Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33408 del 27/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 27/12/2018, (ud. 24/04/2018, dep. 27/12/2018), n.33408

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 27602/2011 R.G. proposto da:

MCM HOLDING S.P.A., in persona del legale rappresentante, MCM S.R.L.

in liquidazione, in persona del liquidatore, nella qualità di soci

della estinta Horus s.r.l. in liquidazione, e M.M., in

proprio e nella qualità di liquidatore della Horus s.r.l., tutti

rappresentati e difesi dall’avv. Augusto Fantozzi, dall’avv.

Francesco Giuliani e dall’avv. Edoardo Belli Contarini, con

domicilio eletto presso il loro studio, in Roma, via Sicilia, n. 66;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, alla via Portoghesi, n. 12,

presso l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e

difende come per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 303/04/10 della Commissione Tributaria

regionale del Lazio depositata il 14 ottobre 2010;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 24/4/2018 dal

Consigliere Condello Pasqualina Anna Piera;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale, dott. Del Core Sergio, che ha concluso chiedendo il

rigetto del ricorso e, in subordine, l’accoglimento parziale del

ricorso;

udito il difensore delle parti ricorrenti, avv. Daniela Cutarelli,

per delega;

udito il difensore della parte controricorrente, Avv. Sergio

Fiorentino.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società Horus s.r.l. in liquidazione presentava dichiarazione dei redditi per il periodo di imposta 1 gennaio 1997- 30 settembre 1997, evidenziando una imposta a credito di ammontare pari a Lire 2.555.475.000, che veniva, in parte, chiesta a rimborso e, in parte, computata quale credito d’imposta nella dichiarazione successiva.

In data 5.12.2001 l’Agenzia delle Entrate notificava alla società Horus s.r.l. avviso di accertamento relativo a Irpeg e Ilor per il periodo d’imposta 1.1.1997 – 30.9.97, con il quale si contestava, richiamando le risultanze di una verifica effettuata dalla Guardia di Finanza, che la contribuente aveva contabilizzato nel conto economico dividendi fittizi distribuiti dalle società Sant’Elena e Sopifar International Italy s.r.l., società che, unitamente ad altre, avevano posto in essere operazioni finanziarie finalizzate ad ottenere indebiti rimborsi dell’Irpeg.

La contribuente impugnava l’avviso di accertamento dinanzi alla Commissione Tributaria provinciale, deducendo a) la assoluta carenza di motivazione dell’atto impositivo, al quale non risultavano allegati gli atti cui lo stesso faceva riferimento b) la violazione dell’art. 2697 c.c. c) l’illegittimo utilizzo della cd. praesumptum de praesumpto d) la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, dato che la reale esecuzione delle operazioni finanziarie risultava comprovata dalla documentazione bancaria di accredito sul conto corrente, ad essa intestato, delle somme distribuite quali dividendi, dalle certificazioni rilasciate, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 7-bis, dalla Sant’Elena e dalla Sopifar International Italy s.r.l., in qualità di sostituti d’imposta, dalle delibere assembleari di distribuzione di dividendi della Sant’Elena e della Sopifar International s.r.l. e dalle scritture contabili d) la violazione dell’art. 2709 c.c. e) la violazione del t.u.i.r., art. 93, comma 2, e) la violazione del t.u.i.r., art. 115 f) l’illegittimità delle sanzioni irrogate.

La Commissione Tributaria provinciale accoglieva il ricorso, ritenendo non provata la natura fittizia dei dividendi.

Avverso la suddetta decisione proponeva appello l’Ufficio, che produceva ulteriori segnalazioni della Guardia di Finanza, al fine di ricostruire le diverse fasi delle operazioni finanziarie poste in essere.

La contribuente eccepiva, tra l’altro, la inammissibilità dell’appello, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 57,evidenziando che la nuova documentazione depositata concerneva circostanze di fatto ulteriori rispetto a quelle contenute nell’avviso di accertamento.

La Commissione Tributaria regionale dichiarava inammissibile l’appello dell’Ufficio, in quanto non conteneva alcuna specifica censura alla decisione di primo grado ed introduceva questioni nuove rispetto a quelle fatte valere in primo grado.

L’Agenzia delle Entrate ricorreva per cassazione, deducendo la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 53 e 57 e questa Corte, con sentenza n. 346 del 2009, accoglieva il primo motivo del ricorso, con il quale si sosteneva l’avvenuta formulazione di motivi specifici di impugnazione, ritenendo assorbiti gli altri motivi, e cassava la sentenza con rinvio ad altra Sezione della Commissione regionale.

I soci ed il liquidatore della società Horus s.r.l., nel frattempo estinta, riassumevano il giudizio ribadendo le eccezioni già fatte valere.

La Commissione tributaria regionale in sede di rinvio accoglieva l’appello dell’Ufficio, escludendo la contestata violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 e ritenendo legittima la produzione documentale effettuata in appello dall’Amministrazione e, nel merito, affermava che gli elementi presuntivi forniti costituivano valida prova dell’evasione accertata.

La M.C.M. Holding s.p.a. e la MC.M. s.r.l. in liquidazione, nella qualità di soci della estinta Horus s.r.l. in liquidazione, e M.M., in proprio e nella qualità di liquidatore della estinta Horus s.r.l., ricorrono per cassazione, con cinque motivi, cui resiste l’Agenzia delle Entrate mediante controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, esposto ai paragrafi 1) e 1.1.) del ricorso per cassazione (pag. da 19 a 28), le parti ricorrenti denunciano la violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto con riferimento al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, della L. n. 212 del 2007, art. 3, della legge n. 241 del 1990, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e art. 111 Cost., nonchè la insufficiente motivazione, deducendo che l’Amministrazione finanziaria aveva fondato l’avviso di accertamento originariamente impugnato esclusivamente sulle circostanze di fatto contenute nella segnalazione del 20-11-00 della Guardia di Finanza, allegata all’atto impositivo, e che solo in appello aveva posto a base della impugnazione nuove e ulteriori circostanze di fatto rispetto a quelle contenute nell’avviso di accertamento impugnato, desumibili dalla ulteriore documentazione proveniente dalla Guardia di Finanza, depositata nel corso del giudizio di secondo grado.

Le parti ricorrenti hanno precisato che le nuove circostanze di fatto poste a fondamento della pretesa erariale, assenti nell’avviso di accertamento e non dedotte nel corso del giudizio di primo grado, riguardavano la descrizione del “modus operandi” della organizzazione riconducibile a tale T.P., ed in particolare le operazioni “Traminex-Berecht” e le operazioni “Smithland”, ossia fatti “a valle” della distribuzione dei dividendi alla Horus s.r.l. da parte delle società Sant’Elena e Sopifar International s.r.l., con conseguente modifica del thema decidendum, che risultava ampliato in secondo grado mediante la allegazione di fatti nuovi e l’esame di nuove questioni giuridiche, sostanziali e probatorie.

2. La censura è infondata, in base al consolidato orientamento di questa Corte (in espressione del quale si veda, fra le altre, Cass., ord. 22/9/2017, n. 22105; n. 11223 del 3 maggio 2016), secondo cui, nel giudizio tributario, il divieto di proporre nuove eccezioni in sede di gravame stabilito dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, concerne le eccezioni in senso stretto, consistenti nei vizi d’invalidità dell’atto tributario o nei fatti modificativi, estintivi o impeditivi della pretesa fiscale, mentre non si estende alle eccezioni improprie o alle mere difese.

Pertanto, si ha domanda o eccezione “nuova” per modificazione della “causa petendi”, inammissibile in appello, quando i nuovi elementi dedotti dinanzi al giudice di secondo grado comportino il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, modificando l’oggetto sostanziale dell’azione ed i termini della controversia, in modo da porre in essere, in definitiva, una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado, e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio.

In particolare, non configura la proposizione di una nuova domanda la contestazione da parte dell’Ufficio appellante dei fatti dedotti dall’appellato in primo grado, la quale non incide sull’individuazione dell’oggetto della domanda giudiziale o dei suoi elementi costitutivi, ma solo sulla prova di tali elementi.

Nella fattispecie in esame, come rilevato dalla Commissione territoriale, l’Ufficio non ha sollevato nuove eccezioni, nè ha proposto nuove domande, ma ha soltanto meglio esplicitato le motivazioni che sorreggono l’atto impositivo, allegando ulteriore documentazione proveniente dalla Guardia di Finanza al fine di chiarire il meccanismo della distribuzione dei dividendi ed al fine di dimostrare che questa non risultava effettuata attraverso reali flussi di denaro tra le diverse società coinvolte nelle operazioni finanziarie.

La motivazione resa dai giudici di appello è, peraltro, esaustiva, adeguata ed immune da vizi logici, in quanto esplicita il ragionamento logico-giuridico che ha condotto alla formazione di quel convincimento.

3. Con il secondo motivo i ricorrenti assumono che il giudice d’appello, in violazione e falsa applicazione di norme di diritto con riferimento alla L. n. 212 del 2000, art. 7,D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 e artt. 1,13,2331 e 2463 c.c., ha respinto la eccezione di nullità dell’avviso di accertamento originariamente impugnato, per mancata allegazione e/o trascrizione delle segnalazioni della Guardia di Finanza poste a fondamento dell’appello, non considerando che l’avviso di accertamento deve essere motivato in modo da consentire al contribuente di prendere cognizione degli elementi sui quali si fonda la pretesa impositiva.

Lamentano, inoltre, che la Commissione regionale ha erroneamente affermato che il ” T., di cui si riferiva nelle segnalazioni a lui personalmente notificate, era negli anni in questione il legale rappresentante della Horus”, senza considerare che la società Horus ed il T. erano due soggetti distinti e che la società, essendo estranea alle vicende personali del T., non poteva avere avuto conoscenza dei verbali della Guardia di Finanza che concernevano esclusivamente il T..

3.1. Il motivo è infondato.

I giudici di appello hanno motivato che le segnalazioni della Guardia di Finanza, prodotte nel corso del giudizio di appello in virtù del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, hanno svolto la sola funzione probatoria di “meglio argomentare il meccanismo evasivo architettato dal sig. T.”, ma non quella di integrare la motivazione dell’avviso impugnato che era di per sè già sufficiente a consentire al contribuente di conoscere gli elementi di fatto che supportavano la pretesa fiscale e di proporre eventuale opposizione.

La Commissione regionale ha, dunque, ritenuto che l’atto impositivo, richiamando il processo verbale di constatazione del 20.11.00, fosse sufficientemente motivato, esprimendo in tal modo un giudizio di fatto che avrebbe dovuto eventualmente essere censurato sotto il profilo del difetto di motivazione e non per violazione di legge.

4. Con il terzo motivo, esposto nei paragrafi 3), 3.1), 3.1a), 3.1b), 3.1c), le parti ricorrenti censurano la decisione per omessa, insufficiente o illogica motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, concernente la contestata natura fittizia dei dividendi percepiti dalla società Horus s.r.l.

Deducono, a tal proposito, che la Commissione tributaria regionale ha acriticamente aderito alla tesi erariale, omettendo di indicare gli specifici elementi di fatto dai quali avrebbe tratto la presunzione circa la postulata natura fittizia della distribuzione dei dividendi ed omettendo di valutare la documentazione prodotta dalla società; contestano pure ai giudici di appello di non avere applicato lo specifico procedimento di valutazione delle presunzioni, ossia degli elementi indiziari offerti dall’Ufficio, essendosi limitati a richiamare generiche e non precisate circostanze, senza prendere in esame gli elementi probatori prodotti dalla società.

4.1. Il motivo è fondato.

Per consolidato orientamento di questa Corte, la motivazione omessa o insufficiente è configurabile qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione. (Cass. n. 24148 del 25/10/2013).

La Commissione tributaria regionale, con riguardo al merito della pretesa fiscale, ha così motivato: “il Collegio ritiene che gli elementi presuntivi forniti dall’Ufficio, con la sua ricostruzione del meccanismo evasivo evidenziato mediante dichiarazioni di terzi e fatti accertati, consentono nel loro insieme una valutazione globale che secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit costituisce valida prova dell’evasione accertata…”.

La motivazione risulta sicuramente carente ed insufficiente in quanto non consente di individuare gli elementi da cui il giudice d’appello ha tratto il proprio convincimento.

La sentenza non indica, infatti, nè le ragioni per cui l’appello dell’Ufficio ha meritato accoglimento, essendosi il giudice d’appello limitato a ritenere fondato quanto asserito dalla Amministrazione ed a sottolineare che gli elementi indiziari forniti dall’Amministrazione integrano piena prova dell’evasione contestata, nè tanto meno i motivi per cui le prove contrarie offerte dalla società contribuente non sarebbero idonee a vincere le presunzioni legali.

In particolare, il giudice di secondo grado non chiarisce per quale ragione la documentazione prodotta dalla contribuente, ed in particolare la documentazione bancaria di accredito, sul conto corrente intestato allo Horus s.r.l., delle somme distribuite quali dividendi, le certificazioni rilasciate, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 7-bis, dalle società Sant’Elena e Sopifar International in qualità di sotituti d’imposta, nonchè le scritture contabili, nelle quali risultavano registrate le operazioni, non sia stata ritenuta sufficiente a fornire prova che la distribuzione dei dividendi fosse reale e non fittizia.

5. Con il quarto motivo si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 e artt. 2727 e 2729 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e si ribadisce che con il capo della sentenza censurato con il terzo motivo i giudici di appello hanno “omesso di applicare lo specifico procedimento di valutazione delle presunzioni”.

5.1. Il motivo è infondato, in quanto i ricorrenti, assumendo che il giudice di appello non ha adeguatamente valutato i “fatti noti” che rivestivano i caratteri della “gravità” e “precisione” e non ha verificato l’ulteriore requisito della “concordanza”, muovono una censura che non è volta a far valere la violazione di legge, ma piuttosto ad evidenziare una deficienza del ragionamento logico-giuridico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento.

6. Con il quinto motivo, esposto ai paragrafi 5), 5.1), 5.2), 5.3) e 5.4) del ricorso per cassazione, le ricorrenti denunciano la nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia su tutti i motivi di appello che erano stati devoluti integralmente dinanzi al giudice di rinvio (illegittimità del praesunto de praesumpto, illegittimità dell’avviso di accertamento in relazione alla ripresa a tassazione ai fini Irpeg, in forza del t.u.i.r., art. 19 e art. 93, comma 2, illegittimità dell’avviso di accertamento in relazione alla ripresa a tassazione ai fini Ilor ed illegittimità della irrogazione delle sanzioni), nonchè per plurime violazioni di legge (art. 2729 c.c., t.u.i.r., artt. 19 e 93, t.u.i.r., art. 115, L. n. 241 del 1990, art. 3, L. n. 212 del 2000, art. 7 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42).

6.1. Il motivo è infondato.

Non ricorre un vizio di omessa pronuncia, nonostante la mancanza di espressa statuizione, quando la decisione adottata comporti una declaratoria implicita di rigetto della medesima (Cass. n. 29191 del 6/12/2017), sicchè, nel caso di specie, deve ritenersi che la Commissione Tributaria regionale, confermando la legittimità dell’avviso di accertamento, abbia implicitamente respinto i motivi di gravame non esaminati.

In conclusione, deve essere accolto il terzo motivo e vanno rigettati i restanti motivi; la sentenza va cassata con rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, per il riesame, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo e rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza con rinvio alla Commissione Tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 24 aprile 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2018

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