Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33323 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. I, 21/12/2018, (ud. 13/09/2018, dep. 21/12/2018), n.33323

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30084/2014 proposto da:

Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., in persona del direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Largo Toniolo n. 6,

presso lo studio dell’avvocato Morera Umberto, che la rappresenta e

difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

B.B., B.F., B.C., e B.E., nella

qualità di eredi di M.F.; nonchè D.C.A.,

D.C.L., D.C.P. (nella qualità di eredi per

rappresentazione M.F.), e D.C.U., tutti e

quattro eredi di B.E., elettivamente domiciliati in Roma,

Via Vico n. 1, presso lo studio dell’avvocato Ranucci Roberto,

rappresentati e difesi dall’avvocato Del Prete Luigi, giusta procura

a margine del controricorso e ricorso incidentale condizionato;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a., in persona del direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Largo Toniolo n. 6,

presso lo studio dell’avvocato Morera Umberto, che la rappresenta e

difende, giusta procura a margine del ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 3808/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 30/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/09/2018 dal cons. NAZZICONE LOREDANA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Napoli con sentenza del 30 ottobre 2013 ha respinto l’impugnazione principale avverso la decisione del Tribunale di Napoli del 16 giugno 2006, con la quale la Banca dei Monti dei Paschi di Siena s.p.a. era stata condannata al risarcimento del danno in favore di M.F. nella misura di Euro 556.213,51, oltre accessori, con riguardo a tre investimenti in titoli argentini eseguiti dalla medesima su conto corrente cointestato con altri attori; ha accolto, invece, l’appello incidentale, rideterminando l’importo dovuto in Euro 691.205,22.

La corte territoriale, per quanto ancora rileva, ha ritenuto che: a) la cointestazione del conto non impedisce di riferire i tre investimenti alla sola M., come ha condivisibilmente accertato il giudice di primo grado, posto che unicamente la medesima provvide ad impartire i relativi ordini; b) nel marzo 1998 e nel gennaio 1999, quando furono eseguiti i primi due investimenti, i titoli erano già speculativi e la banca non ha dimostrato di avere fornito alla cliente le necessarie informazioni; c) il terzo acquisto dell’ottobre 2001 fu preceduto, in effetti, da una dichiarazione a firma della cliente, secondo cui alla medesima furono rese le informazioni sui titoli e le fu, altresì, prospettata l’inadeguatezza dell’acquisto, che essa insistette comunque per effettuare, benchè avvertita delle ragioni per cui astenersene: e ciò, perchè non si tratta di una confessione e perchè la banca non ha provato quali concrete informazioni fornì.

Avverso questa sentenza propone ricorso la banca soccombente, affidato ad un unico motivo. Resistono gli intimati con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato per due motivi.

Le parti hanno depositato le memorie.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – L’unico complesso motivo del ricorso principale censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 29 reg. Consob 1 luglio 1998, n. 11522, avendo la corte territoriale ritenuto la banca inadempiente all’obbligo di astenersi dall’eseguire operazioni inadeguate al cliente.

In particolare, si censura la ritenuta riferibilità degli investimenti alla sola M., mentre il conto era cointestato e, dunque, sarebbe stato necessario valutare l’entità dei rischi complessivamente assunti in precedenza da detto dossier titoli, non solo con riguardo al cointestatario che in concreto si recò presso lo sportello bancario; la ritenuta natura speculativa dei titoli argentini con riguardo ai primi due acquisti, dato che all’epoca non era prevedibile il default dello stato emittente; l’affermata responsabilità della banca per il terzo investimento, nonostante la documentazione prodotta circa l’avvenuta esposizione delle ragioni di inadeguatezza e la duplice sottoscrizione della cliente, che chiese di procedere comunque all’acquisto.

2. – I motivi del ricorso incidentale condizionato deducono:

1) violazione o falsa applicazione dell’art. 29 cit., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia sulla domanda di accertamento della inadeguatezza delle operazioni per dimensione e frequenza;

2) violazione o falsa applicazione dell’art. 28 citato regolamento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia sulla domanda di accertamento della condotta di mancata richiesta di informazioni sulla propensione al rischio della cliente.

In ordine all’ammissibilità del ricorso, i controricorrenti ne deducono la tardività, dovendo il termine c.d. lungo decorrere non dalla pubblicazione della sentenza della corte territoriale (30 ottobre 2013), ma dalla data della camera di consiglio (22 ottobre 2013).

3. – L’eccezione di tardività del ricorso non ha pregio, decorrendo il termine per l’impugnazione non dalla data della assunzione della decisione in camera di consiglio, ma dalla pubblicazione della sentenza.

Deve, dunque, essere disatteso il rilievo di tardività del ricorso, ai sensi dell’art. 327 c.p.c., essendo la notifica intervenuta entro il termine ivi previsto.

Invero, il momento determinante è quello degli adempimenti di competenza della cancelleria, con il deposito ufficiale dello scritto presso la stessa, l’inserimento della sentenza nell’elenco cronologico ed attribuzione del numero identificativo: adempimenti attraverso i quali si realizza la venuta ad esistenza della sentenza e la sua rilevanza esterna a tutti gli effetti, inclusa la decorrenza del termine lungo per la sua impugnazione. Ciò per il principio consolidato, secondo cui ogni adempimento anteriore alla pubblicazione della sentenza, ed in ispecie la decisione all’esito della discussione e della votazione in camera di consiglio, non ha rilevanza giuridica esterna ai fini del venire ad esistenza della sentenza civile, la quale è determinata, come regola generale, vigente nella specie, dalla sua pubblicazione mediante deposito nella cancelleria del giudice che l’ha pronunciata (e multis, Cass. 20 settembre 2017, n. 21806; Cass. 5 settembre 2017, n. 20768; Cass., sez. un., 22 settembre 2016, n. 18569; Cass. 29 ottobre 2015, n. 22113, in tema di dispositivo ex art. 276 c.p.c., u.c.; Cass. 10 dicembre 2014, n. 26066; Cass. 12 aprile 2013, n. 8942).

I controricorrenti hanno richiamato il precedente, tuttavia non pertinente, delle Sezioni unite di questa Corte del 1 agosto 2012, n. 13794, il quale risolveva la questione della presenza, in sentenza, di “due diverse date, una di deposito – priva di espressa specificazione che il documento depositato contiene soltanto la minuta della sentenza – e l’altra di pubblicazione”: ipotesi affatto estranea al caso di specie.

4. – Il motivo del ricorso principale è fondato, nei limiti di seguito esposti.

La censura relativa alla pretesa necessità di riferire i tre investimenti a tutti i soggetti cointestatari del conto è inammissibile, in quanto attiene ad accertamento di fatto, non più sindacabile in questa sede, circa l’effettuazione dell’investimento da parte della sola M.; del pari, impinge in un giudizio di fatto il ravvisato inadempimento della banca ai propri obblighi informativi, relativamente ai primi due acquisti.

E’ invece fondata la terza deduzione, non avendo la corte del merito fatto corretta applicazione dei principi enunciati da questa Corte.

Si è invero chiarita (Cass. 6 giugno 2016, n. 11578; Cass. 24 aprile 2018, n. 10111; Cass. 24 aprile 2018, n. 10112; Cass. 24 aprile 2018, n. 10113; Cass. 24 aprile 2018, n. 10114) l’interpretazione dell’art. 29 reg. Consob n. 11522 del 1998, quanto ai requisiti di contenuto che debba presentare l’ordine scritto del cliente, volto ad effettuare un’operazione in strumenti finanziari che la banca gli abbia segnalato come inadeguata, affermandosi il principio di diritto secondo cui “La sottoscrizione, da parte del cliente, della clausola in calce al modulo d’ordine, contenente la segnalazione d’inadeguatezza dell’operazione sulla quale egli è stato avvisato, è idonea a far presumere assolto l’obbligo previsto in capo all’intermediario dall’art. 29, comma 3 reg. Consob n. 11522 del 1998; tuttavia, a fronte della contestazione del cliente, il quale alleghi quali specifiche informazioni furono omesse, grava sulla banca l’onere di provare, con qualsiasi mezzo, che invece quelle informazioni essa aveva specificamente reso”.

Ciò in quanto l’art. 29 reg. Consob n. 11522 del 1998, applicabile nella specie, impone all’intermediario l’obbligo di segnalare la non adeguatezza dell’operazione e le ragioni di essa, nonchè – se il cliente intenda procedere – di raccogliere l’ordine scritto (o telefonico registrato) da cui risulti un “esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”.

Dunque, nell’enunciato normativo ex art. 29 Reg. Consob n. 11522 del 1998 devono distinguersi in capo all’intermediario distinti obblighi, secondo uno speciale procedimento: a) valutare l’operazione richiesta sotto i profili ivi indicati (tipologia, oggetto, frequenza, dimensione); b) fornire al cliente le dettagliate spiegazioni e ragioni che, sotto gli stessi profili, sconsigliano l’operazione; c) acquisire l’ordine scritto “in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute”.

In particolare, quanto al requisito sub c), l’art. 29 non impone l’integrale redazione scritta delle informazioni specificamente rese, essendo sufficiente il riferimento alla circostanza dell’avere l’intermediario rivolto le avvertenze al cliente, ottenendone l’ulteriore richiesta di eseguire comunque l’operazione.

Infatti, alla luce sia della lettera, sia della ratio della norma, nè la prima si presta ad un’interpretazione estensiva, nè la seconda la postula, considerando che la disposizione intende enfatizzare al cliente la rilevanza della sua decisione, nonchè precostituire una prova per la banca, ma non impone nessuna forma con la quale veicolare le dovute informazioni.

Occorre, invero, considerare che l’ordine scritto di eseguire l’operazione in strumenti finanziari necessariamente li identifica, onde appare sufficiente che il cliente, sottoscrivendolo, attesti pure di esserne stato dissuaso: l’indicazione dell’adempimento dell’obbligo della banca circa l’avere essa reso le “avvertenze” soddisfa l’esigenza probatoria, quale modalità tipica – produzione in giudizio dell’ordine stesso – predisposta ad integrare la prova (presuntiva) dell’esistenza dell’avvertimento di inadeguatezza; nè al riguardo assume rilievo alcuno la considerazione, invece esposta dalla decisione impugnata, secondo cui la dichiarazione del cliente non costituisce una “confessione”.

Certamente, pertanto, a tal fine non sarebbe sufficiente un avvertimento orale generico ed astratto, ossia privo dei riferimenti concreti alle caratteristiche del cliente in comparazione con il titolo (alla stregua delle indicazioni ex art. 29 cit., per tipologia, oggetto, frequenza, dimensione): l’informazione da rendere prima che la banca intermediaria, ai sensi dell’art. 29, comma 3 reg. citato, dia attuazione all’ordine inadeguato, infatti, deve essere sufficiente in concreto, tale cioè da soddisfare le specifiche esigenze del singolo rapporto, in relazione alle caratteristiche personali e alla situazione finanziaria del cliente (così le condivisibili Cass. 25 settembre 2014, n. 20178; 26 luglio 2013, n. 18140; 29 ottobre 2010, n. 22147).

Ma la norma impone di rendere note le avvertenze in qualsiasi forma, posto che solo l’an delle medesime va attestato per iscritto.

A questo punto, tuttavia, ove il cliente alleghi l’inadempimento rispetto agli obblighi informativi da rendere oralmente, contestando che le avvertenze ricevute fossero adeguate ad assolvere agli obblighi sub a) e sub b), allora la banca resta onerata dal dimostrare che, viceversa, ad essi sia stata adempiente.

Al riguardo, questa Corte ha, altresì, chiarito come l’onere probatorio gravante sull’intermediario finanziario in ordine alle informazioni somministrate all’investitore è commisurato alla deduzione di inadempimento formulata da quest’ultimo, in sede di contestazione della lite e di successiva precisazione-modificazione del thema decidendum e probandum, onde è onere dell’investitore indicare le informazioni che assuma di non aver ricevuto ed onere della banca provare di averle, invece, fornite (Cass. 21 marzo 2016, n. 5514).

Tale prova, dunque, da parte della banca potrà avvenire con ogni mezzo; anche se risponde ad un elementare scrupolo prudenziale indicare in dettaglio le informazioni rese nella dichiarazione sulle avvertenze ricevute, sottoscritta dall’investitore prima di dar corso all’operazione inadeguata, potendo ciò garantire una maggiore economia processuale. Pertanto, ai sensi dell’art. 29 citato il giudice dovrà allora verificare se, in presenza di un’operazione inadeguata, l’intermediario abbia informato il cliente delle concrete ragioni che la rendevano inopportuna, anche se tali ragioni non devono poi necessariamente emergere dall’ordine scritto, in cui è sufficiente il riferimento all’avere ricevuto le avvertenze. Sarà, del pari, compito del giudice del merito valutare, di volta in volta, se quella condotta integrasse l’assolvimento dell’obbligo di completa e corretta informazione sul prodotto finanziario in questione.

Nella specie, la corte territoriale ha affermato che è in atti, quanto al terzo acquisto dell’ottobre 2001, la dichiarazione, sottoscritta dalla cliente, in cui essa dichiara di avere ricevuto le informazioni “sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni del presente ordine” e l’avvertenza sull’inadeguatezza dell’acquisto, nonchè di volere comunque procedere al medesimo.

Gli attori, come riporta lo stesso ricorso incidentale, intrapresero il giudizio lamentando l’assenza di “alcuna informazione” in ordine agli investimenti e sull’andamento dei titoli, nonchè la responsabilità di Consob e Banca d’Italia, e chiedendo pronunciarsi la nullità o l’annullamento per dolo o errore degli ordini di acquisto. Le domande avverso i predetti Enti e quelle di nullità venivano rinunciate.

Dunque, occorrerà valutare, da parte del giudice del merito, se siano state tempestivamente dedotte le specifiche informazioni omesse e se, di conseguenza, la sottoscrizione dell’ordine reiterato di acquistare i titoli nell’ottobre 2001, sia pure dopo avere ricevuto avvertenza della sua inadeguatezza, fosse a quel punto idonea a soddisfare il requisito ex art. 29, comma 3 reg. Consob n. 11522 del 1998, per l’assenza di specificazione del dato informativo non somministrato.

5. – Il ricorso incidentale è assorbito.

6. – La sentenza va quindi cassata in relazione al profilo accolto, con rinvio alla corte del merito, in diversa composizione, affinchè valuti la situazione concreta alla luce del principio esposto, ad essa demandando, altresì, la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale, assorbito l’incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa innanzi alla Corte d’appello di Napoli, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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