Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 334 del 10/01/2011

Cassazione civile sez. II, 10/01/2011, (ud. 11/11/2010, dep. 10/01/2011), n.334

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 12117/05) proposto da:

MACCAN s.r.l. e M.E., rappresentati e difesi, in forza di

procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv.to Ragogna Pietro del

foro di Pordenone e dall’Avv.to Graziani Gianfranco del foro di Roma,

domiciliati presso la cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;

– ricorrenti –

contro

SIM – Società Industriale del Mobile s.r.l. in liquidazione,

rappresentata e difesa dall’Avv.to Zucchiatti Marco del foro di

Pordenone e dall’Avv.to Sabbadini Giancarlo del foro di Roma, in

virtù di procura speciale apposita a margine dei controricorso, ed

elettivamente domiciliata presso lo studio di quest’ultimo in Roma,

via Marianna Dionigi, n. 57;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Trieste n. 653

depositata il 22 ottobre 2004;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica dell’11

novembre 2010 dal Consigliere relatore Dott.ssa FALASCHI Milena;

uditi gli Avv.ti Colucci Angelo (con delega dell’Avv.to Ragogna

Pietro Antonio), per parte ricorrente, e Zucchiatti Marco per parte

resistente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto

del ricorso con condanna alte spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 25 novembre 1997 M.E. in proprio e quale legale rappresentante della Maccan Industria Componenti per Mobili s.r.l. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Pordenone, la Silvi – Società Industriale Componenti per Mobili r.l. e premesso di avere, nella doppia qualità di cui sopra, stipulato con quest’ultima, in data (OMISSIS), contratto preliminare di compravendita relativo a fabbricato industriale con area pertinenziale, sito in (OMISSIS), pattuendo il prezzo in L. 3.100.000.000: con la dichiarata intenzione di volerne proseguire la destinazione d’uso, ed avendo successivamente accertato che l’immobile era affetto da irregolarità urbanistiche, nonchè che il Comune aveva nel frattempo approvato una variante al piano regolatore secondo la quale la zona in cui si trovavano gli immobili compromessi da industriale diveniva residenziale, chiedeva che si dichiarasse la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta, con condanna della convenuta alla restituzione della caparra versata di L. 310.000.000.

Instauratosi il contraddittorio. nella resistenza della società convenuta, all’esito dell’istruzione della causa, il Tribunale adito dichiarava la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento dei promissori acquirenti M.E. e Maccan Industrie Componenti per Mobili s.r.l., con diritto di trattenimento della caparra da parte della promittente venditrice S.l.M. s.r.l..

In virtù di rituale appello interposto dal M. e dalla Maccan s.r.l., con il quale si lamentava l’erroneità della sentenza de giudice di prime cure nella parte in cui non aveva dichiarato la nullità del contratto preliminare si mente della L. 28 gennaio 1977, n. 10, art. 15, comma 7, nonchè per avere escluso la sussistenza di fattispecie qualificabile come impossibilità sopravvenuta, la Corte di appello di Trieste, nella resistenza dell’appellata S.I.M. s.r.l., respingeva il gravame. A sostegno dell’adottata sentenza, la Corte territoriale riconosceva la fondatezza della contestazione dell’appellata di inammissibilità della richiesta di declaratoria di nullità del contratto preliminare, trattandosi di domanda svolta per la prima volta in appello per essere le conclusioni in primo grado del tenore che segue: “Previo accertamento della legittimità dei rifiuto a stipulare il contratto definitivo opposto in data 30.9.1997 per i motivi di cui in premessa ed in documento di pari data da parte di M.E., in proprio e nella sua veste di legale rappresentante della Maccan s.r.l., dichiara l’impossibilità sopravvenuta della prestazione di fornire gli immobili nello stato giuridico promesso a carico della S.I.M. s.r.l. pronunciarsi la risoluzione del contratto preliminare in data (OMISSIS) anche in considerazione dell’interesse all’esatto e tempestivo adempimento di parte promittente ed acquirente”. La Corte territoriale, inoltre, affermava che anche ove fosse stata ritenuta l’ammissibilità dell’appello, nella fattispecie non sussisteva alcuna nullità in quanto non trovava applicazione il regime di cui alla L. n. 47 del 1985 per due ordini di ragioni: si trattava di immobile costruito non in assenza di concessione edilizia, ma in difformità dalla stessa;

nella specie la vicenda negoziale era relativa a contratto dalla efficacia meramente obbligatoria, quale il preliminare di vendita, e non già a trasferimento avente effetto reale, come invece necessario Neppure era stata ritenuta fondata la deduzione degli appellanti circa la sussistenza della impossibilità della prestazione a causa dello stato economico – patrimoniale della S.I.M. ovvero per fatti sopravvenuti, giacchè dagli accertamenti esperiti dal c.t.u. era risultato che le irregolarità edilizie erano minime e sanabili, mentre la variante adottata dal Comune di Prata di Pordenone non era ancora efficace. Nè, infine, poteva ritenersi presupposto contrattuale l’intenzione dei promissari acquirenti di avviare in tali immobili attività di tipo “insalubre” non potendosi ciò ricavare in alcun modo dal tenore del contratto.

Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Trieste ha proposto ricorso per cassazione il M., anche nella qualità di legale rappresentante della Maccan s.r.l. che risulta articolato su cinque motivi, al quale ha resistito con controricorso la S.I.M. s.r.l. in liquidazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i cinque motivi il ricorrente, in proprio e quale legale rappresentante della Maccan s.r.l., deduce: a) violazione e falsa applicazione della L. n. 10 del 1977, art. 15 e dell’art. 1419 c.c.;

b) violazione e falsa applicazione dell’art. 1421 c.c. e art. 345 c.p.c. per omessa e contraddittoria motivazione; c) violazione e falsa applicazione della L. n. 47 del 1985, artt. 17 e 40 e art. 1664 c.c.; d) violazione e mancata applicazione dell’art. 1482 c.c.; e) violazione della L. n. 10 del 1977, art. 1 e L.R. n. 52 del 1991.

E’ pregiudiziale l’esame del secondo motivo laddove parte ricorrente censura la impugnata sentenza per avere dichiarato che i motivi di appello relativi alla declaratoria di nullità del contratto sorreggono una domanda nuova, inammissibile ex art. 345 c.p.c., immutando la originaria domanda di risoluzione del preliminare di compravendita per impossibilità sopravvenuta. La corte territoriale, sostengono i ricorrenti, non ha tenuto conto dell’eccezione di nullità, che oltre ad essere fondata, è stata ritualmente sollevata, in ogni caso ti giudice avrebbe dovuto esaminare la validità del contratto per pronunziarsi sulle domande, rilevando d’ufficio la nullità della convenzione per contrarietà alle norme imperative di cui allo strumento urbanistico.

E’ evidente che stabilire la tempestività o meno della eccezione di nullità del contratto ovvero la sua rilevabilità d’ufficio costituisce passaggio obbligato per l’esame delle altre questioni sollevate con il ricorso. In altri termini, ritiene questa Corte che il punto nodale della controversia sia la determinazione sul se al giudice di merito spetti di rilevare d’ufficio l’assunta nullità della convenzione, perchè contraria a norme imperative in tema di strumenti urbanistici. Di fronte, infatti, ad una situazione rilevabile d’ufficio dal giudice, il problema dell’inammissibilità dell’eccezione di nullità non si porrebbe neppure, dovendosi intendere la proposizione di parte, sia pure tardiva, inerente, non come formulazione di domanda fuori dei limiti processuali, ma sollecitazione ad un rilievo di ufficio comunque e sempre esprimibile.

Tanto premesso, va rimarcato come con indirizzo maggioritario questa Corte ha affermato che “il potere de giudice di dichiarare d’ufficio la nullità di un contratto ex art. 1421 c.c. va coordinato con il principio della domanda fissato dagli artt. 99 e 112 c.c., sicchè solo se sia in contestazione l’applicazione o l’esecuzione di un atto la cui validità rappresenti un elemento costitutivo della domanda, il giudice è tenuto a rilevare, in qualsiasi stato e grado del processo, l’eventuale nullità dell’atto: al contrario qualora la domanda sia diretta a fare dichiarare la invalidità del contratto o a farne pronunziare la risoluzione per inadempimento, la deduzione di una nullità diversa da quella posta a fondamento della domanda e di una qualsiasi causa di nullità o di un fatto costitutivo diverso dall’inadempimento, sono inammissibili; nè tali questioni possono essere rilevate d’ufficio, ostandovi il divieto di pronunziare ultra petità (cfr. ex plurimis: Cass. 6 agosto 2003 n. 11847; Cass. 14 gennaio 2003 n. 435; Cass. 17 maggio 2002 n. 7215). L’indicato orientamento giurisprudenziale, nel limitare gli effetti scaturenti dalla lettura dell’art. 1421 c.c., afferma che quest’ultima disposizione deve essere coordinata con la statuizione dell’art. 112 c.p.c. che, sulla base del principio dispositivo su cui va modellato il processo, impone al giudicante il limite insuperabile della domanda attorea. Così la rilevabilità d’ufficio della nullità del contratto opera quando si chieda l’adempimento del contratto stesso, allorquando cioè si vogliano far valere diritti presupponenti la validità del contratto medesimo, in considerazione del potere-dovere del giudice di verificare la sussistenza delle condizioni dell’azione, indipendentemente dalla condotta processuale della parte nei cui confronti si chiede che il contratto spieghi i suoi effetti.

Ne consegue che la nullità può essere rilevata d’ufficio solo se si pone in contrasto con la domanda dell’attore, in quanto il giudicante può sempre rilevare d’ufficio le eccezioni, che non rientrino tra quelle sollevabili unicamente tra le parti e che soprattutto non amplino l’oggetto della controversia, ma che, per tendere al rigetto della domanda stessa, si configurino come mere difese del convenuto, dovendosi di contro pervenire a diverse conclusioni nei casi in cui la nullità si colloca non nell’ambito delle eccezioni ma “nella zona delle difese dell’attore, che l’attore avrebbe potuto proporre, ma non ha proposto” (cfr. al riguardo tra le altre anche Cass. 9 febbraio 1995 n. 1453; Cass. 9 febbraio 1994 n. 1340; Cass. 15 febbraio 1991 n. 1589).

Questa Corte non ignora che, in linea con una parte della dottrina, qualche decisione non condivide la tesi che la rilevabilità d’ufficio della nullità debba essere limitata unicamente alla domanda di adempimento del contratto, rimarcando al riguardo che la sequenza logico-giuridica su cui si fonda detta domanda è la stessa di quella propria della risoluzione di inadempimento, perchè anche quest’ultima “si appoggia con identico grado di coerenza logica e giuridica sulla validità del negozio: da questo promana il rapporto, se ne chieda la risoluzione o si esiga l’adempimento della prestazione in esso dedotta”. A conforto di tale diversa opinione, volta ad estendere l’ambito di operatività della disposizione di cui all’art. 1421 c.c. in esame, si è anche ricordato che pure l’azione di annullamento richiede, con una priorità logico-giuridica assimilabile in qualche misura a quella riscontrata per la risoluzione, che il contratto di cui si chiede l’impugnativa sia esente da quelle ragioni che ne inficiano in radice la validità, determinandone l’inefficacia caratterizzante l’azione di nullità (cfr. tra le decisioni assegnabili a tale diverso orientamento da ultimo: Cass. 22 marzo 2005 n. 6170 ed in precedenza Cass. 2 aprile 1997 n. 2858).

Ciò posto, questa Corte ritiene di aderire all’orientamento maggioritario, che valorizza le indubbie diversità che sul piano giuridico e fattuale si riscontrano tra le fattispecie in cui si chieda in giudizio l’applicazione del contratto da quelle in cui si agisca invece per eliminarne gli effetti, facendo valere l’annullabilità del contratto stesso o chiedendone la risoluzione o rescissione. Nel primo caso infatti la nullità costituisce, come è stato osservato, l’antitesi logico-giuridica della validità ed efficacia del negozio, di cui si chiede l’esecuzione, sicchè il possibile accertamento della nullità di detto negozio investe in modo diretto ed immediato l’oggetto iniziale della controversia; il che non avviene negli altri casi in cui venga instaurato un giudizio di annullamento, risoluzione o rescissione. Più specificamente la netta distinzione tra questi ultimi giudizi, da una parte, e quello di nullità, dall’altro, per quanto attiene al petitum ed alla causa petendi, la specificità delle finalità perseguibili con le corrispettive azioni, il diverso atteggiarsi dell’interesse delle parti in causa, configurano un insieme di elementi destinati ad influire direttamente sui poteri del giudice ed a determinare il tipo di risposta giudiziaria. Come è stato, inoltre, sottolineato in dottrina se si vuole fondare, per ampliare l’ambito applicativo dell’art. 1421 c.c. ed i poteri d’ufficio del giudice, sulla esigenza di salvaguardia dei valori fondamentali del sistema, deve necessariamente riconoscersi che il fine di contrastare comportamenti dei privati lesivi di detti valori è configurabile unicamente per alcune ipotesi di nullità, quelle dipendenti da illiceità (dell’oggetto, della causa e dei motivi) e non invece per quelle scaturenti dalla mancanza di un elemento costitutivo, o da un presupposto. Per di più si è anche osservato che attraverso la rilevabilità d’ufficio il legislatore mira, per un verso, ad impedire il formarsi del giudicato sulla validità del negozio (nullo) e, per altro verso, ad eliminare un atto idoneo a suscitare affidamenti assolutamente precari, salvaguardando così l’ordinato svolgimento del traffico giuridico. Sulla base di tale preliminare considerazione si è aggiunto che se alla domanda di esecuzione di un negozio nullo, il convenuto non oppone la nullità, esclusa in ipotesi la rilevabilità d’ufficio, il giudice non potrebbe che accogliere la domanda, venendosi così ad aggiungere all’atto che integra la fattispecie dell’azione di esecuzione del negozio, un ulteriore indice, rappresentato dalla sentenza di accoglimento della legittimità delle situazioni giuridiche di cui il negozio è fonte, con possibili pregiudizievoli effetti per tutti i consociati. Orbene, se questa è la chiara ratio sottesa al disposto dell’art. 1421 c.c. non resta che concludere che essa non ricorre allorquando vengano promosse azioni negoziali diverse da quelle per l’esecuzione, perchè anche a volere ammettere in relazione ad esse la rilevabilità d’ufficio, tale rilevabilità potrebbe dar luogo solo ad una pronunzia incidentale, senza che, peraltro, sulla nullità si formi il giudicato, con la conseguenza che l’escludere la rilevabilità d’ufficio della nullità al di fuori delle ipotesi nelle quali essa è diretta ad impedire -per effetto del giudicato – il formarsi di un indice caduco di efficacia del negozio (sul quale possono sorgere affidamenti da parte dei terzi), corrisponde anche ad un corretto procedimento ermeneutico della norma codicistica in esame, perchè evita una ingiustificata ingerenza nel potere delle parti di disporre delle eccezioni e, più in generale, di scegliere le modalità attraverso le quali fare valere in giudizio le proprie ragioni.

Corollario di quanto sinora esposto è la non permeabilità della sentenza impugnata alla doglianza di cui al secondo motivo del ricorso, per avere la Corte territoriale ha affermato la non esaminabilità della censura perchè non era stata tempestivamente avanzata per essere stata dedotta dall’appellante solo con la memoria di costituzione del giudizio di impugnazione e per avere, ancora una volta, evidenziato correttamente come l’eccezione di nullità non potesse essere fatta valere d’ufficio dal giudice perchè “il potere del giudice di dichiarare l’ufficio la nullità di un contratto ex art. 1421 c.c. deve essere coordinato con il principio della domanda ex artt. 99 e 112 c.p.c.”.

Considerazioni queste del giudice d’appello pienamente condivisibili e che, unitamente a quelle in precedenza sviluppate, portano a concludere che il giudice non può rilevare d’ufficio la nullità di un contratto ex art. 1421 c.c. se le ragioni di nullità non siano ricavabili dalle risultanze processuali acquisite ritualmente agli atti ovvero non si presenti come questione pregiudiziale (art. 34 c.p.c.), anche perchè le ragioni di nullità del contratto e le relative domande si presentano non di rado con diverse articolazioni e con una diversa causa petendi su cui deve consentirsi l’esercizio del diritto di difesa di ciascuna di dette parti.

Dalla condivisione della ratio della decisione del giudice dei gravame su detta censura – tenuto conto che l’ulteriore iter argomentativo della sentenza non è risolutivo ai fini della definizione della controversia, essendo affrontati motivi subordinati, oltre che alternativi, rispetto al predetto – discende che le altre doglianze di parte ricorrente debbono ritenersi superate.

Trattandosi di motivi necessariamente collegati alla questione pregiudiziale.

In conclusione il ricorso va rigettato alla stregua delle precedenti considerazioni.

Al rigetto del ricorso consegue, come per legge, la condanna dei ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 2^ Sezione Civile, il 11 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2011

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA