Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33346 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. I, 21/12/2018, (ud. 21/06/2018, dep. 21/12/2018), n.33346

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIDONE Antonio – Presidente –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9077/2015 proposto da:

T.E., quale titolare dell’impresa individuale BBT di

T.E., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria

Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avvocato Spampatti Lucio, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.F., quale curatore del Fallimento BBT di

T.E.; Pubblico Ministero presso la Procura Generale di Trieste;

Pubblico Ministero presso il Tribunale di Pordenone;

– intimati –

avverso la sentenza n. 86/2015 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 12/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

21/06/2018 dal cons. VELLA PAOLA;

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. VITIELLO MAURO, che ha chiesto che la

Corte di Cassazione, in camera di consiglio, accolga il ricorso.

Fatto

RILEVATO

che:

– con la sentenza impugnata, la Corte di Appello di Trieste ha respinto il reclamo L. Fall., ex art. 18 proposto da T.E., quale titolare della ditta individuale BBT di T.E., dichiarata fallita dal Tribunale di Pordenone su richiesta del Pubblico ministero, per contestare la propria qualità di imprenditore commerciale;

– avverso detta sentenza la T. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi;

– le parti intimate non hanno svolto difese.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– il primo motivo, con cui la ricorrente lamenta l’omesso esame delle circostanze emergenti dagli atti delle indagini preliminari a suo carico, solo parzialmente trascritti a pag. 4-6 del ricorso (verbale di accesso e relazione della Guardia di finanza trasmessi alla Procura della repubblica presso il Tribunale di Pordenone; verbale di interrogatorio della T.), asseritamente attestanti che la BBT di T.E. era “null’altro che una cd. “cartiera” (missing trader) la quale, mediante l’emissione di fatture per operazioni commerciali oggettivamente inesistenti, ha consentito alle società cessionarie un’indebita detrazione dell’IVA ed una abusiva deduzione dei costi ai fini delle imposte dirette”, è infondato, poichè le circostanze così estrapolate difettano del requisito di decisività e si pongono in contrasto con il contrario accertamento in fatto compiuto dai giudici di entrambi i gradi di merito, sulla base delle complessive risultanze istruttorie che hanno indotto la Corte d’appello ad affermare che “la stessa reclamante ha ammesso di aver operato in prima persona, provvedendo a svolgere operazioni bancarie (la ditta aveva conti correnti aperti in ben cinque istituti di credito con saldo attivo nonchè un conto corrente postale) e fatturazioni”;

– infondata è anche la censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 2082 c.c. e L. Fall., art. 1, per essere stata attribuita alla fallita la qualità di imprenditore commerciale solo sulla base della sua “iscrizione nei registri commerciali”, nonostante si trattasse di imprenditore individuale e non di società commerciale (principio pacifico: ex multis, Cass. 14/12/2016 n. 25730; Cass. 16/12/2013 n. 28015; Cass. 06/12/2012 n. 21991), poichè in realtà, come detto, l’accertamento dei giudici di merito si è fondato anche su aspetti diversi ed ulteriori rispetto alla iscrizione “presso la C.C.I.A.A.” ivi compresa l’ammissione della ricorrente (già amministratrice di due società a responsabilità limitata) di aver operato come impresa individuale BBT non solo emettendo fatture fittizie, ma anche svolgendo attività di “”prestanome” per conto di un suo parente” (v. sentenza, pag. 3 e ricorso, pag. 4), perciò spendendo il proprio nome e creando quantomeno l’apparenza dell’esercizio in prima persona di attività commerciale (sul principio della “spendita del nome come criterio ricognitivo chiuso dell’imputazione anche sostanziale della responsabilità” v. Cass. 13/06/2016 n. 12120; esula invece da questa sede la valutazione della fallibilità dell’imprenditore o socio occulto nel cui interesse l’attività è stata svolta, su cui v., ex multis, Cass. 24/02/2016 n. 3621; cfr. Cass. n. 28225 del 2008 e n. 11912 del 1998).

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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