Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3337 del 05/02/2019

Cassazione civile sez. I, 05/02/2019, (ud. 23/10/2018, dep. 05/02/2019), n.3337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9347/2015 proposto da:

B.V.G., nella qualità di debitore principale, e

C.T., nella qualità di fidejubente, domiciliati in Roma,

Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di

Cassazione, rappresentati e difesi dall’avvocato Scarpelli Fernando,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Credito Cooperativo MEDIOCRATI – Società Cooperativa per Azioni, in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Via dell’Orso n. 74, presso lo Studio Legale

Perugini & Associati, rappresentata e difesa dall’avvocato

Perugini Salvatore, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

contro

Banca di Credito Cooperativo della Sibaritide s.c.a.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1288/2014 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 15/09/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/10/2018 dal cons. NAZZICONE LOREDANA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato F. Scarpelli che si riporta;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato A. L. Chiola, con delega,

che si riporta.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 15 settembre 2014, la Corte d’appello di Catanzaro ha parzialmente accolto l’impugnazione proposta dal correntista Vincenzo B. e dalla garante C.T. contro la sentenza di primo grado del Tribunale di Rossano – con cui era stata accolta l’opposizione dei medesimi al decreto ingiuntivo di pagamento della somma di Euro 58.345,60, oltre accessori quantificando l’importo dovuto alla banca nella somma di Euro 20.884,93, o(tre accessori, in quanto ne ha espunto gli interessi anatocistici e la commissione di massimo scoperto.

Avverso questa sentenza viene proposto ricorso per cassazione dai predetti, sulla base di un unico motivo.

La BCC Mediocrati s.p.a. ha resistito con controricorso.

I ricorrenti hanno depositato altresì la memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il motivo deduce la violazione e la falsa applicazione del principio dell’onere della prova, di cui all’art. 2697 c.c., rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la sentenza impugnata, sulla base della nuova c.t.u. disposta durante il giudizio d’appello, accertato il saldo negativo del conto oggetto del giudizio sulla base di criteri presuntivi, mentre la banca non ha assolto al proprio onere di ridepositare in grado di appello tutti gli estratti conto dall’inizio del rapporto, già prodotti in primo grado: onde ha errato il giudice del merito nell’utilizzare il criterio del c.d. saldo zero e nel disapplicare il principio, secondo cui la parte è onerata a ridepositare in appello i documenti in precedenza prodotti, pena la soccombenza.

2. – Il motivo è inammissibile, per più ragioni.

Esso presenta un difetto di specificità, investendo l’accertamento compiuto dal giudice distrettuale sulla scorta della disposta consulenza tecnica d’ufficio, la quale ha evidenziato il predetto saldo, a credito della banca, una volta espunte del tutto le voci relative alla commissione di massimo scoperto ed agli interessi anatocistici.

La carenza di specificità deriva dal fatto che i ricorrenti non indicano la localizzazione dell’elaborato peritale; non ne trascrivono alcuno stralcio; non chiariscono quale sia il saldo del primo degli estratti conto prodotti; non spiegano quali estratti conto la banca abbia omesso di produrre e quelli che il consulente avrebbe acquisito; non precisano in quali atti si sarebbero opposti alla nuova c.t.u., nè trascrivono il contenuto degli atti processuali in cui tale opposizione sarebbe eventualmente stata formulata.

In secondo luogo, il motivo, nel denunciare la violazione del principio dell’onere della prova di cui all’art. 2697 c.c., non concerne invece affatto l’individuazione del soggetto gravato dell’onere probatorio, ma si appunta in buona sostanza sull’assunto, concernente però il merito, secondo cui la banca, non avendo depositato l’intera documentazione contabile concernente il rapporto, non avrebbe dato la prova del proprio credito.

Tuttavia, costituisce principio costante che la violazione dell’art. 2697 c.c., ricorre solo quando il giudice attribuisca l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulti per legge gravata (Cass. 17 giugno 2013, n. 15107; più di recente, Cass. 13 febbraio 2018, n. 3450).

Nel caso in esame, invece, la censura non investe l’individuazione del soggetto tenuto a provare la sussistenza del credito fatto valere dalla banca in via monitoria: soggetto che, anche nella fase di opposizione a decreto ingiuntivo, resta il creditore, come invero la corte territoriale ha correttamente affermato.

I ricorrenti richiamano, inoltre, il principio inconferente, secondo cui è onere della parte ridepositare in appello i documenti prodotti in primo grado, pena la mancata prova dell’assunto (Cass. 8 gennaio 2007, n. 78): nel caso di specie, però, la banca aveva assolto il proprio onere probatorio depositando in giudizio, come afferma la sentenza impugnata, gli estratti conto inerenti l’intera durata del rapporto ed essi erano stati considerati dal consulente in primo grado per la sua relazione; mentre detti estratti non erano più stati rinvenuti in grado di appello, onde la corte territoriale ha autorizzato il consulente, ai fini del ricalcolo del credito, ad ottenerne nuova copia dalla banca. Non si discorre, dunque, di mancato assolvimento a quell’onere, dal ricorrente richiamato.

Inoltre, la sentenza impugnata dà atto che, in tal modo, è il correntista a beneficiare dell’azzeramento del proprio debito nel periodo anteriore, risultando dunque contraria a buona fede la stessa pretesa di andarne interamente assolto.

Ed invero, la corte territoriale non ha negato il principio secondo cui, in caso di necessità di ricalcolo del saldo di conto corrente a causa della nullità delle clausole relative agli interessi, è necessario che la banca produca gli estratti conto integrali, ossia a partire dal “saldo zero” iniziale, condizione per effettuare il preciso conteggio del saldo finale, proprio al fine di disporre di un punto di partenza certo da cui iniziare il calcolo delle reciproche rimesse e relative compensazioni: ma ha accertato, in fatto ed in favore del correntista, come ad una certa data potesse collocarsi un saldo zero, mediante valutazione di fatto che non è stata in alcun modo smentita dagli odierni ricorrenti.

3. – Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna i ricorrenti in solido al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese sostenute per il giudizio di legittimità, liquidate in Euro 2.500,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, alle spese forfetarie al 15% ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 23 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2019

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