Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33347 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. I, 21/12/2018, (ud. 21/06/2018, dep. 21/12/2018), n.33347

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10072/2015 proposto da:

(OMISSIS) S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, Via G. Paisiello n. 15, presso

S.R.S. – Stodufio Ripoli Sarti Studio Legale Associato,

rappresentata e difesa dall’avvocato Cristino Maria Grazia, giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.G. S.r.l. (già S.p.a.), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via

Giuseppe Ferrari n. 4, presso lo studio dell’avvocato Botti

Alessandro, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

contro

Curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 329/2015 della CORTE D’APPELLO di BARI,

pubblicata il 09/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/06/2018 dal cons. VELLA PAOLA;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. VITIELLO MAURO, che ha chiesto che la

Corte di Cassazione, in camera di consiglio, voglia accogliere il

ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Bari ha respinto il reclamo proposto da (OMISSIS) S.r.l. avverso la propria dichiarazione di fallimento ad opera del Tribunale di Foggia, su ricorso della M.G. S.p.a., la cui legittimazione attiva era stata contestata per disconoscimento del credito da essa vantato.

2. Avverso detta sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui M.G. ha resistito con controricorso; l’intimata curatela fallimentare non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si lamenta la “Violazione dell’art. 115 c.p.c. nonchè vizio di motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3; omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, avuto riguardo alla mancata considerazione del fatto che “all’udienza di verifica dello stato passivo, tenutasi il 29 gennaio 2015, il preteso credito vantato dalla società M.G. S.p.a. non era stato ammesso”, nonchè al “preciso onere della Corte di dissipare eventuali residui dubbi richiedendo ulteriore documentazione e/o chiarimenti al Curatore”.

1.1. La censura presenta profili di inammissibilità e infondatezza.

1.2. In primo luogo, la prospettazione cumulativa e confusa di mezzi di impugnazione eterogenei (vizi motivazionali ed errores in iudicando) contrasta con la tassatività dei motivi di ricorso e con l’orientamento di questa Corte per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Cass. nn. 19761, 19040, 13336 e 6690 del 2016; n. 5964 del 2015; nn. 26018 e 22404 del 2014).

1.3. In secondo luogo, l’error in iudicando per violazione dell’art. 115 c.p.c. non è adeguatamente prospettato in concreto, tenuto conto che l’apprezzamento delle risultanze probatorie da parte del giudice di merito può essere sindacato solo sotto due profili: “qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale” (Cass. 28/02/2018, n. 4699; conf. Cass. 11/10/2016, n. 20382).

1.4. Infine, la circostanza della mancata ammissione al passivo del creditore istante, oltre ad essere contrastata a pag. 4 del controricorso, difetta di decisività, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte in tema di iniziativa per la dichiarazione di fallimento, in base al quale: 1) la L. Fall., art. 6, nello stabilire che il fallimento è dichiarato (fra l’altro) “su istanza di uno o più creditori, non presuppone un definitivo accertamento del credito in sede giudiziale, nè l’esecutività del titolo, essendo viceversa a tal fine sufficiente un accertamento incidentale da parte del giudice, all’esclusivo scopo di verificare la legittimazione dell’istante” (Cass. Sez. U, 23/01/2013 n. 1521; conf. Cass. 22/05/2014 n. 11421); 2) “ai sensi della L. Fall., art. 5, lo stato d’insolvenza non presuppone il definitivo accertamento del credito in sede giudiziale nè l’esecutività del titolo” (Cass. 15/01/2015 n. 576); 3) “l’accertamento in sede prefallimentare non si fonda sull’esistenza del credito, ma sulla sussistenza dei presupposti del fallimento, tant’è che se il creditore istante vuole divenire creditore ammesso deve presentare domanda di ammissione al passivo”, essendosi perciò ritenuto in dottrina che la domanda di fallimento integri un’azione “a contenuto meramente processuale, rispetto a cui l’accertamento del credito si pone come incidentale ai fini della legittimazione al ricorso” (Cass. 17/11/2016, n. 23420).

2. Con il secondo mezzo si deduce “Violazione della L. Fall., art. 5 nonchè omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, per avere il giudice a quo desunto l’insolvenza “dall’incapacità di pagare un credito di Equitalia per circa Euro 660.000,00 ammesso al passivo” omettendo di valutare che il credito erariale era stato contestato e comunque “si sarebbe potuto estinguere molto agevolmente con una rateazione straordinaria di centoventi rate mensili”.

2.1. La censura è affetta da plurimi profili di inammissibilità.

2.2. Essa, oltre ad avere impropriamente la struttura cumulativa del mezzo precedente (v. sopra), è formulata in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) secondo il paradigma precedente alle modifiche apportate dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54 (convertito con modifiche dalla L. n. 134 del 2012), che ha reso denunziabile per cassazione solo i vizi motivazionali relativi “all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia)”, con conseguente onere del ricorrente, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, di “indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie” (Cass. Sez. U, 07/04/2014 n. 8053; conf. Cass. 23/02/2017 n. 7472; Cass. 10/08/2017 n. 19887). Pertanto, per le sentenze pubblicate – come quella in esame – dopo 1’11 settembre 2012, non è più denunziabile il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione avendo la nuova disposizione attribuito rilievo “solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti” (Cass. Sez. U, 23/01/2015 n. 1241; conf. ex plurimis, Cass. n. 13928 del 2015 e n. 19761 del 2016).

2.3. Inoltre, la parte del motivo apparentemente formulata come violazione di legge veicola, in realtà, censure di merito sulla valutazione dello stato di insolvenza, che – in quanto volte ad ottenere una rivisitazione (e differente ricostruzione) delle risultanze istruttorie – sono inammissibili in sede di legittimità, spettando al giudice del merito “in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (ex multis, Cass. Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 19547 del 2017, n. 962 del 2015, n. 26860 del 2014). Non integra dunque nè violazione nè falsa applicazione di norme di diritto la denuncia di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa, poichè essa si colloca al di fuori dell’ambito interpretativo ed applicativo della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio motivazionale (Cass. Sez. U, 05/05/2006 n. 10313; conf. Cass. 13/10/2017 n. 24155).

3. Il terzo motivo prospetta la “Violazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè omessa motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, per avere la Corte d’appello omesso di “accertare l’inesistenza del credito vantato” dal creditore istante nonchè “omesso di delibare in ordine al superamento dei requisiti dimensionali di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2”.

3.1. La censura, oltre a risultare affetta dai medesimi profili di inammissibilità evidenziati per i motivi precedenti, è per un verso assorbita dalle argomentazioni già svolte con riguardo al perimetro dell’accertamento giudiziale richiesto dalla L. Fall., art. 6 (punto 1.4) e per altro verso generica, confusa e comunque superata dal rilievo della esistenza di una esposizione debitoria superiore al parametro di cui alla L. Fall., art. 1, comma 2, lett. c).

4. Al rigetto del ricorso segue la condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese processuali in favore della controricorrente.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00 per compensi, oltre a spese forfettarie nella misura del 15 per cento, esborsi liquidati in Euro 200,00 ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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