Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33400 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. lav., 17/12/2019, (ud. 16/10/2019, dep. 17/12/2019), n.33400

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8393/2014 proposto da:

S.E., P.G., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA LUCHINO DAL VERME n. 116, presso LATINI CLAUDIO, rappresentati e

difesi dall’Avvocato ROBERTA CARRARO;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 576/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 28/11/2013 R.G.N. 738/2010.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte d’Appello di Venezia, pronunciando sull’impugnazione principale proposta da S.E. e da P.G. nonchè sull’appello incidentale del Ministero della Giustizia, ha respinto entrambi i gravami ed ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede che, in parziale accoglimento del ricorso dei dipendenti del Ministero, aveva condannato quest’ultimo a corrispondere le differenze retributive conseguenti allo svolgimento di mansioni riconducibili al profilo professionale di Direttore di Cancelleria, posizione economica C3, ed aveva invece rigettato la domanda di inquadramento nella qualifica superiore;

2. la Corte territoriale ha rilevato che nell’ambito dell’impiego pubblico contrattualizzato la temporanea assegnazione a mansioni proprie di una qualifica superiore legittima la sola rivendicazione delle differenze retributive e non consente un diverso inquadramento del personale, giacchè la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001 è attuazione dei principi costituzionali di cui all’art. 97 Cost.;

3. per la cassazione della sentenza hanno proposto ricorso S.E. e P.G. sulla base di due motivi, ai quali non ha opposto difese il Ministero della Giustizia, rimasto intimato.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. con il primo motivo i ricorrenti denunciano ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, ed assumono, in estrema sintesi, che la fondatezza della domanda di inquadramento doveva essere esaminata tenendo conto delle modifiche normative e contrattuali intervenute in corso di causa e, quindi, applicando alla fattispecie il nuovo testo del richiamato art. 52 nonchè il CCNI del 29.7.2010;

1.1. ad avviso dei ricorrenti il D.Lgs. n. 150 del 2009, eliminando il richiamo alla classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, avrebbe fatto venir meno ogni preclusione all’acquisizione definitiva della fascia retributiva corrispondente al soppresso profilo professionale di direttore di cancelleria C3, riconoscendo al dipendente pubblico le tutele previste dall’art. 2103 c.c., applicabile anche all’impiego pubblico contrattualizzato in forza del rinvio, contenuto nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 51, della L. n. 300 del 1970, art. 13;

1.2. al momento dell’entrata in vigore del nuovo contratto, pertanto, l’amministrazione avrebbe dovuto riconoscere ai dipendenti assegnati allo svolgimento di compiti riconducibili all’area C, posizione economica C3, la fascia retributiva F5, posto che anche nell’impiego pubblico il lavoratore non può subire riduzioni retributive nel periodo successivo a quello di esercizio di fatto di mansioni superiori;

2. con la seconda censura, rubricata “carenza, insufficienza/contraddittorietà della motivazione, omissione dispositivo di quanto esposto in motivazione, omessa pronuncia in ordine a domanda giudiziale”, si assume che la sentenza impugnata sarebbe affetta da nullità parziale avendo “ratificato il vizio insanabile comportante l’inesistenza giuridica della sentenza stessa per l’irriducibile contrasto tra motivazione e dispositivo già presente nella sentenza di primo grado”, che solo in motivazione aveva ritenuto infondata la domanda di inquadramento nel livello superiore;

3. il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato, sia perchè pretende di applicare alla fattispecie una normativa legale e contrattuale sopravvenuta in corso di causa e priva di efficacia retroattiva, sia in quanto della stessa fornisce un’interpretazione palesemente errata;

4. la disciplina delle mansioni nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato è dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, che è norma speciale rispetto all’art. 2103 c.c., sul quale prevale anche in forza del disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, comma 2, che in tutte le versioni succedutesi nel tempo, nel rinviare alle norme del codice civile ed alle leggi sul rapporto di lavoro subordinato nell’impresa, ha fatto salve le disposizioni di diverso tenore previste dal decreto legislativo;

5. l’art. 52, che riprende il testo del D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 2, comma 2, come sostituito dal D.Lgs. n. 80 del 1998, art. 25 e modificato dal D.Lgs. n. 387 del 1998, art. 15, non è mai stato oggetto di modificazioni quanto al comma 5, chiaro nell’affermare la nullità dell’assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore e nel riconoscere in tal caso al dipendente la sola differenza di trattamento economico per il periodo di effettiva prestazione del servizio;

6. in tal senso si è sempre espressa questa Corte (cfr. fra le tante Cass. n. 23648/2016) che, anche a Sezioni Unite, ha evidenziato che “nè l’esercizio di fatto di mansioni superiori alla qualifica di appartenenza, anche nella forma della reggenza, può comportare la stabilizzazione nella superiore qualifica nella forma della novazione del rapporto per fatti concludenti stante l’espressa deroga all’art. 2103 c.c., per cui nel lavoro pubblico contrattualizzato l’esercizio temporaneo di mansioni superiori non attribuisce il diritto all’assegnazione definitiva delle stesse con il riconoscimento della superiore qualifica; prescrizione prevista dal D.Lgs. n. 29 del 1993, art. 57 e successivamente ribadita da ultimo nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 52, secondo cui l’esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell’inquadramento del lavoratore o dell’assegnazione di incarichi di direzione” (Cass. S.U. n. 10413/2014);

7. la tesi prospettata dai ricorrenti, secondo cui il principio andrebbe rivisto alla luce delle modifiche apportate al D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 52, contrasta in modo evidente con il chiaro tenore della norma che, all’esito della riformulazione, ha lasciato immutati sia il secondo periodo del comma 1, sia il già richiamato comma 5, consentendo l’assegnazione a mansioni superiori nelle sole ipotesi previste dal comma 2 e prevedendo anche in caso di assegnazione legittima il solo diritto alle differenze retributive;

8. il secondo motivo è inammissibile perchè pretende di fare valere in questa sede una presunta nullità della sentenza di primo grado, per contrasto fra dispositivo e motivazione, che non è denunciabile in cassazione, in considerazione dell’effetto sostitutivo della pronuncia della sentenza d’appello e del principio secondo cui le nullità delle sentenze soggette ad appello si convertono in motivi di impugnazione, con la conseguenza che il giudice di secondo grado investito delle relative censure non può limitarsi a dichiarare la nullità ma deve decidere nel merito (Cass. n. 1323/2018);

9. in via conclusiva il ricorso deve essere rigettato e pertanto non occorre disporre la rinnovazione della notifica, erroneamente effettuata all’Avvocatura Distrettuale anzichè a quella Generale dello Stato (cfr. Cass. n. 33557/2018 che richiama Cass. n. 15106/2013);

9.1. la mancata costituzione in giudizio dell’Avvocatura esime dal provvedere sulle spese del giudizio di legittimità;

9.2. sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 16 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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