Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33370 del 27/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 27/12/2018, (ud. 27/06/2018, dep. 27/12/2018), n.33370

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annnalisa – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19210-2013 proposto da:

L.L., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

ENNIO QUIRINO VISCONTI 103, presso lo studio dell’Avvocato LUISA

GOBBI, che lo rappresenta e difende unitamente dall’Avvocato FULVIO

CAROLLO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, (OMISSIS), ASSESSORATO ALLA SANITA’ REGIONE

SICILIANA, REGIONE SICILIA, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI N.12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrenti –

e contro

AZIENDA OSPEDALIERA SAN GIOVANNI DI DIO (OMISSIS), GESTIONE

LIQUIDATORIA USL N. (OMISSIS) AGRIGENTO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1328/2012 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 30/07/2012 R.G.N. 1373/2009.

Fatto

RILEVATO

CHE:

la Corte d’Appello di Palermo, a conferma della pronuncia del Tribunale di Agrigento, ha rigettato la domanda proposta da L.L., infermiere presso l’Azienda Sanitaria S. Giovanni di Dio (ora ASP di Agrigento) dal 1967 al 2004, con la quale lo stesso aveva domandato il risarcimento del danno biologico ed esistenziale derivante dal contagio da epatite C, verificatosi a causa dell’omessa predisposizione di presidi antinfettivi e di una inadeguata azione preventiva del rischio di contagio da parte della datrice;

la Corte territoriale ha ritenuto che la pretesa trovasse titolo nel rapporto di lavoro con l’Azienda Sanitaria S. Giovanni di Dio, ora ASP di Agrigento, ed ha pronunciato nei limiti temporali fissati dal legislatore per il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo, rigettando la domanda che chiedeva al Giudice del merito di pronunciare a prescindere dai predetti limiti;

ha accertato che alla stregua delle norme vigenti, la responsabilità del Ministero della Salute per l’inosservanza degli obblighi di controllo imposti era riconducibile all’art. 2043 c.c. e non già all’art. 2050 c.c., che prevede la responsabilità per svolgimento di un’attività pericolosa, atteso che quest’ultima presuppone un ruolo di gestione a cui è totalmente estranea la funzione di vigilanza sulla salute pubblica esercitata dal Ministero;

ha ritenuto applicabile la prescrizione quinquennale, riferendosi al momento in cui la malattia era stata conosciuta il 15 marzo 1998 come risultante da una certificazione prodotta dallo stesso ricorrente;

ha accertato che il termine di prescrizione era maturato nel marzo 2003, mentre la domanda risarcitoria era stata proposta nel settembre 2006;

quanto alle altre patologie intervenute (cardiopatia ischemico-ipertensiva e colecisti calcolosa), ha escluso eventuali correlazioni con la patologia epatica; riguardo alla cirrosi, sopraggiunta nel 2008, ne ha accertato la natura di mero aggravamento della patologia epatica originaria, escludendone la rilevanza ai fini della prescrizione già verificatasi;

per la cassazione della sentenza ricorre L.L. con un unico motivo;

il Ministero della Salute resiste con controricorso; l’Azienda Ospedaliera S. Giovanni di Dio, la Gestione liquidatoria USL n. (OMISSIS) di Agrigento e la Regione Sicilia rimangono intimate.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

con l’unica censura si contesta “Nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione artt. 1230,2043,2944,2946,2947,2952 c.c. in quanto nulla ha motivato la sentenza d’appello in punto transazione/riconoscimento del debito e contestuale nuovo e diverso decorso del termine di prescrizione decennale, svincolato dalla prescrizione ex art. 2947 c.c.; errata applicazione del principio dell’aliquid novi – Errore logico-giuridico”; il ricorrente ritiene che le conclusioni del giudice di primo grado in merito al ruolo concausale dell’evento dedotto, nonchè al concetto dell’aliquid novi, contrastino con ogni ragionevole criterio espresso in materia; che lo stesso Giudice abbia errato nel far derivare il quadro delle patologie riscontrate non già dall’iniziale patologia virale contratta dal dipendente, bensì da fatti notori privi di valore scientifico; lamenta la mancata adozione da parte del Giudice di una nuova CTU rivolta a superare l’eccezione di prescrizione ai fini della valutazione dell’insorgenza delle fasi morbose e della riconducibilità di esse all’evento originario;

l’unico motivo di ricorso deve ritenersi inammissibile;

la lettura dell’atto difensivo evidenzia che il ricorrente rivolge le sue doglianze direttamente nei confronti della pronuncia del primo Giudice (p. 29, p. 30 del ricorso), e, pertanto, va data attuazione al costante orientamento di questa Corte, con cui si afferma che “Con il ricorso per cassazione non possono essere proposte – e sono da dichiararsi, perciò, inammissibili – censure rivolte specificamente contro la sentenza di primo grado, anzichè contro quella di appello, atteso che oggetto del suddetto ricorso è – al di fuori dei casi eccezionali previsti dalla legge – normalmente la sentenza di 2^ grado” (Così Cass. n.5637 del 2006; cfr. anche Cass. n. 6733 del 2014);

in definitiva, non meritando accoglimento l’unica censura, il ricorso va dichiarato inammissibile;

le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza rispetto alla parte costituita; nulla spese nei confronti della parte rimasta intimata;

si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso nei confronti del Ministero della Salute delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito. Nulla spese nei confronti delle rimanenti parti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 27 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 dicembre 2018

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