Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33384 del 27/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 27/12/2018, (ud. 23/10/2018, dep. 27/12/2018), n.33384

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25826-2017 proposto da:

I.A., elettivamente domiciliata in ROMA, LARGO LA LOGGIA

33, presso lo studio dell’avvocato MATARAZZO MADDALENA,

rappresentata e difeso dall’avvocato MATARAZZO ERNESTO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 5332/4/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI SEZIONE DISTACCATA di SALERNO, depositata il

14/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/10/2018 dal Consigliere Dott. CRICENTI GIUSEPPE.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La ricorrente ha ceduto, insieme al marito, ed alle cognate, un appezzamento di terre, della estensione complessiva di mq. 50.770, comprensivo di due depositi agricoli, per un corrispettivo totale di 440 mila Euro.

Solo una parte di tale appezzamento ha generato plusvalenze tassabili. Il Fisco, considerato che non era specificato nell’atto di compravendita il valore attribuito dalle parti alla porzione di terreno che aveva generato la plusvalenza, ha provveduto autonomamente a calcolarlo, facendo una proporzione tra l’estensione di tale porzione ed il totale, e cosi stabilendo la plusvalenza, poi leggermente ridotta a seguito di contraddittorio.

La contribuente ha impugnato tale accertamento con l’argomento che il Fisco avrebbe dovuto limitarsi a quanto dichiarato in atti sul prezzo di compravendita, nel quale il corrispettivo parte per la medesima contribuente era di 180.000,00 Euro, che comprendeva anche la parte di terreno non generatrice di plusvalenza.

I giudici di merito tuttavia confermavano, in gran parte, la stima effettuata dal Fisco operando una lieve riduzione.

In sede di appello, la ricorrente riteneva di aver dimostrato che parte del prezzo, attribuito al di lei marito, in realtà era la restituzione di quanto da lui prestato tempo addietro alle sorelle, somma che, conseguentemente veniva esclusa dal calcolo del corrispettivo del coniuge della ricorrente, proprio in quanto non percepito a titolo di vendita pro parte, ma di restituzione, sotto forma di quest’ultima, del prestito a suo tempo fatto alle sorelle, anche esse venditrici.

Avverso tale decisione la contribuente propone ricorso per cassazione con un solo motivo con cui denuncia violazione del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 67 e 68, assumendo erroneità calcolo della plusvalenza da parte della Agenzia che avrebbe illegittimamente utilizzato un criterio difforme da quello basato sul prezzo dichiarato.

Si è costituita l’Agenzia delle Entrate ed ha chiesto il rigetto o l’inammissibilità del ricorso.

Il ricorso è inammissibile.

La ricorrente contesta due cose. La prima sta nella circostanza che il Fisco avrebbe presunto una simulazione soggettiva, nel senso che il corrispettivo rivolto al marito sarebbe da imputarsi invece alla ricorrente. E sostiene per conseguenza come arbitraria questa presunzione.

Tuttavia, la decisione impugnata non fa affatto cenno di tale presunta simulazione, non basa le sue conclusioni sull’affermata interposizione soggettiva del contratto. Piuttosto, la sentenza di secondo grado basa la sua decisione su ragioni diverse, che attengono alla correttezza del calcolo effettuato dal Fisco per stabilire il valore della sola parte di terreno venduto cui è riferibile la plusvalenza.

Da questo punto di vista, la censura non coglie l’esatta ragione della decisione.

Come secondo argomento, la ricorrente ritiene che lo stesso calcolo della plusvalenza sia illegittimo, in quanto dovrebbe farsi sulla somma formalmente percepita dal venditore e non su somma presunta.

In sostanza, in base all’atto di vendita risulta che la ricorrente ha incassato 180 mila Euro, mentre l’ufficio non ha distinto il valore dei singoli beni venduti considerandoli un unicum.

Anche questa censura, non autonomamente svolta, ma risultante da un argomento a sostegno del motivo di ricorso, è inammissibile. Infatti, la ricorrente denuncia come erronea la valutazione del bene compravenduto, questione che è fuori dalla violazione di legge lamentata ed attiene ad un accertamento in fatto, incensurabile in Cassazione.

Il ricorso, non attenendo pertanto alla ratto della sentenza impugnata e ponendo questioni non valutabili in sede di legittimità, va dichiarato inammissibile, con spese a carico del ricorrente.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi delD.P.R. n. 115 del 2002, dell’art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2018

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