Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3334 del 11/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 11/02/2011, (ud. 04/01/2011, dep. 11/02/2011), n.3334

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ALONZO Michele – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. SAMBITO Maria Giovanna Concetta – rel. Consigliere –

Dott. COSENTINO Giuseppe Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.A., elettivamente domiciliata in ROMA VIA CRESCENZIO

107, presso lo studio dell’avvocato ESPOSITO BRUNO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato VERRECCHIA OSVALDO,

giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 94/2005 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 23/03/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/01/2011 dal Consigliere Dott. MARIA GIOVANNA CONCETTA SAMBITO;

udito per il ricorrente l’Avvocato VERRECCHIA, che ha chiesto

l’accoglimento;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CICCOLO Pasquale Paolo Maria, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Commissione Tributaria Provinciale di Roma, con sentenza del 31.3.2003, dichiarava inammissibile, per mancata prova dell’instaurazione del contraddittorio, l’impugnazione delle cartelle esattoriali di pagamento dell’IRPEF, relative agli anni 1990 e 1991, proposta da L.A. sul presupposto della mancata ricezione di utili di sorta dalla Società fallita “Autobrokers 2000 S.r.l.”, di cui era socia all’80%.

Con sentenza depositata il 23.3.2005, la Commissione Tributaria Regionale di Roma rigettava l’appello proposto dalla contribuente, osservando che la stessa non aveva fatto cenno, nè aveva prodotto, gli avvisi di accertamento che avevano preceduti gli avvisi di mora opposti, e ritenendo l’appello del tutto generico.

Ricorre per cassazione, L.A., affidandolo a quattro motivi. L’Agenzia delle Entrate non ha spiegato difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo, la L. deduce la violazione degli artt. 354, 160 c.p.c. per esser stato violato il principio del doppio grado del giudizio. La ricorrente, premesso di aver depositato, nel giudizio d’appello, l’avviso di ricevimento del ricorso introduttivo, sostiene che la Commissione Regionale, invece di decidere la causa nel merito, avrebbe dovuto rimettere le parti innanzi al primo giudice, che aveva ritenuto inammissibile la domanda.

Il motivo è manifestamente infondato.

A norma del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59, disposizione specifica per il giudizio tributario, qui in rilievo – di tenore in parte analogo a quello contenuto nell’art. 353 c.p.c. (nel testo antecedente la riforma di cui alla L. n. 353 del 1990) e nell’invocato art. 354 c.p.c., i casi in cui la causa va rinviata al giudice di primo grado si riferiscono alla riforma, in appello, della sentenza (di primo grado) che: a) abbia declinato la competenza o negato la giurisdizione; b) abbia riconosciuto che nel giudizio di primo grado il contraddittorio non è stato regolarmente costituito o integrato; c) abbia erroneamente dichiarato l’estinzione del giudizio, in sede di reclamo contro il provvedimento presidenziale;

d) sia stata emessa con illegittima composizione del collegio giudicante; e) non sia stata sottoscritta.

Al di fuori dei predetti, tassativi, casi, il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59, espressamente nega, al comma 2, la possibilità di una rimessione della causa al primo giudice, prescrivendo, appunto, che la Commissione regionale debba decidere nel merito, con disposizione che la giurisprudenza, che si condivide, elaborata con riferimento alle omologhe norme del codice di rito, concorda nel ritenere conforme alle norme della costituzione, ove non vi è affatto garanzia del doppio grado di giurisdizione, la quale, peraltro, non implica affatto che la causa sia decisa, nel merito, da due giudici di grado diverso, ma semplicemente che la lite sia sottoposta all’esame successivo degli stessi (Cass. n. 8993/2003n. 18691/2007).

Poichè la CTR ha riformato la decisione di primo grado per vizi non ricollegabili alle cause previste dal citato del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 59, avendo, con l’esame del merito, implicitamente ritenuto regolarmente instaurato il contraddittorio in prime cure – caso opposto rispetto a quello previsto dalla lettera b) sopra riportata, il motivo di censura va disatteso.

Col secondo motivo, la ricorrente sul presupposto che la CTR aveva ritenuto “strana” l’impugnazione degli avvisi di mora, in assenza di riferimenti agli avvisi di accertamento che li avevano preceduti e che non erano in atti, deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., evidenziando che era onere dell’Amministrazione di produrre gli avvisi di accertamento, i quali, per la mancata costituzione dell’Agenzia delle Entrate, avrebbero dovuto esser acquisiti dalla Commissione, L. n. 241 del 1990, ex art. 18, comma 2.

Il motivo è inammissibile.

Essendo stati impugnati gli avvisi di mora e non venendo, dunque, in rilievo gli atti di accertamento, che ne costituiscono il presupposto, la mancata acquisizione, “ex officio”, di questi ultimi e l’onere della relativa produzione sono privi di attinenza specifica al “decisum”, situazione che è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità della censura (Cass. n. 9995/1998; n. 21490/2005). Invero, l’anomalia che i giudici d’appello imputano al silenzio serbato dalla L. in ordine agli avvisi di accertamento, ai quali, “stranamente la ricorrente … non fa cenno” non costituisce argomento di un’autonoma “ratio decidendi”, in quanto l’allusione che si coglie, merce tale forma retorica, al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, comma 3, secondo cui gli atti autonomamente impugnabili possono esser censurati solo per vizi propri (salva l’ipotesi di mancata notificazione degli atti pregressi, qui non dedotta), non si è, poi, tradotta in alcuna statuizione.

Col terzo motivo la ricorrente deduce il vizio di omessa motivazione, ex art 360 c.p.c., n. 5, osservando che la CTR non ha preso in considerazione, pur avendola menzionata in narrativa, la prodotta sentenza del Tribunale di Civitavecchia, che aveva assolto A. G., Amministratore di fatto della Società Autobrokers 2000, per non esser stato provato che le somme transitate nei conti della società “fossero i corrispettivi di corrispondenti operazioni commerciali”.

La ricorrente afferma che, se fosse stata tenuta presente, tale risultanza istruttoria avrebbe portato ad una decisione diversa.

Col quarto motivo, che va congiuntamente esaminato col terzo, perchè anch’esso formalmente indirizzato a censurare la motivazione della sentenza impugnata, la ricorrente ne afferma la contraddittorietà per aver la CTR, da una parte, ritenuto i motivi d’appello totalmente generici, e, dall’altra, dato conto, in narrativa, della riproposizione dei motivi esposti nel ricorso introduttivo del giudizio, coi quali, come risultava dall’esame dello stesso atto d’appello, era stata negata la percezione di alcun utile proveniente dalla fallita Società ed era stato riportato l’esito del giudizio penale a carico dell’ A..

Il terzo motivo è inammissibile, per difetto di autosufficienza, ed il quarto infondato.

Ed, infatti, quando viene denunciato il difetto di motivazione circa la valutazione di una risultanza istruttoria, nella specie di un documento, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente il contenuto che si assume trascurato dal giudice di merito, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività del punto da provare, controllo che, per il principio dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, la Suprema Corte deve esser in grado di compiere sulla base delle deduzioni contenute nell’atto, alle cui lacune non è consentito sopperire con indagini integrative (cfr., da ultimo, Cass. ord. n. 17915/2010).

Nella specie, non solo la ricorrente non illustra il contenuto di tale sentenza, nè chiarisce il titolo di reato addebitato all’Amministratore della Società, ma non ne specifica neppure l’asserto carattere decisivo, non esplicitando in che modo la valutazione di tale sentenza che, a dire della ricorrente, non avrebbe ritenuto provata la natura di corrispettivi di operazioni commerciali delle somme transitate nei conti della società, potrebbe condurre ad una diversa decisione, tenuto conto che, come si è sopra chiarito, l’impugnazione riguarda gli avvisi di mora e non gli atti presupposti, tramite i quali si è, compiutamente, formata la pretesa del l’Amministrazione finanziaria.

Quanto alla censura di contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, questa Corte ha ripetutamente affermato che tale vizio si configura solo quando sussista un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’individuazione della “ratio decidendi”, dovendo, invece, escludersene la sussistenza, quando, ad onta di una formale ed esteriore contraddittorietà, questa non incida sulla sostanza del decidere e non impedisca di individuare l’iter logico seguito dal giudice. (Cass. n. 18119/2008, 5489/2007; 20455/2006; 20322/2005;

2537/2004). Nella specie, la denunciata inconciliabilità tra le argomentazioni non è, affatto, ravvisabile, tenuto conto che i giudici del merito sono pervenuti ad una statuizione di rigetto dell’appello (e non d’inammissibilità), così mostrando di ritenere l’affermata genericità e l’assenza di specifici motivi “di doglianza per una obiettiva valutazione dei termini della vertenza” riferite al merito dell’intera posizione difensiva della contribuente.

Il ricorso va conclusivamente respinto. Nulla sulle spese, data l’assenza di difese da parte dell’Agenzia delle Entrate.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, il 4 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2011

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