Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33374 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. un., 17/12/2019, (ud. 19/11/2019, dep. 17/12/2019), n.33374

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente di sez. –

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente di sez. –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25280-2018 proposto da:

A.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TUSCOLANA 194

presso LO STUDIO F.A. – A.A., rappresentato e difeso

dal sè medesimo;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO, PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI

25;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 150/2018 della CORTE DEI CONTI – PRIMA SEZIONE

GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO – ROMA, depositata l’11/04/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/11/2019 dal Consigliere Dott. ROBERTA CRUCITTI;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, il quale conclude per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte dei Conti, Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di Appello, con sentenza n. 150/18, depositata il giorno 11.04.2018, rigettava l’appello proposto dall’Avv. A.M. avverso la sentenza della Corte dei Conti – Sezione giurisdizionale per la regione Campania che aveva condannato il predetto avvocato, nella sua qualità di capo del settore legale del Comune di Torre del Greco, al pagamento, in favore del predetto Ente, di una determinata somma di denaro, quale ristoro del danno subito dal Comune, in conseguenza di un procedimento edilizio, riguardante l’abbattimento di un’opera abusiva, in pendenza dell’istanza di condono in sanatoria presentata dal proprietario dell’immobile, il quale, in sede giudiziale aveva ottenuto la pronuncia di illegittimità del provvedimento amministrativo e il risarcimento del danno, poi liquidato con Delib. del Consiglio Comunale;

avverso la sentenza A.M. propone ricorso, su quattro motivi;

resiste, con controricorso, il Procuratore Generale presso la Corte dei Conti;

il ricorso è stato avviato, ex art. 380 bis.1 c.p.c., alla trattazione in camera di consiglio, in prossimità della quale il P.G., in persona del sostituto procuratore generale Dott. Lucio Capasso ha depositato requisitoria, concludendo per l’inammissibilità del ricorso, e il ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1 con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione della Legge Professionale Forense (L. n. 247 del 2012), art. 23, comma 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1;

secondo la prospettazione difensiva, la Corte dei conti – sia la Sezione Prima Giurisdizionale Centrale di appello che la Sezione giurisdizionale per la regione Campania – nell’addebitare all’Avv. A. la responsabilità di danno erariale, derivante dall’attività prettamente professionale forense di difesa giudiziaria dell’Ente, non aveva considerato che lo stesso Avvocato, in quanto iscritto all’Albo Speciale del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati presso il Tribunale di Torre Annunziata, era sottoposto al potere disciplinare di quell’Organo, con conseguente superamento e la violazione dei limiti esterni del potere giurisdizionale spettante ad altro organo e, specificamente, al Consiglio Distrettuale di Disciplina, organo statale giustiziale;

1.1 la censura è inammissibile, condividendosi l’eccezione di intervenuto giudicato sulla giurisdizione, sollevata in controricorso;

1.2 in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte regolatrice, l’interpretazione dell’art. 37 c.p.c., secondo cui il difetto di giurisdizione “è rilevato, anche d’ufficio, in qualunque stato e grado del processo”, deve tenere conto dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, della progressiva forte assimilazione delle questioni di giurisdizione a quelle di competenza e dell’affievolirsi dell’idea di giurisdizione intesa come espressione della sovranità statale, essendo essa un servizio reso alla collettività con effettività e tempestività, per la realizzazione del diritto della parte ad avere una valida decisione nel merito in tempi ragionevoli. Si è, quindi, affermato che: 1) il difetto di giurisdizione può essere eccepito dalle parti fino a quando la causa non sia stata decisa nel merito in primo grado; 2) la sentenza di primo grado di merito può sempre essere impugnata per difetto di giurisdizione; 3) le sentenze di appello sono impugnabili per difetto di giurisdizione soltanto se sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito, operando la relativa preclusione anche per il giudice di legittimità; 4) il giudice può rilevare anche d’ufficio il difetto di giurisdizione fino a quando sul punto non si sia formato il giudicato esplicito o implicito. In particolare, il giudicato implicito sulla giurisdizione può formarsi tutte le volte che la causa sia stata decisa nel merito, con esclusione per le sole decisioni che non contengano statuizioni che implicano l’affermazione della giurisdizione, come nel caso in cui l’unico tema dibattuto sia stato quello relativo all’ammissibilità della domanda o quando dalla motivazione della sentenza risulti che l’evidenza di una soluzione abbia assorbito ogni altra valutazione (ad es., per manifesta infondatezza della pretesa) ed abbia indotto il giudice a decidere il merito per saltum, non rispettando la progressione logica stabilita dal legislatore per la trattazione delle questioni di rito rispetto a quelle di merito (Cass., Sez. U., 9 ottobre 2008, n. 24883). Allorchè, pertanto, il giudice di primo grado abbia pronunciato nel merito, affermando, anche implicitamente, la propria giurisdizione, la parte che intende contestare tale riconoscimento è tenuta a proporre appello sul punto; diversamente, l’esame della relativa questione è precluso in sede di legittimità, essendosi formato il giudicato implicito sulla giurisdizione (così Cass. Sez. U., 16 ottobre 2018, n. 25937 con richiami a Cass., Sez. U., 20 gennaio 2011, n. 2067; Cass., Sez. U., 29 novembre 2017, n. 28503; Cass., Sez. U., 2 ottobre 2018, n. 24132);

1.2 nella specie, la sentenza di primo grado, pronunciando nel merito della responsabilità per danno erariale del convenuto, contiene un’affermazione implicita della giurisdizione del giudice contabile, alla quale l’attuale ricorrente per cassazione ha prestato acquiescenza, non proponendo, per come è pacifico, con l’atto di appello, tempestiva impugnazione sulla questione di giurisdizione;

nè, peraltro, può accedersi alle tesi difensive, sviluppate per la prima volta nella memoria, depositata ex art. 380 bis 1 c.p.c., per cui, secondo la prima, l’eccezione di difetto di giurisdizione venne sollevata dal difensore dell’Avv. A. all’udienza di discussione dell’appello del 17 novembre 2016 innanzi alla Prima Sezione Giurisdizionale Centrale di Appello e, secondo la seconda, era giuridicamente impossibile formulare in primo grado la stessa eccezione, in quanto la legge professionale entrò in vigore il 2 febbraio 2013 ed il Codice deontologico forense venne pubblicato sulla G.U. n. 241 del 16.10.2014;

anche a voler prescindere dalla genericità dell’assunto (smentito, peraltro, dalla sentenza impugnata che tali conclusioni non riporta), la mancata, rituale e tempestiva, proposizione di un apposito motivo di appello ha determinato la formazione del giudicato interno sulla statuizione risultante dalla sentenza di primo grado della Sezione giurisdizionale per la Regione Campania della Corte dei conti, nè rileva la circostanza, prospettata, relativa all’entrata in vigore della legge professionale a ridosso con l’udienza di discussione di primo grado, atteso che, in ogni caso, ai fini della verifica della sussistenza dei presupposti fondanti la giurisdizione, rilevano le disposizioni vigenti al momento in cui è stata tenuta la condotta ipotizzata come illecita e che, per altro verso, il momento determinante la giurisdizione va fissato non solo con riguardo allo stato di fatto esistente al tempo della proposizione della domanda, ma anche con riferimento alla legge vigente in quel momento, senza che possano rilevare eventuali sopravvenienze in fatto o in diritto (cfr. Cass. Sez. U., n. 25937/18 cit.);

2 con il secondo motivo – rubricato: violazione e la falsa applicazione della Legge Professionale Forense n. 247 del 2012, art. 59, comma 1, lett. b, n. 1 e 1.2 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – il ricorrente, ribadito quanto già dedotto con il primo motivo, ovvero che tutta l’attività interna svolta per l’Ente doveva considerarsi attività professionale e non amministrativa, deduce che la sentenza debba ritenersi illegittima, anche per violazione della Legge Professionale Forense, art. 59, comma 1, nn. 1 e 2 in quanto nell’invito a dedurre e nell’atto di citazione a giudizio non erano enunciate le norme amministrative violate fonte dell’addebito;

3 con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 247 del 2012, art. 56 e della L. n. 20 del 1994, art. 1 relativi alla prescrizione dell’azione; secondo la prospettazione difensiva, nella specie, era applicabile il termine prescrizionale fissato dalla legge professionale forense (sei anni dal fatto) con la conseguenza che nell’anno 2012, nel corso del quale era stato notificato l’invito a dedurre, l’azione disciplinare doveva considerarsi già prescritta, essendo, il fatto dannoso, venuto a conoscenza dell’Amministrazione nel 2005;

sempre secondo il ricorrente, l’azione disciplinare doveva ritenersi, egualmente, prescritta anche a volere ritenere applicabile il più breve termine di cinque anni di cui alla L. n. 20 del 1994, art. 1, comma 2, dovendosi fissare il dies a quo sempre dal momento di conoscenza del danno;

4 con il quarto motivo, infine, si deduce la violazione della L. n. 247 del 2012, art. 59 e del principio del diritto alla difesa, laddove la mancata tempestiva denuncia della Amministrazione alla Procura Regionale della Corte dei Conti, nella immediatezza della conoscenza dei fatti, era foriera di danni alla difesa del dipendente incolpato con violazione del suo diritto alla difesa;

5 costituisce pacifica acquisizione della giurisprudenza di queste Sezioni Unite l’affermazione secondo cui il ricorso per cassazione contro le decisioni della Corte dei conti è consentito soltanto per motivi inerenti alla giurisdizione, sicchè il controllo di legittimità è circoscritto all’osservanza dei limiti esterni della giurisdizione, non estendendosi agli errores in procedendo o agli errores in iudicando, il cui accertamento rientra nell’ambito del sindacato afferente i limiti interni della giurisdizione (così, di recente, le sentenze 14 novembre 2018, n. 29285, e 19 febbraio 2019, n. 4886). E’ ammissibile il sindacato, quindi, in caso di sconfinamento nella sfera riservata alla discrezionalità del legislatore o dell’amministrazione, così come nell’ipotesi in cui il giudice contabile si pronunci su materie che sono estranee alle sue attribuzioni giurisdizionali;

5.1 alla luce di tali principi gli ultimi tre mezzi di impugnazione sono inammissibili;

ferma restando, per le ragioni già svolte, la giurisdizione della Corte dei conti, e essendo pacifico che la sottoposizione degli avvocati (pur se iscritti agli Elenchi speciali allegati all’Albo) al potere disciplinare del Consiglio dell’Ordine non esclude la configurabilità di una concorrente responsabilità contabile dell’Avvocato, quale dipendente dell’Ente comunale qualora ne ricorrano gli estremi, essendo diversi i presupposti e le finalità perseguite dalle disposizioni relative alla responsabilità disciplinare e a quella contabile, le censure proposte con il secondo motivo (ovverossia la mancanza, nell’incolpazione, delle norme violate e l’errata valutazione delle prove) sono inammissibili, concretando, comunque, ipotesi di error in procedendo e in iudicando, estranee alla denunciata violazione dei limiti esterni alla giurisdizione del Giudice speciale;

anche il terzo motivo e il quarto motivo di ricorso sono inammissibili; con riferimento alla dedotta responsabilità disciplinare, per inconferenza, non vertendosi, nella specie, in ambito di procedimento disciplinare, mentre, con riferimento alla dedotta violazione della normativa prescrizionale relativa alla responsabilità contabile, perchè risolventesi, anche in questo caso, in un’inammissibile prospettazione dell’eventuale error in iudicando commesso dal Giudice contabile nell’individuazione del dies a quo;

eguali considerazioni, infine, vanno svolte anche con riguardo alla sussistenza della legittimazione della Procura a agire e all’asserita violazione del diritto di difesa, ipotizzate con il quarto motivo, attenendo tutte ad eventuali errores in procedendo ovvero in iudicando;

6 alla stregua delle considerazioni che precedono il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile;

7 sussistono i presupposti processuali per l’applicabilità del disposto normativo relativo al versamento dell’ulteriore importo pari al contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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