Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33411 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. II, 17/12/2019, (ud. 21/05/2019, dep. 17/12/2019), n.33411

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20515/2015 proposto da:

P.D., S.A., Se.An., elettivamente domiciliati

in Roma, viale della Pineta di Ostia n. 3, presso gli avvocati

Guerriero Pierluigi e Ortenzi Vanna e rappresentati e difesi

dall’avvocato Piccoli Giuseppe e dall’avvocato Stefano Ruggiero;

– ricorrenti –

contro

S.R., K.E., ex lege domiciliati in Roma,

p.zza Cavour presso la cancelleria della Corte di Cassazione e

rappresentati e difesi dall’avvocato Oswald Perathoner;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 121/2015 della Corte d’appello di Trento Sez.

Dist. di Bolzano, depositata il 20/06/2015 e notificata il 9/7/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/05/2019 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

Fatto

RILEVATO

che:

– il presente giudizio trae origine dal ricorso notificato il 7/8/2015 da P.D., S.A. e Se.An. a S.R. e K.E. avverso la sentenza della Corte d’appello di Bolzano con la quale è stato respinto l’appello proposto avverso le sentenze parziale e quella definitive emesse dal Tribunale di Bolzano in accoglimento della domanda di accertamento dell’illegittimità dell’opera di escavazione realizzata da S.B. con condanna al ripristino in conformità a quanto accertato dal ctu;

– in particolare, il giudice di prime cure aveva accertato con la sentenza n. 752/2004 (nei confronti della quale non era stata fatta riserva d’appello) che quest’ultimo aveva effettuato lavori di scavo nel terrapieno di proprietà comune e con la successiva sentenza n. 535/2013 aveva condannato gli odierni convenuti quali eredi di S.B. nel frattempo deceduto a rimettere il terrapieno in pristino stato, eseguendo opera di chiusura dei vani realizzati con invasione del terrapieno e successivo riempimento degli stesso come descritto nella quattro tavole della ctu che venivano allegate alla sentenza;

– la Corte d’appello dopo avere dichiarato inammissibili le censure proposte nei confronti della statuizione contenuta nella sentenza non definitiva, confermava la sentenza definitiva sia con riguardo al contenuto dell’obbligo di ripristino e respingeva la prospettazione degli appellanti secondo al quale sarebbe stato sufficiente a detto fine chiudere l’accesso ai vani;

– quanto alle spese di lite confermava l’applicazione del principio di soccombenza;

– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta sulla base di due motivi, cui resistono con controricorso S.R. ed K.E..

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo del ricorso si denuncia, sotto vari profili, la decisione di provvedere al ripristino mediante riempimento dei locali con ghiaia e terra;

– la statuizione è censurata come omessa pronuncia, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 112 c.p.c., sulla eccezione di parte appellante secondo la quale sulla base delle considerazioni della ctu non era vero che le modalità di ripristino mediante ripristino sarebbero imposte da ragioni di sicurezza statica del versante attiguo dell’edificio;

– in realtà, non ricorre il vizio di omessa pronuncia, configurabile allorchè risulti completamente omesso il provvedimento del giudice indispensabile per la soluzione del caso concreto, diverso dal caso in cui seppure manchi una specifica argomentazione, la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte ne comporti il rigetto (cfr. Cass. 407/2006);

– il giudice d’appello si è pronunciato specificando a pag. 8 le ragioni per le quali ha ritenuto di mantenere ferme le modalità di ripristino adotatte dal tribunale secondo le risultanze della ctu;

– tale ratio decidendi non risulta attinta dalla censura che va pertanto dichiarata inammissibile;

– la statuizione è pure censurata per omesso esame della questione decisiva concernente il mancato interesse degli appellati all’imposizione di modalità così gravose ed inutili nell’adempimento dell’obbligo di ripristino;

– la questione, cui la sentenza non fa cenno, sembra essere stata eccepita dai ricorrenti solo in comparsa conclusionale in appello e si dice a pag. 18 del ricorso anche in citazione in appello pag. 10 sestultimo rigo;

– in realtà la collocazione indicata non specifica un’autonoma censura, distinta da quella avente ad oggetto l’applicazione del principio della soccombenza ai fini delle spese di lite, sicchè il profilo del vizio in esame per come prospettato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non risulta ritualmente formulato e va dichiarato inammissibile;

– la statuizione è pure censurata in relazione alla violazione dell’art. 1102 c.c., ed al generale divieto dell’abuso del diritto laddove la Corte territoriale ha ritenuto che le modalità di ripristino come individuate sarebbero conformi alla finalità dell’ordine stesso;

– la censura è inammissibile perchè non concerne le modalità quanto la legittimità dell’uso del bene comune fatto dal resistente e coperto dalla pronuncia parziale n. 752/2004;

– con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non avere la corte d’appello derogato al principio della soccombenza pur in presenza dell’accordo sottoscritto nel 2000 dai fratelli S. e del quadro di buona fede che avrebbe ispirato la condotta di S.B. una volta intervenuta detta sottoscrizione;

– la censura è inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis c.p.c., in sede di ricorso per cassazione poichè la corte d’appello ha deciso la questione di diritto sull’applicazione dell’art. 92 c.p.c., in modo conforme al generale principio della soccombenza ed alla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. Sez. Un. 14989/2015; id. 9597/1994), nè è stata contestata la ritenuta irrilevanza delle circostanze rispetto all’oggetto del gravame ammissibile;

– atteso l’esito sfavorevole di tutti i motivi, il ricorso va respinto e, in applicazione della soccombenza, parte ricorrente condannata alla rifusione delle spese di lite nella misura liquidata in dispositivo;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lire, liquidate in Euro 3700,00 di cui per spese oltre accessori.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 21 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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