Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33410 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. II, 17/12/2019, (ud. 23/01/2019, dep. 17/12/2019), n.33410

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14525/2014 proposto da:

I.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSTANTINO

MORIN 1, presso lo studio dell’avvocato MASSIMILIANO SCARINGELLA,

rappresentato e difeso dall’avvocato MARIANO ALBANESE;

– ricorrente –

contro

B.S.;

– intimata –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di PARMA, depositata il 02/04/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

23/01/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.

Fatto

PREMESSO

che:

1. Con atto di citazione del 12/4/2012 I.G. conveniva in giudizio B.S., nella sua qualità di titolare del Bar (OMISSIS), chiedendo che la stessa venisse condannata al pagamento della somma di Euro 700 a titolo di corrispettivo per lo svolgimento di un rapporto di prestazione d’opera ex art. 2222 c.c.. In particolare, deduceva l’attore di aver ricevuto dalla titolare del Bar convenuto l’incarico di reperire sul mercato un venditore di vini a prezzo concorrenziale, da cui acquistarne una considerevole quantità; che per tale attività era stato pattuito un compenso pari al 10% del valore della compravendita; che, reperito il venditore, la convenuta aveva da lui acquistato bottiglie di Malvasia secco d.o.c. per un importo pari ad Euro 7.000. Rigettate le istanze istruttorie richieste dalle parti, il Giudice di pace di Faenza, con sentenza n. 59/2013, qualificata la prestazione dedotta in giudizio dall’attore come attività di mediazione ex art. 1754 c.c., rigettava la domanda sul presupposto della mancata iscrizione dell’attore nell’apposito albo per la disciplina della professione di mediatore.

2. Avverso tale sentenza proponeva appello I.G..

Il Tribunale di Parma, con ordinanza del 2/4/2014, comunicata il 12/4/2014 e notificata il successivo 21/5/2014, dichiarava l’appello inammissibile per esser stata la sentenza del Giudice di pace pronunciata secondo equità ex art. 113 c.p.c., comma 2, trattandosi di causa inferiore ai 1.100 Euro e, come tale, non impugnabile ai sensi dell’art. 339 c.p.c., comma 3, se non per violazione delle norme sul procedimento, per violazione di norme costituzionali o comunitarie, ovvero dei principi regolatori della materia.

3. Contro l’ordinanza ricorre “in via principale” I.G., il quale ricorre altresì “in via subordinata” contro la sentenza del

Giudice di pace.

L’intimata B.S. non ha proposto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Preliminarmente va precisato che il Tribunale ha sì pronunciato “visto gli artt. 348-bis e ter c.p.c.”, ma ha dichiarato l’appello inammissibile in quanto proposto in violazione dell’art. 339 c.p.c., comma 3, così che la decisione è impugnabile con l’ordinario ricorso per cassazione. Le sezioni unite di questa Corte hanno infatti affermato che l’ordinanza di cui all’art. 348-ter c.p.c., “è prevista solo nelle ipotesi in cui viene emesso un giudizio prognostico sfavorevole circa la possibilità di accoglimento dell’impugnazione nel merito”, così che “la decisione, che pronunci invece l’inammissibilità dell’appello per ragioni di carattere processuale, ancorchè erroneamente con ordinanza, richiamando l’art. 348-ter (..) è impugnabile con ricorso ordinario per cassazione, perciò senza neppure la necessità di valutare la sussistenza dei presupposti per la proposizione del ricorso straordinario, trattandosi, nella sostanza, di una sentenza di carattere processuale che non contiene alcun giudizio prognostico negativo circa la fondatezza nel merito della impugnazione e perciò differisce dalle ordinanze in cui tale giudizio prognostico viene espresso, anche se, eventualmente, fuori dei casi normativamente previsti” (Cass., sez. un., n. 1914/2016).

2. Il ricorso contro l’ordinanza del Tribunale è articolato in quattro motivi:

a) Il primo motivo lamenta violazione o falsa applicazione dell’art. 339 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in subordine per violazione di legge ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7 e art. 360 c.p.c., u.c.: la sentenza resa del Giudice di pace era senz’altro appellabile, in quanto pronunciata dopo il 2/3/2006, data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006; al contrario, integrando il vizio di omessa motivazione, il Tribunale si sarebbe limitato ad affermare che nel caso di specie non ricorrevano le violazioni di cui all’art. 339 c.p.c., comma 3, tali da consentire l’appello della sentenza.

Il motivo è infondato. Il Tribunale di Parma, lungi dall’affermare la non appellabilità della sentenza di primo grado, ha affermato che trattandosi di pronuncia resa secondo equità era appellabile nei limiti di cui all’art. 339 c.p.c., comma 3.

b) Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il Tribunale concluso il giudizio di appello con ordinanza fuori dai casi previsti dai menzionati articoli.

Il motivo non può essere accolto. E’ vero che il Tribunale – come sopra detto – ha deciso “visto gli artt. 348-bis e ter c.p.c.” in una ipotesi di inammissibilità diversa da quella) prevista dalle norme, dell’appello privo della ragionevole probabilità di essere accolto, ma questo ha semplicemente comportato che la decisione è ricorribile davanti a questa Corte con ricorso ordinario, trattandosi, nella sostanza, di una sentenza di carattere processuale.

c) Il terzo motivo lamenta “motivazione omessa o insufficiente ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in relazione al decisum dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello”: il giudice d’appello lascia intendere che nel caso in esame non sono ravvisabili i motivi di impugnazione di cui dell’art. 339 c.p.c., comma 3, “senza tuttavia argomentazione alcuna”.

Il motivo è infondato, in quanto il Tribunale ha motivato, sia pure succintamente (sui limiti della denunziabilità in cassazione del vizio della motivazione v. Cass., sez. un., n. 8038/2018) circa la mancata ricorrenza dei motivi di appello tassativamente indicati dall’art. 339 c.p.c., in particolare escludendo che si trattasse di violazione dei principi regolatori della materia.

d) Con il quarto motivo – che denuncia violazione dell’art. 339 c.p.c., comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, circa l’asserita violazione dei principi regolatori della materia – il ricorrente sostiene che il Giudice di pace, incorrendo in errore circa l’individuazione della qualificazione giuridica da attribuire al fatto dedotto in giudizio dall’attore, avrebbe violato le regole fondamentali che lo disciplinano, ovvero le linee essenziali della disciplina giuridica del rapporto dedotto in causa; di conseguenza il Tribunale, quale giudice d’appello, omettendo di accertare la correttezza della riconduzione del rapporto dedotto in giudizio nell’ambito della materia cui appartiene, così come effettuato dal Giudice di pace, non ha potuto verificare se i principi regolatori della materia siano stati o meno correttamente applicati dal primo giudice.

Il motivo è infondato. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, “in tema di impugnazione delle sentenze del giudice di pace pronunziate secondo equità, l’appello per violazione dei principi regolatori della materia è inammissibile, ai sensi dell’art. 342 c.p.c., qualora non indichi il principio violato e come la regola equitativa individuata dal giudice di pace si ponga con esso in contrasto” (così Cass. 3005/2014). Nel caso in esame, il ricorrente dice che il Giudice di pace ha erroneamente qualificato il rapporto come mediazione invece che come prestazione d’opera o servizio, ma non indica il principio regolatore della materia che sarebbe stato violato, nè riporta di averlo indicato nell’atto di appello.

3. Il ricorso si articola poi in un quinto e sesto motivo (che denunciano, rispettivamente, falsa applicazione dell’art. 1754 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere il Giudice di pace errato nel sussumere la fattispecie dedotta in giudizio dall’attore nell’alveo normativo della mediazione, senza preventivamente procedere all’istruzione della causa, e difetto di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in ordine alla mancata ammissione delle richieste istruttorie) che sono volti a censurare la sentenza di primo grado.

Trattandosi di ordinario ricorso contro la pronuncia di inammissibilità dell’appello (supra, sub 1), le censure sono inammissibili.

4. Il ricorso va quindi rigettato.

Nulla viene disposto in punto spese, non essendosi l’intimata difesa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale della Sezione Seconda Civile, il 23 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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