Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33412 del 27/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 27/12/2018, (ud. 24/04/2018, dep. 27/12/2018), n.33412

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 17491/2011 R.G. proposto da:

R.A., rappresentato e difeso dall’Avv. Pasquale Caso,

elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. Pasquale De

Facendis in Roma, via Gaviniana n. 2, giusta delega a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale

dello Stato, presso i cui uffici domicilia, in Roma, Via dei

Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Regionale della Puglia n.

63/14/2010 depositata il 28 maggio 2010.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24 aprile 2018

dal Consigliere Dott. D’Orazio Luigi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale dott. Sergio Del Core, che ha concluso chiedendo il rigetto

del ricorso;

Nessun difensore delle parti è presente;

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con avviso di accertamento parziale ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, notificato il 30-10-2007, a seguito di processo verbale di constatazione, l’Agenzia delle entrate procedeva alla rideterminazione dei redditi di R.A. per l’anno 2002, a titolo di Irpef, Irap, Iva ed Addizionale comunale, determinando un maggior reddito di Euro 244.555,00, con maggiori imposte per Euro 147.533,00, tenendo conto delle rimanenze finali al 31-12-2001 ed iniziali, quindi, all’1-1-2002 pari ad Euro 289.929,00, confrontate con quelle al momento della verifica pari ad Euro 65.461,45, in data 14-3-2002.

2. Proponeva ricorso il contribuente deducendo la motivazione inesistente dell’avviso, l’erronea applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9 (condono), la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, in tema di avviso di accertamento parziale, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, per l’assenza dei presupposti (presunzioni gravi, precise e concordanti) per l’accertamento induttivo, la violazione del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 5, nella determinazione delle sanzioni in quanto si era fatto riferimento ad un debito Iva in realtà non dovuto.

3. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso del contribuente, ma rigettava il motivo sulla asserita inesistenza della motivazione dell’avviso di accertamento.

4. La Commissione tributaria regionale accoglieva l’appello proposto dalla Agenzia delle entrate, evidenziando che la domanda di condono era inefficace in quanto il contribuente non aveva definito il processo verbale di constatazione della Guardia di finanza a lui “consegnato” in data 9-4-2002, che il D.L. n. 143 del 2003, art. 1, comma 2 terdecies, impediva comunque l’accesso al condono se il processo verbale di constatazione non veniva superato da un avviso di accertamento in rettifica oppure non era annullato in via di autotutela, che le violazioni riguardanti le scritture contabili erano gravi, numerose e reiterate sì da far venir meno l’attendibilità complessiva dei dati contabili, che era stato, quindi, correttamente utilizzato il criterio induttivo di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, che le giacenze finali al 31-12-2001 erano di Euro 289.929,90, da cui andavano detratte quelle riscontrate alla data di inizio della verifica (14-3-2002), con applicazione del ricarico nella percentuale del 30,83 %, che il credito Iva di cui alla dichiarazione del 1997 era stato già utilizzato in compensazione del debito Iva negli anni 1998, 1999 e 2000, come risultava dalla sentenza n. 66/12/07 pronunciata dalla Commissione provinciale tributaria di Bari, richiamata dal contribuente.

5. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il contribuente.

6. Resisteva con controricorso l’Agenzia delle entrate.

7. Il ricorrente depositava memoria scritta.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 227 c.p.c., nonchè del D.M. 16 luglio 1926, art. 4, D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis (applicabile nel tempo), art. 39 e art. 42, L. n. 241 del 1990, art. 3, L. n. 212 del 2000, art. 7, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto la Commissione tributaria regionale non ha pronunciato su tutte le eccezioni presentate nelle controdeduzione nel giudizio di appello. In particolare, la Commissione regionale ha omesso di pronunciare sulla errata applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 9,in assenza di un espresso atto di rigetto dell’istanza di condono, oltre che sulla qualificazione giuridica del processo verbale di constatazione, sulla errata applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, sulla violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, sulla violazione delle disposizioni sulla motivazione dell’avviso di accertamento (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42,L. n. 212 del 2000, art. 7,L. n. 241 del 1990, artt. 3 e 10 bis).

1. Tale motivo è infondato.

Invero, la Commissione tributaria regionale si è pronunciata sulle questioni sollevate dal contribuente nelle controdeduzioni in appello, rilevando l’inefficacia della istanza di condono per la mancata definizione del precedente processo verbale di constatazione, sulla equiparazione della consegna del processo verbale alla sua notificazione, quale causa ostativa al condono, sulla corretta applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, in tema di avviso di accertamento parziale (cfr. pagina 1 della motivazione della sentenza (“legittimità dell’accertamento….operato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 41 bis, come modificato dalla L. n. 311 del 2004….”), sulla correttezza dell’accertamento induttivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, in ragione delle “gravi, numerose e reiterate” violazioni riscontrate dalla Guardia di finanza nel corso della verifica fiscale.

Quanto al vizio di motivazione dell’avviso di accertamento, si rileva che la Commissione tributaria provinciale, pur accogliendo il ricorso del contribuente, ha però rigettato il motivo di ricorso fondato sulla asserita inesistenza della motivazione dell’avviso (cfr. motivazione della CTP riportata a pagina 5 del controricorso “L’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento per carenza di motivazione formulata dal ricorrente, merita di essere disattesa”).

Trattandosi di domanda espressamente disattesa, il contribuente, al fine di impedire il passaggio in giudicato della statuizione, avrebbe dovuto proporre appello incidentale, non essendo sufficiente la mera riproposizione della questione con le controdeduzioni in appello.

Infatti, per le Sezioni Unite, in tema di impugnazioni, qualora un’eccezione di merito sia stata respinta in primo grado, in modo espresso o attraverso un’enunciazione indiretta che ne sottenda, chiaramente ed inequivocamente, la valutazione di infondatezza, la devoluzione al giudice d’appello della sua cognizione, da parte del convenuto rimasto vittorioso quanto all’esito finale della lite, esige la proposizione del gravame incidentale, non essendone, altrimenti, possibile il rilievo officioso ex art. 345 c.p.c., comma 2 (per il giudicato interno formatosi ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2), nè sufficiente la mera riproposizione, utilizzabile, invece, e da effettuarsi in modo espresso, ove quella eccezione non sia stata oggetto di alcun esame, diretto o indiretto, ad opera del giudice di prime cure, chiarendosi, altresì, che, in tal caso, la mancanza di detta riproposizione rende irrilevante in appello l’eccezione, se il potere di sua rilevazione è riservato solo alla parte, mentre, se competa anche al giudice, non ne impedisce a quest’ultimo l’esercizio ex art. 345 c.p.c., comma 2, (Cass. Civ., Sez. Un., 12 maggio 2017, n. 11799).

2. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002,. art. 9, così come integrata del D.L. n. 143 del 2003, art. 1, comma 2 terdecies, convertito in L. n. 212 del 2003, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto il processo verbale di constatazione della Guardia di finanza è stata solo “consegnato”, ma non notificato al ricorrente, prima della entrata in vigore della L. n. 289 del 2002, sicchè non era ostativo all’accesso al condono. Inoltre, alcun avviso di accertamento è stato notificato al contribuente prima della entrata in vigore della L. n. 212 del 2003, quindi prima del 12.8.2003. L’avviso di accertamento è stato notificato, invece, nel 2007. Nè vi è stato un formale atto di rigetto dell’istanza di condono.

2.1. Tale motivo è infondato.

Invero, per la Suprema Corte (Cass. Civ., 18 dicembre 2014, n. 26702), in tema di condono fiscale, la “consegna” al contribuente di un processo verbale di constatazione, redatto all’esito di una verifica della Guardia di Finanza “con esito positivo”, rende inoperante la definizione automatica per l’anno a cui si riferisce, prevista della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, analogamente alla notifica del predetto verbale, atteso che, a tal fine, rileva la funzione e non la provenienza dell’atto, mentre l’attestazione di avvenuta consegna del verbale al contribuente, risultante dalla sottoscrizione per ricevuta, è idonea a soddisfare la medesima esigenza di certezza sottesa alla notificazione, ossia la piena conoscenza dell’atto da parte del destinatario.

Il D.L. n. 143 del 2003, art. 1, comma 2 terdecies, convertito in L. n. 212 del 2003, prevede, poi, che “Gli stessi effetti di cui alla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 10, sono altresì prodotti nel caso in cui, prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il processo verbale di constatazione non abbia dato luogo ad avviso di accertamento o rettifica nei confronti del contribuente a seguito di provvedimento dell’Amministrazione finanziaria ovvero nel caso in cui l’avviso di accertamento emesso dall’ufficio sia stato annullato per autotutela”.

La Suprema Corte ha affermato, sul punto, che la notifica del verbale di constatazione costituisce causa ostativa al condono cd. tombale per anni pregressi a norma della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 14, anche per i contribuenti che non abbiano ancora ricevuto il conseguente avviso di accertamento alla data di entrata in vigore del D.L. 24 giugno 2003, n. 143, art. 1, comma 2 terdecies, introdotto dalla L. di conversione 1 agosto 2003, n. 212, poichè questa previsione ha la funzione di precisare la portata del principio, escludendo l’efficacia preclusiva del verbale previamente notificato laddove l’esito positivo dello stesso sia smentito da una contraria determinazione dell’ufficio impositore (Cass. Civ., 7 gennaio 2015, n. 34; Cass. Civ., 27 luglio 2012, n. 13442).

3.Con il terzo motivo si deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42,D.P.R. n. 633 del 1972, art. 56,L. n. 241 del 1990, art. 3,L. n. 212 del 2000, art. 7, degli artt. 112 e 277 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”, in quanto l’avviso di accertamento si limitata solo a riportare acriticamente il contenuto del processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di finanza.

3.1. Tale motivo è inammissibile.

Anzitutto, si rileva che, in tema di ricorso per cassazione avverso sentenza resa dalla Commissione tributaria regionale in grado di appello, poichè l’unico oggetto del giudizio di legittimità è costituito dalla sentenza impugnata, è inammissibile il motivo di ricorso con cui si denuncino direttamente vizi dell’avviso di accertamento (Cass. Civ., 13 marzo 2009, n. 6134).

Nella specie, il ricorrente si sofferma esclusivamente sugli asseriti vizi dell’avviso di accertamento, senza sindacare la decisione della Commissione regionale.

Inoltre, in base al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, sancito dall’art. 366 c.p.c., nel giudizio tributario, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo del vizio di motivazione nel giudizio sulla congruità della motivazione dell’avviso di accertamento, è necessario che il ricorso riporti testualmente i passi della motivazione di detto avviso, che si assumono erroneamente interpretati o pretermessi, al fine di consentire la verifica della censura esclusivamente mediante l’esame del ricorso (Cass. Civ., 28 giugno 2017, n. 16147).

Nel ricorso per cassazione, e segnatamente nel motivo terzo, non risulta riportato il passo della motivazione dell’avviso di accertamento.

Inoltre, sulla corretta motivazione dell’avviso si è ormai formato il giudicato “interno”, in quanto la Commissione provinciale, pur accogliendo il ricorso del contribuente, ha però rigettato il motivo relativo alla asserita invalidità della motivazione dell’avviso. Pertanto, il contribuente avrebbe dovuto proporre appello incidentale sul punto, senza limitarsi ad una mera riproposizione della domanda nell’ambito delle controdeduzioni in appello.

4. Con il quarto motivo si deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 41 bis e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5”. In particolare si deduce che, alla stregua della normativa vigente fino al 31-12-2004 (l’avviso di accertamento è del 2007), a seguito della intervenuta L. n. 311 del 2004, l’accertamento parziale di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, poteva effettuarsi solo in caso di “segnalazione” da parte della Guardia di finanza, ma non in ipotesi di “verifica generale”, come è avvenuto nella specie in virtù del processo verbale di constatazione. Il processo verbale di constatazione non rientra nella nozione di segnalazione. Non si può applicare, in tal caso, l’accertamento induttivo. In caso di avviso di accertamento parziale, che non necessita di alcun contraddittorio, la rettifica del maggiore reddito deve essere certa e diretta, restando estranea a tale fattispecie la ricostruzione induttiva. La media aritmetica non può essere utilizzata nè è corretta l’applicazione della percentuale di ricarico nella misura del 38%.

4. Tale motivo è infondato.

Invero, per la Suprema Corte l’accertamento parziale dell’IVA, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5, è uno strumento diretto a perseguire la sollecita emersione della materia imponibile, laddove le attività istruttorie non richiedano, per la loro oggettiva consistenza, ulteriori valutazioni, sicchè, anche nel testo anteriore alle modifiche apportate dalla L. n. 311 del 2004, può essere fondato pure su una verifica generale, che abbia dato luogo ad un processo verbale di constatazione, in quanto la segnalazione degli organi indicati costituisce un semplice atto di comunicazione, distinto dall’attività istruttoria, da esso necessariamente presupposta (Cass. Civ., 28 ottobre 2015, n. 21992).

Peraltro, l’accertamento parziale dell’IVA e delle imposte dirette è uno strumento diretto a perseguire finalità di sollecita emersione della materia imponibile, ove le attività istruttorie diano contezza della sussistenza a qualsiasi titolo di attendibili posizioni debitorie e non richiedano, in ragione della loro oggettiva consistenza, l’esercizio di valutazioni ulteriori rispetto al mero recepimento del contenuto della segnalazione della Guardia di finanza, che fornisca elementi idonei a far ritenere la sussistenza di introiti non dichiarati, sicchè, nel confronto con gli altri strumenti accertativi, risulta qualitativamente diverso poichè si vale di una sorta di “automatismo argomentativo”, per modo che il confezionamento dell’atto risulta possibile sulla base della sola segnalazione, senza necessità ulteriore approfondimento (Cass. Civ., 10 febbraio 2016, n. 2633).

Inoltre, si è precisato che anche in caso di avviso di accertamento parziale può procedersi con il metodo induttivo, in quanto l’art. 41 bis “non prevede limiti in relazione al metodo di accertamento ed inoltre l’accertamento induttivo è consentito, in linea di principio, anche in presenza di contabilità tenuta regolarmente” (Cass. Civ., 5 febbraio 2009, n. 2761, in motivazione).

La motivazione della sentenza della Commissione regionale è stata chiara ed esauriente su entrambi i profili, evidenziando che dal processo verbale di constatazione è emerso che le violazioni “formali” del contribuente erano talmente gravi, numerose e reiterate da far venir meno l’attendibilità complessiva dei dati irregolarmente esposti nelle scritture contabili”, sì da giustificare l’accertamento induttivo ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39.

Le violazioni formali sono state indicate in modo analitico nella motivazione della Commissione regionale (omessa conservazione del registro Iva degli acquisti, irregolare tenuta del registro Iva dei corrispettivi, omessa annotazione dei corrispettivi, omesse dichiarazioni ai fini delle imposte dirette, Irap e Iva per gli anni di imposta dal 1998 al 2000).

Inoltre, il contribuente non indica neppure le ragioni per le quali doveva essere applicata alla fattispecie la media ponderata, dovendosi tenere conto della peculiarità di alcune tipologie di calzature.

La percentuale di ricarico al 38% è stata indicata dallo stesso contribuente per altra annualità di imposta (anno 1997, cfr. pagina 7 del controricorso).

5. Con il quinto motivo di impugnazione si deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, artt. 1,39,41 bis (ratione temporis), del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5), in quanto la ricostruzione del presunto reddito di esercizio per l’anno 2002 deve tenere conto anche del costo riferito alle presente giacenze di magazzino al 1-1-2002 quantificate in Euro 289.929,90 dalla Guardia di finanza.

5.1. Tale motivo è infondato.

Infatti, il contribuente non indica in alcun modo la tipologia e la quantificazione di tali pretesi costi, neppure allegati in modo specifico.

La Commissione tributaria regionale ha, peraltro, con ragionamento perfettamente congruo, ravvisato che le giacenze erano del valore di Euro 289.929,90 al 1-1-20002, mentre dall’accesso del 14-3-2002 erano risultate del valore di Euro 65.461,45, sicchè il venduto era pari alla differenza tra le due somme, con applicazione del ricarico su tale differenza pari al 30,83 %.

6. Con il sesto motivo di impugnazione si deduce “violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55 e del D.Lgs. n. 471 del 1971, art. 5 (in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)”.Per il ricorrente, quindi, il credito Iva per Euro 28.877,00 è ancora esistente e non è stato utilizzato in compensazione per i debiti Iva relativi agli anni 1998, 1999 e 2000, come del resto desumibile dalla sentenza della Commissione tributaria provinciale n. 66/12/2007 depositata il 17-4-2007.

6.1. Tale motivo è infondato.

Invero, la Commissione regionale ha correttamente riportato il contenuto della sentenza richiamata (66/12/2007) da cui emerge che effettivamente il credito Iva del 1997 è già stato portato in compensazione con il corrispondente debito Iva per gli anni 1998, 1999 e 2000 (in motivazione si richiama quella della commissione provinciale 66/12/2007 “…appare chiaro in tutta la sua portata che il contribuente non può essere privato del diritto di compensare il credito rinveniente dalla precedente dichiarazione dei redditi presentata nel 1998 per il 1997, con i debiti cumulati nei periodi successivi (anni 1998-99 e 2000) per i quali non ha presentato le relative dichiarazioni dei redditi….il fatto che il ricorrente non abbia presentato le dichiarazioni dei redditi per gli anni 1998, 99 e 2000 non può significare il disconoscimento del suo precedente credito, peraltro, non ancora prescritto, potendo questo, invece, essere usato in compensazione con i debiti accumulati successivamente (come nel caso di specie, quelli rinvenienti dagli avvisi opposti) compresi gli accessori…”).

7. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente a rimborsare in favore della Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi Euro 5.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 24 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2018

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