negativo, nulla aveva dedotto in ordine alla capacità di soddisfare regolarmente i propri debiti.

3. Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso B.P., in proprio e quale amministratore unico di (OMISSIS) s.r.l., prospettando quattro motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso S.I.Ca.B. s.r.l..

Il fallimento di (OMISSIS) s.r.l. non ha svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

4. Il primo motivo di ricorso lamenta l’inesistenza o la nullità della notifica dell’istanza di fallimento, dato che la stessa non era stata estesa anche presso la residenza del legale rappresentante della società.

La Corte d’appello avrebbe così errato nel ravvisare la regolarità e la legittimità del procedimento di notificazione dell’istanza di fallimento, in quanto il disposto della L. Fall., art. 15, comma 3, non esclude l’applicabilità dell’art. 145 c.p.c..

5. Il motivo non è fondato.

La giurisprudenza di questa Corte, infatti, è ferma nel ritenere che la L. Fall., art. 15, comma 3, abbia introdotto in materia fallimentare una disciplina speciale, del tutto distinta da quella che, nel codice di rito, regola le notificazioni degli atti del processo, sicché va escluso che residuino ipotesi in cui il ricorso di fallimento e il decreto di convocazione debbano essere notificati, ai sensi dell’art. 138 c.p.c. e segg. o art. 145 c.p.c. (a seconda che l’impresa esercitata dal debitore sia individuale o collettiva), nei diretti confronti del titolare della ditta o del legale rappresentante della società (cfr. Cass. n. 16864/2018, Cass. n. 6378/2018, Cass. n. 5080/2018, Cass.n. 602/2017, Cass. n. 17946/2016).

6. Il secondo motivo di ricorso denuncia l’illegittimità costituzionale della L. Fall., art. 15, comma 3, in relazione agli artt. 3,24 e 41 Cost., perché la mancata previsione di un avviso al fallendo circa l’avvenuto deposito dell’istanza di fallimento presso la casa comunale sarebbe lesiva del suo diritto di difesa.

7. Il carattere speciale della L. Fall., art. 15, comma 3, sotto il profilo della sua maggiore semplicità rispetto al corrispondente regime ordinario codicistico, per la notificazione del ricorso di fallimento – che fa gravare sull’imprenditore le conseguenze negative derivanti dal mancato rispetto degli obblighi di dotarsi di indirizzo p.e.c. e di tenerlo operativo e di rendersi reperibile presso la propria sede – intende positivizzare e rafforzare il principio secondo cui il Tribunale, pur essendo tenuto a disporre la previa comparizione in Camera di consiglio del debitore fallendo e ad effettuare, a tal fine, ogni ricerca per provvedere alla notificazione dell’avviso di convocazione, è esonerato dal compimento di ulteriori formalità allorché la situazione di irreperibilità di questi debba imputarsi alla sua stessa negligenza e/o a una condotta non conforme agli obblighi di correttezza di un operatore economico (cfr. Cass. n. 6836/2018, Cass. n. 23728/2017, Cass. n. 602/2017).

In questa prospettiva interpretativa risulta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., della L. Fall., art. 15, comma 3, laddove esso prevede la notificazione del ricorso alla persona giuridica nella sequenza stabilita dalla norma e non nelle forme ordinarie di cui all’art. 145 c.p.c., senza necessità di avvisare il destinatario dell’avvenuto deposito presso la casa comunale, in quanto (come già affamato da Corte Cost. n. 146/2016 e n. 162/2017) la diversità delle fattispecie a confronto giustifica, in termini di ragionevolezza, la differente disciplina.

L’art. 145 c.p.c., infatti, è esclusivamente finalizzato ad assicurare alla persona giuridica l’effettivo esercizio del diritto di difesa in relazione agli atti ad essa indirizzati, mentre la contestata disposizione si propone di coniugare la stessa finalità di tutela del medesimo diritto dell’imprenditore collettivo con le esigenze di celerità e speditezza proprie del procedimento concorsuale, caratterizzato da speciali e complessi interessi, anche di natura pubblica, idonei a rendere ragionevole ed adeguato un diverso meccanismo di garanzia di quel diritto, che tenga conto della violazione, da parte dell’imprenditore collettivo, degli obblighi, previsti per legge, di munirsi di un indirizzo di p.e.c. e di tenerlo attivo durante la vita dell’impresa (Cass. n. 26333/2016) e rendersi reperibile presso la sede della sua impresa.

8. Il terzo motivo di ricorso si duole dell’inesistenza della notificazione del titolo esecutivo vantato dal creditore istante.

9. Il motivo è inammissibile.

Ciò non solo perché la doglianza corrisponde a una questione nuova, non posta avanti alla Corte d’appello (avanti alla quale l’odierno ricorrente si è limitato a sostenere che il credito dell’istante era nettamente inferiore a 30.000) e inammissibile in questa sede (Cass. n. 1377/2003), ma anche perché quest’ultima ha acclarato in fatto che il decreto ingiuntivo era ormai definitivamente esecutivo, con un accertamento di merito che non può essere rivisto in questa sede.

10. Il quarto motivo di ricorso assume che la compagine reclamante abbia denunciato il fatto che il Tribunale si fosse limitato a prendere atto della sussistenza di un modesto debito, senza verificare il ricorrere degli ulteriori presupposti necessari per procedere alla dichiarazione di fallimento.

In particolare, il credito dell’istante era inferiore al limite previsto dalla L. Fall., art. 15, u.c., non sussisteva uno stato di insolvenza, né erano emersi debiti di rilievo.

A queste censure la Corte d’appello – in tesi – non ha dato risposta.

11. In realtà la Corte d’appello non solo ha accertato che il credito dell’istante, portato da un titolo definitivamente esecutivo, era superiore al limite previsto dalla L. Fall., art. 15, u.c., ma ha anche aggiunto che nulla il debitore aveva allegato e provato circa la propria capacità di soddisfare regolarmente i propri debiti, traendone la dimostrazione del suo stato di insolvenza.

Il mezzo in esame non censura specificamente questi argomenti, per mezzo dei quali la Corte di merito ha motivatamente accertato la sussistenza di tutti i presupposti per la dichiarazione di fallimento.

Il che compromette l’ammissibilità della censura.

Il ricorso per cassazione, infatti, deve contestare specificamente la ratio decidendi posta a fondamento della pronuncia oggetto di impugnazione (Cass. n. 19989/2017); e ciò tramite l’esposizione di motivi, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata (Cass. n. 4905/2020, n. 18421/2009, Cass. n. 15952/2007, n. 6219/2005, n. 3741/2004).

11. Per tutto quanto sopra esposto, il ricorso deve essere respinto.

PQM

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 6.100, di cui Euro 100 per esborsi, oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 giugno 2021.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2021

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