Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33356 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. I, 17/12/2019, (ud. 25/10/2019, dep. 17/12/2019), n.33356

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31760/2018 proposto da:

A.B., elettivamente domiciliato in Roma presso la cancelleria

della Suprema Corte rappresentato e difeso dall’Avv.to Elisabetta

Udassi del foro di Sassari in virtù di procura speciale in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’interno, (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CAGLIARI, depositata il

19/08/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

25/10/2019 da Dott. MELONI MARINA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Cagliari sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione Europea, con decreto in data 19/8/2018, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Roma in ordine alle istanze avanzate da A.B. nato in (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dalla Nigeria aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Roma di essere fuggito dal proprio paese perchè dopo la morte di entrambi i genitori suo zio si era impossessato di tutti i beni della famiglia e così era venuto in Italia per trovare un lavoro dovendo mantenersi.

Avverso la sentenza del Tribunale di Cagliari il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a nove motivi.

Il Ministero dell’Interno non ha spiegato difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 303 del 2004, art. 4 in relazione all’art. 10,24,97 e 111 Cost. e art. 342 c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in quanto il provvedimento della Commissione Territoriale è stato redatto e sottoscritto dal solo Presidente e pertanto affetto da nullità assoluta.

Il motivo è inammissibile in quanto nuovo mai formulato davanti al Giudice di merito, non risultando dal decreto del Tribunale di Cagliari che il ricorrente abbia lamentato in quella sede la nullità del provvedimento di rigetto della Commissione Territoriale.

Infatti la questione non risulta essere stata trattata nel provvedimento impugnato ed il ricorrente ha omesso di indicare, in ossequio al principio di specificità del motivo, in quale atto del giudizio avesse sollevato la questione. A tal riguardo secondo Cass. Sez. 1 13/3/2019 n.19359: “E’ principio consolidato di questa Corte che i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del precedente grado del giudizio, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Ne consegue che, ove nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, allo scopo di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, in ossequio al principio di specificità del motivo, non solo allegare l’avvenuta deduzione della predetta questione innanzi al giudice di merito, ma indicare in quale atto del giudizio lo avesse eventualmente fatto, onde consentire alla Suprema Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della questione (vedi Sez 6-1, n. 15430 del 13/06/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha adempiuto a tale onere di allegazione, non indicando nè il luogo nè il modo di deduzione di tale censura innanzi al Tribunale di Cagliari.

In ogni caso secondo sez. 1 32862/2018 Genovese/Di Marzio” La composizione ed il funzionamento delle Commissioni territoriali sono in dettaglio disciplinati dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 4, commi 3 e 4 rubricato: “Commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale”. L’art. 35 medesimo D.Lgs. stabilisce al comma 1 che: “Avverso la decisione della Commissione territoriale e la decisione della Commissione nazionale sulla revoca o sulla cessazione dello status di rifugiato o di persona cui è accordata la protezione sussidiaria è ammesso ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria ordinaria.

Il ricorso è ammesso anche nel caso in cui l’interessato abbia richiesto il riconoscimento dello status di rifugiato e sia stato ammesso esclusivamente alla protezione sussidiaria”. Orbene, è di tutta evidenza che ipotetiche violazioni delle regole poste dal citato art. 4 in ordine alla composizione ed al funzionamento delle Commissioni territoriali non possiedono, di per sè, alcuna attitudine a produrre ricadute sul riconoscimento del diritto alla protezione richiesta. Questo il principio affermato: “Nella fase giurisdizionale del procedimento per il riconoscimento della protezione internazionale, la quale non è diretta all’impugnazione del provvedimento adottato dalla Commissione territoriale, ma alla verifica della sussistenza del diritto alla protezione richiesta, non dispiegano alcun rilievo, per i fini dell’accoglimento della domanda, eventuali violazioni delle regole dettate dal D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 4, commi 3 e 4, di guisa che l’omessa pronuncia da parte del giudice di merito sulla deduzione di dette violazioni non può essere fatta valere in sede di legittimità quale vizio di attività rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 303 del 2004, art. 4 in relazione all’art. 10,24 e 111 Cost. e art. 342 c.p.c. nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti per la mancata traduzione del provvedimento di rigetto della Commissione ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Il secondo motivo di ricorso è infondato e deve essere respinto, sulla base dei principi elaborati da questa Corte (tra gli altri Sez.6, 22/03/2017, n. 7385, Sez. 6, n. 420 del 13/01/2012; Sez.6, 9/12/2011 n. 26480, etc.). Infatti in tema di protezione internazionale, i vizi del provvedimento amministrativo, emesso dalla Commissione territoriale, non si riflettono sul successivo giudizio contenzioso e non esonerano il giudice adito dall’obbligo di esaminare il merito della domanda, poichè oggetto della controversia non è il provvedimento negativo ma il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata, sulla quale comunque il giudice deve statuire. A tal riguardo Sez. 6, 22/03/2017, n. 7385 ha statuito che “In tema di protezione internazionale, la nullità del provvedimento amministrativo, emesso dalla Commissione territoriale, per omessa traduzione in una lingua conosciuta dall’interessato o in una delle lingue veicolari, non esonera il giudice adito dall’obbligo di esaminare il merito della domanda, poichè oggetto della controversia non è il provvedimento negativo ma il diritto soggettivo alla protezione internazionale invocata, sulla quale comunque il giudice deve statuire, non rilevando in sè la nullità del provvedimento ma solo le eventuali conseguenze di essa sul pieno dispiegarsi del diritto di difesa”. Nella specie inoltre, premesso che lo stesso ricorrente riferisce che era stato tradotto in arabo il dispositivo della decisione e la facoltà di proporre impugnazione al provvedimento della Commissione, la censura (mancata traduzione integrale del provvedimento di rigetto adottato dalla Commissione territoriale in lingua conosciuta), non risulta essere stata proposta al giudice di merito e pertanto in virtù della giurisprudenza sopra richiamata, risulta anche inammissibile.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2 e 3, art. 115 c.p.c. nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e 5 perchè il Tribunale non ha esaminato la vicenda individuale del ricorrente e non ha concesso la protezione richiesta.

Il motivo di ricorso è inammissibile e generico in quanto non precisa quali sono i fatti o le circostanze che il giudice di merito non avrebbe considerato ai fini della sua decisione di diniego della protezione internazionale.

Infatti il giudice di merito non ha affermato che lo straniero non era credibile ma ha solo escluso alla luce dei fatti narrati i presupposti per concedere la protezione internazionale richiesta nelle sue diverse forme.

La censura si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 convertito in L. n. 134 del 2012 (v.Cass., sez. un., n. 8053/2014).

La parte non può, invero, rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 02/08/2016, n. 16056).

Con il quarto motivo di ricorso I ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 2 in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, artt. 5 e 13 nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 perchè il giudice di merito ha omesso di pronunciarsi sulla domanda di diritto di asilo.

Il motivo è generico e quindi inammissibile. Infatti il giudice di merito si è pronunciato su tutte le forme di protezione internazionale previste dal nostro ordinamento ritenendo insussistenti i presupposti mentre il ricorrente non ha precisato quali profili della domanda di asilo sarebbero stati trascurati.

In riferimento al diritto di asilo questa Corte ha affermato che (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 16362 del 04/08/2016): “Il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, ed al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, cosicchè non v’è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3″.

Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 14 e 16 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale ha escluso i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria nonostante le condizioni sociopolitiche del paese di origine.

Con il sesto e settimo e nono motivo di ricorso il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19 ed art. 5, comma 6, lett. C) e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, in quanto il Tribunale nonostante la situazione di vulnerabilità e le violenze subite dal ricorrente, non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria.

Con l’ottavo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione del dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 in ordine all’accertamento della situazione oggettiva relativa al Paese di origine, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

I motivi di ricorso dal quinto al nono, relativi alla diniego di protezione sussidiaria ed umanitaria, contengono in realtà una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione della corte territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto dirette a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento circa l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente.

In ordine alla protezione sussidiaria il giudice di merito ha escluso l’esistenza delle ipotesi di cui all’art. 14, lett. a) e b) C), in particolare in ordine alla lett. C), basandosi su fonti di informazione internazionale puntualmente indicate e siti online maggiormente accreditati, ha appurato che la zona di provenienza dell’odierno istante non è teatro di un “conflitto diffuso” e di una “violenza generalizzata”: tale apprezzamento, che sfugge al sindacato di legittimità, porta ovviamente a disconoscere che nel presente giudizio di cassazione si possa far questione della “minaccia,grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” (art. 14, lett. C)).

In ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria il motivo si rileva inammissibile, a prescindere da ogni questione concernente l’applicazione al caso di specie della normativa recentemente introdotta dal D.L. n. 113 del 2018, convertito con modificazioni dalla L. n. 132 del 2018 in quanto censura l’accertamento di merito compiuto dal Tribunale in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente: il ricorrente invero, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa dalla Corte di merito (in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato.

Quanto poi alla avvenuta integrazione nel paese di accoglienza nonchè dello svolgimento di attività lavorativa da parte del richiedente asilo, tali circostanze non costituiscono da sole un parametro che possa giustificare la concessione della protezione umanitaria. Infatti questa Corte ha più volte chiarito che in materia di protezione umanitaria, “il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nei Paese d’accoglienza. (Cass. sez.1 n. 4455/2018 Pres. Tirelli).

Per quanto sopra si impone il rigetto del ricorso. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva del Ministero.

Infine ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater n. 115, sussistono nella specie i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima della Corte di Cassazione, il 25 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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