Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33383 del 27/12/2018
Cassazione civile sez. VI, 27/12/2018, (ud. 23/10/2018, dep. 27/12/2018), n.33383
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –
Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –
Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 25626-2017 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,
presso VAVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende ope legis;
– ricorrente –
contro
B.O., BO.IV., SOCIETA’ ASILO INFANTILE COLOGNA
GAVAZZO FOCI DEL VARONE, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE PARIOLI 43, presso
lo studio dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA VALVA, che li rappresenta
e difende unitamente agli avvocati MAURO BEGHIN, GIUSEPPE CARRARO
AVENTI, GIUSEPPE PIVA;
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 40/1/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA II
GRADO di TRENTO, depositata il 28/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non
partecipata del 23/10/2018 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI.
Fatto
FATTO E DIRITTO
1.- Agenzia delle Entrate ricorre avverso una decisione della Commissione Tributaria di 2^ grado di Trento.
La vicenda che ha dato luogo al ricorso nasce da un accertamento della Guardia di finanza nei confronti della Società Asilo Infantile Cologna Gavazzo Foci del Varone”, che, fino al 1972, ha svolto attività scolastica di asilo vero e proprio, attività che, a partire da quell’anno, ha invece dismesso, vendendo il complesso immobiliare inizialmente adibito ad asilo.
Formalmente l’Asilo è sempre stato un ente non commerciale. Nel 2006 però ha venduto cinque terreni per un valore di 1.310.010,00 Euro, mentre nel 2007 ha venduto un terreno per 30.000 Euro.
Secondo la Guardia di Finanza, prima, e Agenzia delle Entrate dopo, questa attività di cessione di immobili dimostrerebbe che l’Asilo, pur sotto le vesti di un ente non commerciale ha svolto attività imprenditoriale e dunque avrebbe dovuto corrispondere l’IRES e le altre imposte connesse a tale tipo di attività.
L’avviso di accertamento è stato impugnato dall’Asilo, che ha avuto ragione delle sue tesi anche in appello.
Agenzia delle Entrate ricorre avverso la sentenza di secondo grado con un motivo di ricorso, con il quale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 55 TUIR e dell’art. 2195 c.c.
Sostiene in pratica che la CT ha errato nel trarre la conclusione che non è stata svolta attività imprenditoriale dal fatto che l’Asilo si è limitato a vendere dei terreni (cinque nel 2006 ed uno nel 2007). Secondo la ricorrente la Commissione ha errato nel ritenere che un’attività commerciale singola o occasionale non potesse comportare svolgimento di attività imprenditoriale. Parimenti avrebbe errato la Commissione nel ritenere non indicativa la circostanza della successiva locazione di tali immobili ai fini di qualificare l’attività come d’impresa.
Resistono con controricorso l’Asilo e gli altri contribuenti indicati in epigrafe, che eccepiscono la inammissibilità del ricorso in quanto volto a ottenere un nuovo esame dei fatti, nonchè in quanto, relativamente al secondo argomento, fuori dalla ratio della decisione, proponendo altresì ricorso incidentale condizionato, in caso di accoglimento del principale, ed illustrando ulteriormente il controricorso con memoria adesiva alla proposta del relatore ex art. 380 bis c.p.c.
2.- Il motivo di ricorso è inammissibile.
Si denuncia in realtà la violazione di legge, sia della norma codicistica che definisce l’attività di impresa, sia degli art. 55 e 149 TUIR che sottopongono ad imposizione l’attività di quel genere.
E’ evidente che censurare una decisione di violazione o falsa applicazione della legge equivale a sostenere che il significato della norma non è stato correttamente inteso, oppure che i fatti vengono ricondotti sotto una fattispecie diversa.
Nel caso presente, Agenzia contesta ai giudici di appello di aver ritenuto che quei singoli atti commerciali (vendita dei terreni) non costituiscono indice di attività imprenditoriale, mentre, secondo la ricorrente dovrebbero esserlo.
Se questa è la censura essa si risolve nella richiesta di una diversa valutazione dei fatti, ossia nella richiesta di dare ai fatti non già una fattispecie diversa di riferimento, ma un diverso valore indiziario.
L’errore della CTR starebbe nel fatto di non aver ritenuto sufficienti quelle vendite ad integrare una attività imprenditoriale. E dunque non si attribuisce al giudizio di secondo grado una erronea valutazione delle norme, ed infatti la CTR non attribuisce alle norme in questione un significato diverso da quello loro proprio, nè si attribuisce alla CTR una erronea applicazione, nel senso che, accertati i fatti in quel modo la CTR li riferisce alla fattispecie sbagliata. Si censura a ben vedere una certa valutazione dei fatti, ossia la loro insufficienza ad integrare quella determinata fattispecie, e non un’altra.
Infine, a conferma di quanto detto v’è l’ulteriore argomento di censura portato dalla ricorrente, ossia il fatto che la CTR non avrebbe tenuto conto che il ricavato della cessione non è stato usato per riaprire un altro silo ma per acquistare altri beni immobili da locare a terzi.
Anche in questo caso, a prescindere dal fatto che la CTR non ha basato la sua decisione su questo fatto (reimpiego del ricavato), ritenendolo ultroneo, v’è la conferma che non di violazione di legge si tratta (il significato delle norme coinvolte non è in discussione) e nemmeno si tratta di falsa applicazione (i giudici non riconducono i fatti ad una fattispecie sbagliata), ma di valutazione dei fatti stessi nel loro significato indiziario di una fattispecie.
Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con conseguente assorbimento del controricorso incidentale condizionato. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso, dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato, e condanna Agenzia delle Entrate al pagamento di 12 mila Euro per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi, liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge, se dovuti. Rilevato che risulta soccombente parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura dello Stato, non si applica il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2014.
Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2018