Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33371 del 27/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 27/12/2018, (ud. 26/09/2018, dep. 27/12/2018), n.33371

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 14661-2015 proposto da:

MERIDIANA FLY S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE

21/23, presso lo studio degli avvocati CARLO BOURSIER NIUTTA,

MARCELLO DE LUCA TAMAJO, ANTONIO ARMENTANO, che la rappresentano e

difendono giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

G.K., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati STEFANO CHIUSOLO, MARIO ANTONIO FEZZI, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1092/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 05/12/2014 r.g.n. 1291/2011.

Fatto

RILEVATO CHE:

il Tribunale di Milano, con sentenza nr. 5120 del 2010, accoglieva la domanda proposta da G.K. nei confronti di Meridiana Fly Spa (di seguito: Meridiana) e dichiarava l’illegittimità del contratto di lavoro somministrato, in relazione al periodo 18.5.2006 – 18.11.2006, riconoscendo la sussistenza, tra le parti, di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato;

la Corte di Appello di Milano, con sentenza nr. 1092 del 2014, respingeva il gravame: per quanto di rilievo nella presente sede, osservava che Meridiana non aveva offerto adeguata dimostrazione dell’esistenza in capo alla società somministrante dell’autorizzazione di cui alla L. n. 276 del 2003, artt. 4 e 5 (a tale riguardo, infatti,le prove offerte erano generiche) nonchè dell’effettività della causale giustificatrice del ricorso al lavoro somministrato (anche a tal fine era generica la prova per testi come articolata); ne conseguiva, pertanto, la costituzione di un rapporto a tempo indeterminato con la società utilizzatrice;

ha proposto ricorso per cassazione Meridiana, affidato a tre motivi;

ha resistito con controricorso, il lavoratore;

entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO CHE:

con il primo motivo, la società deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 violazione e falsa applicazione degli artt. 115,116,210,244 e 421 c.p.c. nonchè del D.Lgs. n. 276 del 2003, artt. 4,5,20 e 27 (è censurata la sentenza nella parte in cui ha considerato “insufficienti le prove offerte da Meridiana in ordine al possesso della prescritta autorizzazione in capo alla società somministrante” ed inoltre per non aver esercitato i poteri istruttori d’ufficio);

il motivo è inammissibile;

la deduzione delle violazioni di legge contenuta nella rubrica del motivo scherma in realtà deduzione di vizi di motivazione;

la valutazione dei mezzi di prova costituisce attività riservata in via esclusiva all’apprezzamento discrezionale del giudice di merito, insindacabile in questa sede se non nei limiti dell’art. 360 c.p.c., n. 5, tempo per tempo vigente;

non rileva, infatti, la censura prospettata con il richiamo alla violazione delle regole stabilite dagli artt. 115 e 116 c.p.c.che può porsi solo allorchè si alleghi che il giudice di merito: a) abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposto di ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; b) abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione;

nessuna di tali situazioni viene prospettata dalla ricorrente che, nella sostanza, richiede una (ormai del tutto inammissibile) rivisitazione di fatti e circostanze come valutati in sede di merito;

quanto, poi, al mancato esercizio da parte del giudice dei poteri ufficiosi ex art. 421 c.p.c., preordinato al superamento di una meccanica applicazione della regola di giudizio fondata sull’onere della prova, occorre osservare come la società non abbia neppure specificato di averne sollecitato l’esercizio (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 17704 del 2015; nr. 22534 del 2014; nr. 6023 del 2009) e tanto meno indicato i mezzi istruttori che, ove ammessi e/o esaminati, avrebbero condotto, in termini di certezza e non di mera probabilità, ad altro esito della lite;

con il secondo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 20, comma 4, art. 27, comma 3, e dell’art. 41 Cost. nonchè degli artt. 115,116,244 e 421 c.p.c. (la censura riguarda la statuizione di genericità della prova per testi come articolata in ordine alla effettività della causale giustificatrice; la società si duole della statuizione secondo cui il contenuto dei capitoli di prova non avrebbe consentito una adeguata dimostrazione circa l’effettiva sussistenza delle esigenze sottese alla stipulazione del contratto di somministrazione);

il motivo è inammissibile;

alle considerazioni già esposte in relazione al primo motivo, si osserva anche che avendo la sentenza impugnata accolto la domanda del lavoratore sulla base di più rationes decidendi (a. il difetto di autorizzazione in capo alla società somministrante; b. l’assenza di effettività della causale giustificatrice del ricorso al lavoro somministrato) e non essendo più censurabile, per quanto argomentato in ordine al primo motivo di ricorso, in questa sede di legittimità, la prima delle due ragioni che sorreggono la decisione, il secondo motivo (id est l’esame del secondo motivo) difetta di interesse, giacchè dal suo eventuale accoglimento non potrebbe comunque derivare la cassazione della sentenza;

con il terzo motivo – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – è dedotta violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, commi 1 e 2, (la censura riguarda la statuizione in ordine alle conseguenze derivanti dalla accertata nullità; secondo la parte ricorrente i giudici di merito avrebbero errato nel dichiarare la sussistenza di un contratto a tempo indeterminato con l’utilizzatore, dovendo piuttosto riconoscere, tra il lavoratore e l’utilizzatore, la sussistenza di un contratto di lavoro a tempo determinato, come concluso con il somministrante);

il motivo è infondato alla luce della costante giurisprudenza di legittimità secondo cui il contratto che si viene ad instaurare con l’utilizzatore della prestazione non può che essere a tempo indeterminato (Cass. nr. 15610 del 2011 e, tra le successive, Cass. nr. 6933 del 2012; di recente, in motivazione, Cass. nn. 6933-10901- 1341717669 del 2018); ciò sulla scorta e del dato letterale di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 27, comma 1, – il quale stabilisce espressamente che, in ipotesi di somministrazione avvenuta al di fuori dei limiti e delle condizioni di cui all’art. 20 e art. 21, comma 1, lett. a), b), e), d) ed e), il lavoratore può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell’art. 414 c.p.c., notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest’ultimo, con effetto dall’inizio della somministrazione- e del rilievo che, diversamente opinando, verrebbe ad essere facilmente aggirata la disciplina limitativa del contratto a termine;

il ricorso va, dunque, complessivamente respinto;

le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza camerale, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2018

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