Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33340 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 17/12/2019, (ud. 25/06/2019, dep. 17/12/2019), n.33340

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino L – Consigliere –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

Sul ricorso iscritto al n. 1545 del ruolo generale dell’anno 2015,

proposto Da:

M.C.L. di M.E. e M.N. s.n.c., M.E., in

proprio e nella qualità di socio, e N.M. in proprio e

nella qualità di socio, rappresentati e difesi, giusta procura

speciale a margine del ricorso, dall’avv.to Stefano Coen e

dall’avv.to Davide Druda, elettivamente domiciliati presso lo studio

del primo difensore, in Roma, Piazza di Priscilla n. 4;

– ricorrente –

Contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Veneto, n. 884/08/2014, depositata il 23 maggio 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25 giugno 2019 dal Relatore Cons. Maria Giulia Putaturo Donati

Viscido di Nocera.

Fatto

RILEVATO

che:

– con sentenza n. 884/08/2014, depositata il 23 maggio 2014, la Commissione tributaria regionale del Veneto, accoglieva parzialmente l’appello proposto da M.C.L. di M.E. e M.N. s.n.c., nonchè da M.E. e M.N. nei confronti dell’Agenzia delle entrate, avverso la sentenza n. 67/04/2013 della Commissione tributaria provinciale di Padova che, previa riunione, aveva rigettato i ricorsi proposti separatamente dalla suddetta società e dai singoli soci avverso gli avvisi di accertamento n. (OMISSIS), n. (OMISSIS), n. (OMISSIS), con i quali l’Ufficio aveva loro rispettivamente contestato per l’anno 2006, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d) e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito dalla L. n. 427 del 1993, un maggiore reddito di impresa imponibile ai fini Irap e Iva, e maggiori redditi di partecipazione, ai fini Irpef, addizionali Irpef, oltre interessi e sanzioni;

– la CTR – nel riformare in parte la sentenza di primo grado – in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) l’Ufficio aveva legittimamente utilizzato gli studi di settore, non essendo stata documentata dalla società contribuente “la marginalità economica dell’impresa” ed essendo la perizia asseverata prodotta dagli appellanti – redatta a seguito di un sopralluogo eseguito nel 2013 – priva di valenza probatoria con riguardo all’organizzazione del lavoro, al tipo di produzione ed allo stato di obsolescenza delle attrezzature della società nel 2006, anno di imposta cui si riferiva la verifica fiscale; 2) circa l’assunta erroneità del cluster applicato (il n. 18 relativo al comparto della carpenteria metallica, in luogo dell’assunto n. 7 relativo al comparto dell’arredamento) la società contribuente – che, peraltro, aveva indicato in sede di dichiarazione dei redditi il codice C47, “Altre lavorazioni di carpenteria pesante e leggera in genere” e non i codici (OMISSIS) e (OMISSIS) specificamente riferiti all’arredamento – non aveva fornito “alcuna prova che la produzione fosse limitata alla produzione dei telai in ferro per poltrone”; 3) l’Agenzia, durante il contraddittorio che aveva preceduto la fase contenziosa, aveva rielaborato lo studio di settore, applicando i c.d. “correttivi crisi”, con la modifica di alcuni dati relativi a beni strumentali dismessi, e aveva ridotto il ricavo puntuale da Euro 590.653, risultante dallo studio di settore originario, a Euro 544.752, con conseguente riduzione- in accoglimento parziale dell’appello- del maggiore reddito di impresa contestato da Euro 140.445 a Euro 94.544;

-avverso la sentenza della CTR, M.C.L. di M.E. e M.N. s.n.c., M.E. e M.N. propongono ricorso per cassazione, affidato a un motivo, cui resiste l’Agenzia delle entrate con controricorso;

– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e dell’art. 380 – bis 1 c.p.c., introdotti dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 – bis, convertito, con modificazioni, dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con l’unico motivo, i ricorrenti denunciano, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 – sexies, comma 3, conv. dalla L. n. 47 del 1993, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 54 e 55, degli artt. 2727,2729 e 2697 c.c. per avere la CTR considerato – pur riducendo l’importo del maggiore reddito di impresa contestato per il 2006 da Euro 140.445 a Euro 94.544- legittimo l’accertamento fiscale in base agli studi di settore, ponendo erroneamente in capo ai contribuenti l’onere – ritenuto non assolto – di dimostrare l’inapplicabilità in concreto dello standard (cluster) utilizzato dall’Ufficio – ancorchè gravasse su quest’ultimo di provare, oltre allo scostamento tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dallo studio di settore, anche l’applicabilità in concreto dello standard prescelto – e senza che l’Amministrazione avesse avvalorato l’utilizzo dello studio di settore con altri elementi presuntivi esterni ad esso, atti a conferire alla prova presuntiva, nel suo complesso, i caratteri di gravità, precisione e concordanza;

– il motivo è infondato;

– nella specifica materia, questa Corte ha chiarito che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sè considerati, quali meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività, ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest’ultimo ha l’onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui possono essere applicati gli “standards” o la specifica realtà dell’attività economica nel periodo di tempo in esame, mentre la motivazione dell’atto di accertamento non può esaurirsi nel rilievo dello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L’esito del contraddittorio, tuttavia, non condiziona l’impugnabilità dell’accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l’applicabilità degli “standards” al caso concreto, da dimostrarsi dall’ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che, al riguardo, non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e dispone della più ampia facoltà, incluso il ricorso a presunzioni semplici, anche se non abbia risposto all’invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte (cfr. Cass., sez. un., n. 26635 del 2009, Cass. 12558 del 2010, Cass. n. 12428 del 2012, Cass. n. 23070 del 2012; Cass. n. 17787 del 2016; Cass. 9806 e 17289 del 2017; Cass. n. 18907 del 2018; Cass. n. 379 del 2019);

– è stato, poi, ulteriormente specificato che, a norma del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito nella L. n. 427 del 1993 – “gli accertamenti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), (…) e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, (…) possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi del presente decreto (id est, D.L. n. 331 del 1993), art. 62 bis, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente. (Cass. n. 16430/2011). Questa Corte ha poi precisato che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario, che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello “standard”, nè costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata (Cass., sez. un., n. 26635/2009; Cass. n. 379 del 2019);

-nella specie, la CTR si è attenuta ai suddetti principi, avendo ritenuto legittimo l’accertamento tributario standardizzato emesso, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 1, lett. d) e del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, sulla base degli studi di settore, all’esito di un contraddittorio (sviluppatosi in quattro incontri) che aveva portato l’Amministrazione, considerando fondate alcune delle ragioni fatte valere dalla società e in base ai c.d. “correttivi crisi”, a rielaborare lo studio di settore, senza che, a fronte della dimostrazione da parte dell’Ufficio dell’applicabilità in concreto dello “standard” prescelto, la contribuente avesse assolto all’onere della prova (contraria) circa l’esistenza delle condizioni giustificanti l’esclusione dell’impresa dall’area dei soggetti cui poteva essere applicato quello standard onere ritenuto non assolto dal giudice di appello con un accertamento in fatto non sindacabile in sede di legittimità (“non è stata fornita alcuna prova che la produzione fosse limitata alla produzione di telai in ferro per poltrone”);

– in conclusione, il ricorso va rigettato;

– le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in solido in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.100,00, per compensi oltre spese prenotate a debito;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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