Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33334 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. VI, 21/12/2018, (ud. 11/10/2018, dep. 21/12/2018), n.33334

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25409-2017 proposto da:

CASORIA AMBIENTE SPA, in persona dell’amministratore unico,

elettivamente domiciliata in ROMA PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIOVANNI NACCA;

– ricorrente –

contro

COMUNE CASAVATORE, in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA NICOLO’ PORPORA 12, presso lo

studio TITOMANLIO – TRAISCI, rappresentato e difeso dall’avvocato

EZIO MARIA ZUPPARDI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1334/2017 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 23/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’11/10/2018 dal Consigliere Relatore Dott. DANILO

SESTINI.

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte di Appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado che, provvedendo su due procedimenti riuniti di opposizione a d.i. proposti dal Comune di Casavatore nei confronti di Casoria Ambiente s.p.a. (che aveva chiesto il pagamento di maggiori oneri sostenuti nell’esecuzione del servizio di raccolta di rifiuti ad essa affidato dal Comune), aveva dichiarato non spettanti gli importi di cui al primo decreto (531/10) e dovuti per il minor importo di Euro 5.390,00 (oltre accessori) quelli di cui al secondo decreto (510/10);

rigettata l’eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal Comune, la Corte ha ritenuto – quanto al d.i. n. 531/10, relativo al mancato pagamento di straordinari per manodopera – che al rapporto intercorso fra le parti non potesse applicarsi l’art. 1664 c.c., bensì la relativa convenzione, l’art. 22, che prevedeva la necessità di una preventiva autorizzazione del Comune (nella specie non intervenuta) ai fini del riconoscimento di maggiori oneri, e onde “consentire al Comune un controllo sull’attività svolta dall’affidatario del servizio e sulla fondatezza delle relative richieste economiche”; quanto al d.i. n. 510/10, ha osservato che le penali applicate dal Comune erano state analiticamente contestate solo nell’atto di appello, in violazione dell’art. 345 c.p.c., conseguendone pertanto l’inammissibilità della censura;

ha proposto ricorso per cassazione la Casoria Ambiente s.p.a., affidandosi a quattro motivi; ha resistito, con controricorso, il Comune di Casavatore;

la ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo, che deduce la “violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1363 c.c.”, censura la Corte per non avere svolto “nessuna indagine per individuare la comune intenzione delle parti” e per non aver “tenuto conto del loro comportamento nella fase di esecuzione del contratto (anni dal 1999 al 2009)”; la ricorrente evidenzia che lo scarico quotidiano dei mezzi costituiva parte integrante ed essenziale dell’ordinario servizio di raccolta e pertanto non richiedeva alcuna preventiva autorizzazione, ma, avendo comportato molte ore di attesa davanti agli impianti di smaltimento, richiedeva costi maggiori che lo stesso Comune di Casavatore aveva spesso pagato spontaneamente.

il motivo è inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto non trascrive (se non per la clausola n 7) il contratto della cui interpretazione si tratta, omettendo di riportare compiutamente altre clausole (segnatamente la n. 3 e la n. 22, di cui viene solo riassunto il contenuto nella esposizione dei fatti causa) sulla base delle quali viene argomentata la censura; ne consegue che la violazione dei criteri ermeneutici è svolta in modo generico, senza individuare specificamente l’errore interpretativo che sarebbe stato compiuto dalla Corte in riferimento al contenuto degli artt. 3 e 22 del contratto e, altresì, senza indicare i comportamenti tenuti nella fase di esecuzione del contratto, rispetto ai quali la ricorrente si limita ad effettuare una serie di affermazioni fattuali omettendo di spiegare come e perchè esse sarebbero giustificate, come risulterebbero introdotte nel giudizio e in quali termini evidenzierebbero la violazione dei criteri ermeneutici;

il secondo motivo denuncia – sotto il profilo dell’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione- la mancata considerazione che, oltre alle prove testimoniali e a un interrogatorio formale, la società opposta “aveva affidato la prova sulla esatta consistenza delle prestazioni chieste in pagamento alle ricevute di accettazione rilasciate dalla FISIA ITALIMPIANTI”;

il motivo è inammissibile ex art. 366 c.p.c., n. 6, in relazione alle prove documentali, di cui non riporta il contenuto nè indica la sede di reperimento nell’ambito degli atti processuali (con l’eccezione della copia di una fattura e della copia di una ricevuta prodotte contestualmente al ricorso); quanto poi ai capitoli dell’interrogatorio formale e delle prove per testi (trascritti in ricorso), il motivo è inammissibile, in quanto volto a superare la valutazione di genericità compiuta dalla Corte e a conseguire un diverso apprezzamento di merito non consentito in sede di legittimità;

il terzo motivo (che deduce “violazione e falsa applicazione dell’art. 1664 c.c. in tema di onerosità o difficoltà dell’esecuzione del contratto”) difetta di specificità e si limita a prospettare una equiparabilità alla previsione dell’art. 1664 c.c., comma 2, della disposizione n. 3 del contratto di appalto, svolgendo pertanto una censura che è basata, oltre che sul contenuto di tale clausola (di cui non trascrive il contenuto), sul richiamo ad elementi di fatto che restano estranei alla cognizione del giudice di legittimità;

col quarto motivo (che denuncia “violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c.”), la ricorrente censura la Corte per non avere considerato che incombeva al Comune la prova di avere rispettato le previsioni dell’art. 11 della convenzione in punto di applicazione delle penali contrattuali;

il motivo è inammissibile, in quanto non coglie e non contesta adeguatamente la ratio decidendi individuata dalla Corte, che fa perno sul rilievo che la contestazione analitica delle penali contrattuali era stata effettuata per la prima volta con l’atto di appello (essendo risultata generica quella formulata con le memorie ex art. 183 c.p.c.), conseguendone pertanto l’inammissibilità della relativa censura; il tutto a prescindere dal rilievo che l’art. 11 non è stato riprodotto e che il motivo fa riferimento ad una serie di risultanze fattuali inerenti alle difese svolte dalle parti nel giudizio di merito senza tuttavia fornirne indicazione specifica;

le spese di lite seguono la soccombenza;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 11 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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