Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33328 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. un., 21/12/2018, (ud. 04/12/2018, dep. 21/12/2018), n.33328

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di sez. –

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente di sez. –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22436-2018 proposto da:

PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

elettivamente domiciliato in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

PROCURA GENERALE DELLA CORTE DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GIOVANNI

NICOTERA 29, presso lo studio dell’avvocato GUIDO CALVI, che lo

rappresenta e difende;

– resistente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 89/2018 del CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA, depositata il 25/06/2018;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/12/2018 dal Presidente ETTORE CIRILLO;

udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale MATERA

MARCELLO, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato Guido Calvi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 89 del 2018 la sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura ha assolto il dottor S.A., all’epoca pubblico ministero in Trani, dalle incolpazioni ascrittegli e, per quanto qui ancora interessa, anche da quella di cui al capo B) della rubrica:

“dell’illecito disciplinare di cui al D.Lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, art. 1 e art. 2, comma 1, lett. a) ed ff) perchè, nella qualità di cui sopra e mancando ai doveri ivi specificati, adottava un provvedimento non consentito dalla legge. Egli infatti, nel procedimento n. 681/11/-21 promosso nei confronti di P.F. e Z.F. per i delitti di cui agli artt. 476,479 e 477 c.p.in pregiudizio di D.D., a fronte dell’imputazione di falsità delle relate di notifica dei relativi avvisi di accertamento, adottava un provvedimento di sequestro probatorio di cartelle esattoriali e ruoli del valore di circa trenta milioni di Euro presso l’Agenzia delle entrate di Barletta, di cui così inibiva l’attività di riscossione, con corrispondente indebito vantaggio del D.. Fatti accertati in data 6/10/2016 con nota del Procuratore Generale della Corte di Appello di Bari”.

Il giudice disciplinare ha ritenuto che il provvedimento del dott. S. oggetto della incolpazione di cui al capo B) non fosse configurabile come non consentito dalla legge, non avendo finalità e idoneità tali da poter inibire la riscossione erariale.

2. Era accaduto che nel procedimento per falsità delle relate di notifica di avvisi di accertamento in pregiudizio di tale D.D. fossero stati operati tredici sequestri. Solo i primi due riguardavano le relate di notifica, mentre gli altri undici avevano ad oggetto ruoli e cartelle esattoriali. Il Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d’appello di Bari, nella nota richiamata nel capo B), aveva ipotizzato che l’iniziativa cautelare, formalmente volta ad acquisire documenti a fini probatori, fosse diretta, in realtà, a paralizzare la procedura esecutiva tributaria, strumentalizzando il più agile istituto del sequestro probatorio per non sottoporre la richiesta cautelare al vaglio del giudice tipico del sequestro preventivo. Infatti, non appena investito e avvedutosi dell’anomala situazione, altro Pubblico Ministero si era dovuto affrettare a chiedere e ottenere il dissequestro di cartelle e ruoli, con restituzione “all’ente avente diritto di tutta la documentazione che è stata sottoposta a sequestro probatorio ad eccezione degli atti falsi, quindi delle relate di notifica”, laddove il giudice penale aveva rimarcato che “effettivamente l’esigenza probatoria si giustifica esclusivamente per le retate di notifica”.

3. Sennonchè, per il giudice disciplinare rivestirebbe peculiare rilevanza assolutoria la circostanza che, dopo alcuni mesi dall’iniziativa cautelare, il dott. S. avesse ipotizzato pure il delitto di usura in riferimento alla pretesa tributaria di Equitalia, fattispecie accusatoria asseritamente emersa proprio nel corso del procedimento che aveva dato luogo al sequestro di cui si tratta. Il che, per il giudice disciplinare, renderebbe plausibile la finalizzazione del sequestro medesimo a fini probatori e l’assenza di qualsiasi scopo di paralizzare la procedura esecutiva tributaria. Il sequestro probatorio, secondo l’assunto consiliare, non incideva sul credito erariale e sulla sua esigibilità, potendo il fisco esercitare la sua pretesa attraverso una nuova azione, laddove, nella specie, pendeva una causa tributaria nella quale la CTP aveva dichiarato la falsità delle notifiche, la CTR aveva riformato la decisione pur mantenendosi ferma detta falsità e il successivo ricorso per cassazione era ancora pendente. Sicchè nella pendenza in sede civile del giudizio incidentale di querela di falso proposto da uno degli interessati l’azione fiscale era stata, di fatto, congelata in attesa della definizione dei procedimenti in sede tributaria e civile.

4. Per la cassazione di tale decisione ricorre la Procura Generale in sede, adducendo due motivi, ai quali l’incolpato replica con memoria.

4.1 Con il primo motivo di ricorso, denunciando vizio motivazionale, la Procura Generale censura la sentenza assolutoria sul piano logico e circostanziale, laddove non spiega quale fosse il nesso pertinenziale tra ruoli e cartelle sequestrati “in originale” e l’ipotesi accusatoria di falsità delle relazioni di notificazione di presupposti atti impositivi e trascura di valutare sia la carenza di motivazione dei decreti di sequestro circa il collegamento tra i documenti sequestrati e l’ipotetica falsità di altri documenti, sia di considerare il necessario rispetto di quei doverosi criteri di strumentalità, proporzionalità, adeguatezza e gradualità che sono tipici di ogni intervento cautelare penale. Aggiunge la ricorrente Procura Generale che il preteso nesso funzionale, posto dal giudice disciplinare, rispetto a successiva e ulteriore ipotesi accusatoria è rimasto a livello di mera enunciazione, priva di qualsivoglia riscontro fattuale e argomentativo. Il tutto, altre a essere connotato da evidente nullità dei decreti medesimi per palese violazione di norme di diritto processuali, è secondo la impugnante indubbio indice rivelatore dell’intento di ostacolare l’azione del fisco, attraverso indebita invasione nell’azione di finanza, sostanzialmente inibita e di fatto subordinata alla procedura di rilascio di copie degli atti sequestrati, soggetta ad autorizzazione da parte del medesimo pubblico ministero procedente.

4.2 Col secondo motivo di ricorso, denunciando violazione di norme di diritto disciplinari, la Procura Generale lamenta che nel caso del dott. S. il suo operare, favorevole al D. e pregiudizievole per Equitalia, si fosse ammantato di evidente abnormità per macroscopica violazione dell’art. 253 c.p.p. e, comunque, per grave e inescusabile negligenza nell’aver posto in essere una gravosissima iniziativa cautelare reale, senza motivo ed evidentemente eccedentaria rispetto allo stretto perimetro dell’ipotesi accusatoria per la quale si procedeva. Rileva, inoltre, che la fattispecie disciplinare di cui alla lett. ff) non richiede neppure un danno concreto per i terzi, nè un pericolo di danno, ricandendosi in tale caso nell’ulteriore fattispecie disciplinare di cui alla lett. a), non ascritta all’incolpato.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è fondato riguardo a entrambe le censure che possono essere trattate unitariamente. Va premesso che costituisce jus receptum il principio di diritto secondo cui, in tema di sequestro probatorio di cose pertinenti al reato, la motivazione del provvedimento deve necessariamente dar conto del fumus commissi delicti e della necessità della res in sequestro ai fini dell’accertamento del fatto illecito (per una fattispecie in tema di cambiali relative al reato di falso in atto pubblico vedasi Cass. Pen., Sez. 5, n. 54018 del 03/11/2017 – dep. 30/11/2017, Pesci, Rv. 27164301). Consequenzialmente, è sempre necessario, per l’apposizione del vincolo, che si dimostri in concreto la destinazione a fini di prova della res appresa (Cass. Pen., Sez. 5, n. 1933 del 21/04/1997 – dep. 22/05/1997, Cassa Risp. Bologna S.p.a. in proc. Pasquali, Rv. 20784101). Ne deriva che, in tal caso, occorre indicare, in sede di motivazione, sia la specifica finalità probatoria che giustifica il provvedimento (Cass. Pen., Sez. 5, n. 30328 del 22/06/2004 – dep. 12/07/2004, Sala, Rv. 22912701; Sez. 3, n. 25871 del 08/05/2003 – dep. 16/06/2003, PM in proc. Zorzi, Rv. 22565101), sia il nesso di pertinenzialità tra la res appresa ed il reato siccome ipotizzato (Cass. Pen., Sez. 2, n. 33943 del 15/03/2017 – dep. 12/07/2017, Carone, Rv. 27052001).

2. Nel sistema della riscossione coattiva a mezzo ruolo, disciplinato dal D.P.R. n. 602 del 1973, costituisce jus receptum il principio di diritto secondo cui la cartella di pagamento, ai sensi dell’art. 49, è equiparata all’atto di precetto rispetto al titolo esecutivo costituito dal ruolo (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 6526 del 16/03/2018, Rv. 647490 – 01; Sez. L, Sentenza n. 299 del 10/01/2017, Rv. 642821 – 01; Sez. 6-5, Ordinanza n. 15966 del 29/07/2016, Rv. 640644 – 01; Sez. 2, Ordinanza n. 8704 del 15/04/2011, Rv. 617740 – 01; Sez. 5, Ordinanza n. 6721 del 04/05/2012, Rv. 622367 – 01) e, a mente degli artt. 25 e 50, assolve uno actu le funzioni svolte, ex art. 479 c.p.c., dalla notificazione del titolo esecutivo e del precetto nella espropriazione forzata codicistica (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 3021 del 08/02/2018, Rv. 647938 – 01).

3. Più in dettaglio, il ruolo è un atto amministrativo impositivo proprio ed esclusivo dell’ente creditore impositore (e non di Equitalia), quindi atto che, siccome espressamente previsto e regolamentato da norme legislative primarie, è tipico sia quanto alla forma che quanto al contenuto sostanziale, laddove nelle norme del D.P.R. n. 602 del 1973 si precisa che esso deve indicare le “somme dovute” in “riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento” o, “in mancanza” di questo, la “motivazione” del debito. Inoltre, quale titolo esecutivo, il ruolo sottoscritto dal capo dell’ufficio o da un suo delegato è consegnato “al concessionario dell’ambito territoriale cui esso si riferisce”. Esso, pertanto, non solo è atto proprio ed esclusivo dell’ente impositore, mai del concessionario della riscossione (nella specie Equitalia), ma, nella progressione dell’iter amministrativo di imposizione e riscossione, precede ogni attività del concessionario, della quale costituisce presupposto indefettibile. Il concessionario della riscossione, a sua volta, in forza del ruolo ricevuto, redige “in conformità al modello approvato” la cartella di pagamento, che contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata D.P.R. n. 602 del 1973, (artt. 10, lett. b); 12; 24; 25; vedasi per una disamina riassuntiva Cass. Sez. U., Sentenza n. 19704 del 02/10/2015, in motivazione).

4. Ne deriva che, in tesi generale, non v’è pertinenza probatoria tra ruolo, consequenziale cartella e asserita falsità di relate di notifica di prodromici avvisi di accertamento. Nè dalla sentenza disciplinare emerge alcunchè in tal senso. Anzi, la decisione pare enfatizzare un preteso collegamento logico e giuridico tra il sequestro “in originale” di ruoli e cartelle, ovverosia di titoli esecutivi e precetti, e un’asserita successiva ipotesi accusatoria di usura, la cui rilevanza non è in alcun modo spiegata, nè riguardo al nesso genetico di pertinenzialità tra la res appresa ed il reato siccome ipotizzato, nè riguardo alla stessa fattispecie di cui all’art. 644 c.p., che richiede un sostrato contrattuale e corrispettivo tra solvens ed accipiens, non percepibile, in assenza di qualsivoglia motivazione sul punto, nel sistema della riscossione coattiva a mezzo ruolo, tramite concessionario o agente della riscossione medesima.

5. Si tratta di un quadro normativo assolutamente certo e indiscusso, che induce a una ulteriore riflessione, cioè quella che, nel diritto vivente, sia assolutamente pacifico che persino il sequestro preventivo di documenti di un procedimento amministrativo non possa mirare a sospendere (od ostacolare) il procedimento stesso, risolvendosi altrimenti in una indebita invasione della sfera di attività della pubblica amministrazione (Cass. Pen., Sez. 6, n. 4016 del 14/12/1998 – dep. 02/02/1999, Bottani W., Rv. 21235001), poichè la misura reale può avere ad oggetto al massimo il risultato di un’attività e giammai per obiettivo (mediato) l’attività in sè (vedasi, sul sequestro di documenti in originale, Cass. Pen., Sez. 6, n. 15015 del 26/03/2014 – dep. 01/04/2014, PM in proc. Pagliaroli, Rv. 26183301 e, sul sequestro di fascicolo processuale, Sez. 2, n. 10437 del 09/03/2006 – dep. 24/03/2006, P.M. in proc. Sindona, Rv. 23381301).

6. Non v’è dubbio che il sequestro penale non determina di per se stesso l’illegittimità della pretesa del fisco, che può chiedere all’autorità giudiziaria procedente il rilascio delle copie ai sensi degli artt. 258 e 116 c.p.p. (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 12059 del 13/06/2016, Rv. 640053 – 01) ed è, altresì, legittimato all’esercizio dell’azione esecutiva anche in base alle copie autentiche dei titoli (vedasi in materia cambiaria Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5250 del 04/03/2010, Rv. 611908 – 01). Il che, però, non esclude, anzi conferma, che il sequestro penale costituisca un grave impedimento di ordine giuridico al libero esercizio del diritto: impedimento talmente grave da incidere, ad esempio, persino sull’inizio del decorso della prescrizione fino al dissequestro, senza che per la configurabilità di tale impedimento possa rilevare la circostanza che non sia stato proposto gravame avverso provvedimento cautelare e considerato che l’art. 258 c.p.p.sottopone ad autorizzazione il rilascio di copia autentica dei documenti in sequestro a coloro che li detenevano legittimamente (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 4737 del 29/05/1997, Rv. 504747 – 01).

7. Peraltro, non si può non rammentare che il danno ingiusto è elemento costitutivo di altra fattispecie disciplinare (lett. a)), diversa da quella contestata (lett. ff)). Nè consta che il giudice di prossimità abbia valutato l’imponenza del credito erariale (30 milioni di Euro) del quale era ostacolata la riscossione e l’invasività degli undici sequestri compiuti “in originale” senza neppure conformarsi al criterio di proporzionalità tra il contenuto del provvedimento ablativo e le esigenze di accertamento dei fatti oggetto delle indagini (Cass. Pen., Sez. 6, n. 9989 del 19/01/2018 – dep. 05/03/2018, Lillo e altri, Rv. 272538 – 01).

8. Così come, sotto altro profilo, il giudice di merito non ha proceduto all’analisi degli elementi scaturiti dall’indagine disciplinare ed acquisiti agli atti. Trascura, infatti, il peculiare tenore letterale dei decreti di sequestro. Essi sono calibrati prima sull’agire del messo notificatore del Comune di Corato nella redazione, asseritamente falsa, delle relazioni di notificazione di avvisi di accertamento e poi sull’affermazione, con evidente salto logico e grave errore giuridico, “che sia le cartelle che il ruolo devono ritenersi corpo di reato in quanto emessi sulla scorta di attività illecita dell’indagato”, laddove corpo di reato erano le relate di notifica degli avvisi di accertamento, riferibili all’opera dell’indagato, e non il ruolo e le cartelle di cui, nei decreti in questione, si “ordina il sequestro in originale”.

9. Altrettanto lacunosa è anche l’indagine di merito sulla finalità attribuita dal dott. S. ai suoi decreti di “sequestro probatorio”, la cui emissione è giustificata “al fine di evitare gravissimi danni patrimoniali che potrebbero derivare dalla esecuzione delle cartelle esattoriali”. Il che porta i provvedimenti cautelari ben oltre il perimetro legale del sequestro probatorio rimesso all’iniziativa esclusiva del p.m., sottraendoli invece al controllo del giudice per le indagini preliminari, unico competente per il “sequestro preventivo”.

10. In siffatta prospettiva non resta che richiamare quanto ripetutamente affermato dalle sezioni unite della Corte, cioè che l’insindacabilità in ambito disciplinare dei provvedimenti giurisdizionali e delle interpretazioni adottate esclude sì che la loro semplice inesattezza tecnico-giuridica possa di per se sola configurare l’illecito disciplinare del magistrato, ma non quando essa sia conseguenza di scarso impegno e ponderazione o di approssimazione e limitata diligenza, ovvero sia indice di un comportamento del tutto arbitrario, e rischi perciò di compromettere il prestigio dell’ordine giudiziario (Cass. Sez. U., Sentenza n. 3759 del 17/2/2009, Rv. 606658; Sez. U., Sentenza n. 16626 del 27/7/2007, Rv. 598254; Sez. U., Sentenza n. 1161 del 9/11/2000, Rv. 541508). Il che, in altre parole, comporta che “il comportamento del magistrato può essere censurato sul piano disciplinare anche con riguardo all’attività interpretativa e applicativa delle norme di diritto, qualora tale attività riveli scarsa ponderazione, approssimazione, frettolosità o limitata diligenza, idonee a riverberarsi negativamente sulla credibilità del magistrato o sul prestigio dell’ordine giudiziario” (Cass. Sez. U., Sentenza n. 7379 del 25/03/2013, Rv. 625555 – 01; conf. Sez. U., Sentenza n. 538 del 04/08/2000, Rv. 539145 – 01). In proposito va riaffermato che nei casi in cui il provvedimento sia al di fuori dello schema processuale, ovvero sia stato adottato sulla base di un errore macroscopico o di grave e inescusabile negligenza, l’intervento disciplinare ha per oggetto non già il risultato dell’attività giurisdizionale, ma il comportamento deontologico deviante posto in essere dal magistrato nell’esercizio della sua funzione (Cass. Sez. U., Sentenza n. 20730 del 28/09/2009, Rv. 609492 – 01; Sez. U., Sentenza n. 20159 del 24/09/2010, Rv. 614115 – 01). Il che impone una valutazione complessiva della vicenda e dell’atteggiamento in essa tenuto dal magistrato incolpato (Cass. Sez. U., Sentenza n. 11069 del 03/07/2012, Rv. 623234 – 01).

11. Tutto ciò, come si è visto, risulta inadeguatamente valutato nella sentenza impugnata, che ha trascurato di traguardare obiettivi elementi di giudizio esistenti in atti (supra p. 7, 8, 9) attraverso i rigorosi principi regolativi sopra enunciati e recentemente ribaditi (vedasi per alcune emblematiche applicazioni Cass. Sez. U., Sentenza n. 9156 del 12/04/2018, Rv. 647917 – 01 su revoca di misura cautelare senza parere del p.m. e successivo ripristino richiesto dalla parte civile; Sez. U., Sentenza n. 9557 del 18/04/2018, Rv. 648128 01 su responsabilità disciplinare per mancato avvertimento dell’assunzione della qualità di persona indagata). Laddove i decreti di sequestro probatorio di ruoli e cartelle in originale per 30 milioni di Euro di crediti erariali paiono porsi al di fuori dello schema processuale tipico dell’art. 253 c.p.p. (supra p. 4, 5) rispetto allo schema legale della riscossione fiscale (supra p. 6), oltre che eccedentari rispetto allo stretto perimetro dell’ipotesi accusatoria per la quale si procedeva. La sentenza va, quindi, cassata con rinvio alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, che, in diversa composizione, dovrà procedere a nuovo e più approfondito esame della fattispecie concreta oggetto d’incolpazione sub capo B).

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 4 dicembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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