Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3333 del 12/02/2010

Cassazione civile sez. I, 12/02/2010, (ud. 12/11/2009, dep. 12/02/2010), n.3333

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Fallimento New Lease s.r.l. in persona del curatore, elettivamente

domiciliato in Roma, Lungotevere dei Mellini 35/39, presso l’avv.

Giuseppe Miani, rappresentato e difeso dall’avv. MAIENZA Mario giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

Banca intesa s.p.a. in persona del legale rappresentante,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Bissolati 76, presso l’avv.

GARGANI Benedetto, che con gli avv. Enrico Brugnatelli e Laura

Cattaneo la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 1992/04 del

6.7.2004.

Udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

12.11.2009 dal Relatore Cons. Dott. Carlo Piccininni;

Udito l’avv. Roberto Catalano su delega per la resistente;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LECCISI Giampaolo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 26.3.1997 il fallimento New Lease s.p.a.

conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Milano la Banca Commerciale Italiana s.p.a., per sentir dichiarare l’inefficacia L. Fall., ex art. 67, comma 2, di pagamenti effettuati a vario titolo per L. 2.082.935.325, di cui chiedeva la restituzione.

La Banca, costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda ed il tribunale decideva in conformità, con sentenza che veniva impugnata dal fallimento.

La Corte di Appello confermava la sentenza di primo grado osservando che, per le circostanze nel frattempo maturate, il thema decidendum si era ridotto alla revocabilità dei pagamenti eseguiti mediante la realizzazione coattiva dei pegni dati dai soci e da tale M. A., per L. 732.645.429, e dall’amministratore G.G., per L. 945.289.896; che la prospettazione dell’appellante, secondo la quale la declaratoria di inefficacia era stata sollecitata non già per la presunzione di appartenenza alla società del denaro versato dal G., ma per l’eventuale eccezione di compensazione che quest’ultimo avrebbe potuto sollevare in relazione al credito maturando per le operazioni illecite oggetto di esame in un procedimento penale a suo carico, non era condivisibile, poichè la compensazione non era stata eccepita e non risultava, inoltre, che la stessa “fosse opponibile”; che in particolare, essendosi conclusa la vicenda processuale penale con un patteggiamento, appariva “ipotetico” sia il credito della New Lease nei confronti del G., sia il preteso depauperamento della società; che non erano infine emersi elementi dai quali poter desumere l’appartenenza dei fondi utilizzati dal G. alla società, e in ogni modo il versamento del terzo su conto di quest’ultima non avrebbe potuto essere oggetto di revoca, atteso che il garante con il versamento si sarebbe “limitato a scegliere una modalità di adempiere la sua obbligazione di garanzia”.

Avverso la decisione il fallimento New Lease proponeva ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui resisteva con controricorso Banca Intesa s.p.a..

Entrambe le parti depositavano infine memoria.

Successivamente la controversia veniva decisa all’esito dell’udienza pubblica del 12.11.2009.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i motivi di impugnazione il fallimento ha rispettivamente denunciato:

1) violazione dell’art. 445 c.p.p., art. 115 c.p.c., art. 2729 c.c. e vizio di motivazione, per l’omessa considerazione dell’eventuale credito del fallimento nei confronti di G. per “mala gestio” (che avrebbe potuto essere oggetto di compensazione con il controcredito da lui vantato per il pagamento effettuato in favore della banca) e l’irrilevanza attribuita sotto tale aspetto all’intervenuto patteggiamento, e ciò nonostante la mancata applicazione dell’art. 129 c.p.p., (che impone il proscioglimento dell’imputato quando sia evidente l’insussistenza del reato), il numero degli addebiti contestati con il provvedimento di rinvio a giudizio, l’ingente ammontare dei danni corrispondenti.

2) violazione della L. Fall., art. 67, art. 1852 c.c., e vizio di motivazione, con riferimento all’affermata adesione all’orientamento di questa Corte, secondo il quale il versamento di un terzo su conto corrente della società fallita costituirebbe un’apposizione puramente formale, mentre le somme depositate entrerebbero nella disponibilità del creditore per effetto del suo rapporto con il garante.

La detta adesione sarebbe tuttavia immotivata, non darebbe conto del difforme orientamento pur manifestatosi, ignorerebbe gli specifici connotati fattuali che caratterizzano la fattispecie in esame, e segnatamente individuabili nelle ragioni di opportunità e di economia di giudizio che avrebbero sconsigliato l’azione civile di responsabilità nei confronti dell’amministratore (il G. sarebbe irreperibile e non sarebbe proprietario di beni aggredibili).

Per di più una diversa interpretazione della normativa determinerebbe un indebito vantaggio per uno dei creditori (la Banca), che finirebbe per beneficiare di una non prevista esenzione dall’azione revocatoria, e ciò in danno degli altri creditori concorsuali.

Le censure sono infondate.

Quanto al primo motivo si osserva innanzitutto che la compensazione non è stata correttamente evocata poichè questa si verifica nel caso di debiti ugualmente liquidi ed esigibili (art. 1243 c.c.), ipotesi incontestabilmente insussistente nella specie (“il credito della New Lease nei suoi confronti sia meramente ipotetico”, P. 6 della sentenza impugnata).

In ogni caso la questione prospettata dal fallimento ricorrente risulta mal posta, poichè non è in contestazione il fatto che la sentenza di condanna a seguito di patteggiamento non determina di per se alcun effetto di giudicato nel successivo giudizio civile instaurato ai fini risarcitori. Al contrario la Corte territoriale ha semplicemente rilevato che la conclusione del processo con una sentenza di patteggiamento non ha consentito l’emersione di elementi di responsabilità a carico dell’imputato, conclusione astrattamente corretta e che d’altra parte non è stata adeguatamente contrastata dal ricorrente, che per l’appunto non ha indicato alcun dato idoneo a sostenere l’erroneità della decisione, non essendo rilevanti in tal senso nè il numero degli addebiti indicati nel capo di imputazione, nè l’entità del pregiudizio ad essi astrattamente riconducibile.

In ordine al secondo è poi sufficiente richiamare il principio, reiteratamente affermato da questa Corte, secondo il quale non sono revocabili le rimesse effettuate dal terzo sul conto corrente dell’imprenditore poi dichiarato fallito, quando risulti che attraverso tali atti il terzo non ha posto la somma nella disponibilità giuridica e materiale del debitore ma, senza utilizzare una provvista di questi e senza rivalersi nei suoi confronti prima del fallimento, ha adempiuto ad un’obbligazione in relazione ad un autonomo rapporto con la banca creditrice (realizzazione coattiva di pegno) per evitare conseguenze a sè sfavorevoli, e dunque nel proprio interesse (C. 08/13092, C. 07/9143, C. 05/16874, C. 03/142, C. 99/570).

In tal caso, infatti, il pagamento non solo non incide in alcun modo sulla disponibilità del fallito, ma al contrario avvantaggia la massa, che si trova a beneficiare di un debito estinto.

Conclusivamente il ricorso deve essere dunque rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento di due terzi delle spese del giudizio di legittimità, che sembra equo compensare nella misura di un terzo, tenuto conto che la sentenza delle sezioni unite di questa Corte, che ha consolidato l’indirizzo giurisprudenziale nel senso indicato (C. 05/16874), è successiva alla proposizione del ricorso.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento di due terzi delle spese processuali del giudizio di legittimità, che liquida per l’intero in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese generali e agli accessori di legge.

Compensa un terzo delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2010

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