Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33351 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. I, 21/12/2018, (ud. 13/09/2018, dep. 21/12/2018), n.33351

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 8705/2017 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Italo Carlo

Falbo, n. 22, presso lo studio dell’avvocato Colucci Angelo, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Franchi Giovanni,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Popolare dell’Alto Adige S.p.a., subentrata alla Banca Popolare

di Marostica S.C.P.A. a r.l., in persona del legale rappresentante

pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’Avvocato Maiolino Giuseppe, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 380/2016 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, del

25/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/09/2018 dal cons. TRICOMI LAURA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Colucci Angelo che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

M.A. ricorre con due mezzi, corredati da due memorie ex art. 378 c.p.c., contro la decisione della Corte di appello di Venezia, in epigrafe indicata; replica con controricorso la Banca Popolare dell’Alto Adige SPA (subentrata alla Banca Popolare di Marostica SCPA a RL).

La vicenda storica concerne un acquisto di titoli argentini del 10/7/1998.

M.A., cointestatario del deposito titoli su cui era stato addebitato l’acquisto, in data 3/5/2006 aveva chiesto la documentazione dell’operazione alla banca; nello scambio di corrispondenza intercorso, la banca aveva risposto che l’acquisto era stato disposto da altro cointestatario, identificato nella persona di M.B., padre di A.. Quest’ultimo, avendo constatato che all’epoca dell’acquisto il padre era deceduto da tempo, aveva agito chiedendo l’accertamento della nullità dell’acquisto effettuato dall’intermediario “per inesistenza dell’ordine” sulla scorta della produzione della scrittura, come dalla banca attribuita al padre. Nel costituirsi in giudizio, la banca aveva attribuito l’ordine alla persona di M.A.; questi lo aveva disconosciuto, mentre la banca, dal canto suo, aveva sostenuto che si trattava di domanda nuova.

il Tribunale di Bassano del Grappa, accogliendo la domanda di nullità dell’ordine di acquisto per difetto di forma scritta, aveva affermato che M.A. non poteva essere ritenuto sottoscrittore dell’ordine, posto che la banca non aveva richiesto la verificazione della scrittura ex art. 216 c.p.c..

Tale decisione è stata integralmente riformata dalla Corte di Appello di Venezia che, escluso che nella fattispecie potesse trovare applicazione l’art. 216 c.p.c. giacchè la scrittura in questione era stata introdotta in giudizio dallo stesso M., ha accertato che l’ordine era stato sottoscritto da quest’ultimo sulla base delle complessive emergenze istruttorie.

La controversia, già fissata dinanzi all’adunanza camerale della Sesta sezione civile, è stata rimessa alla pubblica udienza con ordinanza dell’8/9/2018.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 2702 c.c. e dell’art. 214 c.p.c. e segg.

Secondo il ricorrente assume rilevanza il fatto che la banca gli abbia attribuito l’ordine di investimento solo dopo l’introduzione in giudizio del documento di cui all’ordine, integrando ciò – a suo parere – una nuova produzione del documento per iniziativa della banca, che induceva l’applicazione dell’art. 214 c.p.c..

1.2. Il motivo è infondato.

1.3. Osserva la Corte che il giudice del gravame ha svolto le sue considerazioni puntualizzando che nel caso in esame non era in discussione la circostanza che la sottoscrizione (peraltro illeggibile) non potesse riferirsi a M.B. (deceduto) indicato come apparente sottoscrittore nel modulo, ma la riferibilità dell’ordine ad un soggetto diverso, e cioè M.A., di guisa che non poteva trovare applicazione la disciplina di cui all’art. 214 c.p.c. giacchè il giudizio di verificazione attiene (al contrario) alla riconducibilità o meno della sottoscrizione al suo apparente sottoscrittore e tale circostanza era già esclusa da entrambe le parti con riferimento a B..

Ancora, la Corte di appello ha rimarcato che l’ordine in fotocopia era stato prodotto dallo stesso M.A. il quale, una volta che la banca aveva sostenuto la tesi che la sottoscrizione doveva essere ricondotta a lui stesso, aveva replicato disconoscendo la firma e negando tale circostanza.

Sulla scorta di tali fatti ha concluso che la questione esorbitava dalla disciplina del disconoscimento e della verificazione della scrittura privata e che il tema controverso era se l’autore della sottoscrizione fosse o meno M.A., alla luce delle contrapposte posizioni assunte in causa.

1.4. Tale conclusione risulta immune da vizi.

1.5. La procedura di disconoscimento e di successiva verificazione della sottoscrizione di scrittura privata è esperibile e applicabile solo se riguarda una scrittura sottoscritta da colui che risulta formale sottoscrittore, ma non da un soggetto terzo.

Inoltre va esperita da colui contro cui è prodotta (Cass. n. 24539/2016; cfr. anche Cass. nn. 12471/2001; 974/2008).

Dall’esame della sentenza si evince che la scrittura costituita dall’ordine di acquisto venne prodotta in giudizio da M.A., contestandone la riconducibilità della sottoscrizione al padre: il fatto che M.A. – non apparente sottoscrittore – in un secondo momento, abbia contestato la riferibilità a se stesso della sottoscrizione (posto che la stessa non poteva ascriversi al padre deceduto) non può, pertanto, essere inquadrata nella fattispecie disciplinata dagli artt. 214 c.p.c. e ss. e non inficia, nè modifica la provenienza della produzione del documento, che continua ad essere ascrivibile esclusivamente al M., considerato che la stessa era volta a provare la fondatezza della sua domanda di nullità dell’ordine di acquisto per inesistenza.

Ne discende l’inapplicabilità del procedimento ex art. 214 c.p.c. e ss. perchè, nel caso di specie, il disconoscimento era stato operato da soggetto diverso dal formale sottoscrittore e nei confronti di un documento prodotto da chi che aveva effettuato il disconoscimento, con la conseguenza che la banca non aveva alcun onere di proporre l’istanza di verifica ex art. 216 c.p.c..

Di conseguenza, la prova che il sottoscrittore effettivo, sicuramente diverso da quello apparentemente formale (deceduto), era il soggetto che aveva agito in giudizio per la dichiarazione di nullità ed il rimborso delle operazioni poteva essere fornita secondo gli ordinari mezzi, anche per presunzioni, come avvenuto nel caso di specie da parte della banca. Semmai l’attore ricorrente avrebbe dovuto proporre querela di falso per privare di validità la scrittura.

2.1. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 2725 e 2729 c.c., rilevando che, ai sensi dell’art. 1 del contratto quadro, gli ordini potevano “essere impartiti solo per iscritto o, se non escluso, per telefono”, con conseguente inutilizzabilità di prove presuntive e testimoniali, secondo quanto per contro fatto dalla Corte di Appello, laddove aveva valorizzato: 1) il riconoscimento operato dal legale del M. circa la riferibilità allo stesso dell’investimento; 2) la circostanza che vi era un unico ordine di borsa avente ad oggetto titoli argentini; 3) la percezione da parte del M. delle cedole sui titoli oggetto del contratto disconosciuto; 4) l’esistenza di un ordine di borsa riconducibile ad M.A. e non a M.B..

A parere del ricorrente, tali indizi anche se gravi, precisi e concordanti, non valevano a superare la necessità che il contratto fosse stipulato in forma scritta ad substantiam ex art. 23 TUF, atteso che il contratto risultava sottoscritto (apparentemente) da persona deceduta e pertanto doveva ritenersi inesistente.

2.2. Il motivo è infondato.

2.3. Contrariamente a quanto assume il ricorrente, la Corte di appello ha ritenuto esistente l’ordine scritto, identificato nel documento scritto versato in atti dallo stesso M., e quindi, sulla base degli elementi probatori indiziari acquisiti, ha ritenuto che lo stesso provenisse dal ricorrente. La fattispecie in esame non integra, pertanto, un ordine nullo per difetto di forma scritta e la censura non coglie nel segno.

3. In conclusione il ricorso va rigettato.

Il ricorrente va condannato alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità nella misura liquidata in dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

– Rigetta il ricorso;

– Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.400,00=, oltre ad Euro 200,00= per esborsi, alle spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed agli accessori;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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