Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33365 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. I, 17/12/2019, (ud. 25/10/2019, dep. 17/12/2019), n.33365

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 26138/18 proposto da:

-) N.M., elettivamente domiciliata a Roma, via Federico

Confalonieri n. 5, presso l’avv. Gianluca Calderara che, unitamente

agli avv.ti Maria Grazia Gandolfo e Enrico Moscatelli la rappresenta

e difende per procura apposta in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

-) Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di

Genova;

– intimata –

avverso il decreto della Corte d’appello di Genova 12 giugno 2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25 ottobre 2019 dal Consigliere relatore Dott. Marco Rossetti.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. N.M., cittadina albanese, chiese al Tribunale per i minorenni di Genova il permesso di soggiorno temporaneo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3.

A fondamento del ricorso dedusse di non essere in possesso di permesso di soggiorno; che il suo allontanamento avrebbe arrecato grave pregiudizio alla figlia, in considerazione della sua minore età (anni 10 all’epoca dell’introduzione del giudizio) e del suo radicamento nel “contesto socio-ambientale ed educativo” italiano.

2. Il Tribunale rigettò la domanda.

La Corte d’appello di Genova con decreto 12.6.2018 rigettò il reclamo proposto dall’odierna ricorrente, ritenendo che:

(a) il permesso di soggiorno temporaneo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3, può essere rilasciato solo per sopperire ad esigenze eccezionali, gravi e temporanee;

(b) nessuna di tali esigenze sussisteva nel caso di specie, in quanto la minore aveva trascorso gran parte della sua vita in Albania, e solo gli ultimi due anni in Italia;

(c) la madre era stata condannata con sentenza passata in giudicato per traffico di stupefacenti, con pena detentiva che sarebbe scaduta il 5 maggio 2019;

(d) la minore non era stata riconosciuta dal padre.

Da questi elementi di fatto la Corte d’appello trasse la conclusione che, nel caso in cui la minore avesse seguito la madre in Albania, non ne avrebbe ricevuto alcun grave pregiudizio al suo sviluppo psicofisico.

3. Il decreto è stato impugnato per cassazione da N.M. con ricorso fondato su tre motivi.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il motivi di ricorso.

1.1. I tre motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, poichè rivolgono contro il decreto impugnato censure strettamente connesse, così riassumibili:

1) la Corte d’appello ha errato nel ritenere che, nel caso in cui la minore seguisse la madre in Albania, non subirebbe alcun pregiudizio (primo motivo);

2) la Corte d’appello non ha adeguatamente valutata una relazione dei servizi sociali acquisita nei gradi di merito, dalla quale emergeva il buon inserimento della minore nel contesto sociale italiano;

3) la Corte d’appello non ha adeguatamente considerato l’ordinanza pronunciata dal Tribunale di sorveglianza di Torino, con la quale l’odierna ricorrente era stata ammessa al beneficio dell’affidamento in prova ai servizi sociali.

La prima delle suddette censure viene prospettata con riferimento al vizio di violazione di legge; le altre due censure vengono prospettate come vizio di omesso esame d’un fatto decisivo.

1.2. Tutti e tre i motivi sono manifestamente inammissibili:

-) il primo in quanto censura un apprezzamento di fatto;

-) gli altri due sia perchè censurano la valutazione delle prove, sia perchè in ogni caso i “fatti” che si assumono trascurati dalla Corte d’appello sono privi di decisività.

1.3. Infatti l’inserimento della minore nel contesto scolastico sociale è privo di rilevanza, in quanto il radicamento del minore in Italia (per esservi nato, o per avere qui frequentato la scuola) non può costituire, da solo, un “grave motivo” per accordare il permesso di soggiorno D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 31 ai suoi genitori, o ad uno di essi; può costituire al massimo un elemento indiziario, da valutare insieme a tutte le altre specificità del caso concreto, al fine di accordare o negare ai suoi genitori il permesso di soggiorno.

Ciò per le seguenti ragioni:

1) l’art. 31 impone un bilanciamento tra l’interesse del minore ed il principio di legalità, ma non stabilisce affatto che il secondo sia sempre e comunque recessivo rispetto al primo;

2) l’opposta soluzione condurrebbe ad un risultato paradossale, e cioè l’abrogazione de facto del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31 nella parte in cui stabilisce che il permesso ivi previsto sia concesso “per un periodo di tempo determinato”. Di un “radicamento” nel territorio italiano, infatti, non si può predicare la temporaneità: esso è tendenzialmente stabile. Pertanto accordare il permesso di soggiorno al genitore di un minore che frequenti la scuola in Italia, ed accordarlo per questo solo fatto, fa sì che mai quella persona potrebbe essere espulsa (almeno fino alla maggiore età del figlio), perchè sempre l’espulsione comporterebbe lo sradicamento del minore dal contesto italiano.

Questo approdo interpretativo è già stato definito “inaccettabile” da Cass. SU 21799/10, ove si afferma: “è inaccettabile la funzione attribuita all’art. 31, comma 3, da una parte della giurisprudenza di merito e da alcuni studiosi (di) impedire detto allontanamento (del minore) per tutta la durata della minore età, o (secondo altre decisioni) per la durata dell’intero percorso scolastico”.

1.4. Per quanto attiene, infine, la circostanza dell’affidamento in prova ai servizi sociali della odierna ricorrente, essa è priva di rilevanza giacchè che la madre fosse detenuta od affidata in prova ai servizi sociali, nulla cambierebbe circa il suo status di irregolarmente soggiornante, e il conseguente obbligo di espulsione da parte dello Stato ospitante. Non esiste infatti alcuna norma, nè alcun principio desumibile da norme, la quale stabilisca che la persona irregolarmente soggiornante possa evitare l’espulsione, sol perchè, essendo stata condannata in sede penale, abbia ottenuto il beneficio dell’applicazione di misure alternative alla detenzione.

2. Le spese.

2.1. Non è luogo a provvedere sulle spese del presente giudizio, attesa la indefensio della parte pubblica.

2.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), a condizione che esso sia dovuto: condizione che non spetta a questa Corte stabilire. La suddetta norma, infatti, impone all’organo giudicante il compito unicamente di rilevare dal punto di vista oggettivo che l’impugnazione ha avuto un esito infruttuoso per chi l’ha proposta. Incidenter tantum, rileva nondimeno questa Corte che ai sensi del D.Lgs. 30 maggio 2012, n. 115, art. 10, comma 2, non è soggetto al contributo unificato il processo “comunque riguardante la prole”, ed in tale categoria di giudizi rientra anche il presente.

P.Q.M.

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Prima civile della Corte di cassazione, il 25 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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