Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33320 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. I, 21/12/2018, (ud. 13/09/2018, dep. 21/12/2018), n.33320

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente –

Dott. GENOVESE Francesco A. – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4767/2015 proposto da:

Banco di Napoli S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in Roma, Largo di Torre Argentina

n. 11, presso lo studio dell’avvocato Martella Dario, che lo

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

A.M., in proprio e quale procuratore speciale di:

A.I., A.F., A.E., A.D.,

A.A. e An.An., nonchè

D.F.A.F., tutti quali eredi di A.U., elettivamente

domiciliati in Roma, Via Germanico n. 109, presso lo studio

dell’avvocato Sebastio Giovanna, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Sebastio Attilio, giusta procura in calce

del controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 15/2015 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE

DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 15/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/09/2018 dal cons. Dott. TRICOMI LAURA.

Fatto

RILEVATO

che:

La controversia, originariamente proposta da A.U., aveva ad oggetto la domanda di accertamento e condanna al rimborso di somme indebitamente dallo stesso corrisposte a titolo di interessi al San Paolo IMI SPA, al quale era succeduto il Banco di Napoli SPA (di seguito, la banca) nell’ambito di un contratto di conto corrente intrattenuto tra le parti per il quale aveva goduto dal maggio 1989 al giugno 1998, epoca di cessazione del rapporto, di anticipazioni bancarie con interessi computati ad un tasso passivo superiore a quello legale non determinato per iscritto e con metodo anatocistico, mediante capitalizzazione trimestralmente.

La Corte d’appello di Lecce, con la sentenza in epigrafe indicata, ha respinto l’appello principale proposto dalla banca ed accolto l’appello incidentale proposto dagli eredi dell’ A., riconoscendo anche la spettanza degli interessi legali sul credito accertato in primo grado.

La Corte di appello ha affermato che era pacifica tra le parti l’esistenza di un rapporto di apertura di credito, di guisa che, avendo ad oggetto la domanda del correntista la ripetizione dell’indebito riferito agli interessi corrisposti in misura ultralegale ed anatocistici, la banca avrebbe dovuto provare – ma non lo aveva fatto – la pattuizione scritta delle corrispondenti clausole contrattuali.

Quindi, nell’esaminare l’eccezione di prescrizione – ribadita dalla banca in appello, con la precisazione che per le rimesse solutorie il termine prescrizionale doveva farsi decorrere dalla data dei rispettivi pagamenti (richiamando Cass. Sez. U. n. 24418/2010)- la ha qualificata come nuova, giacchè in primo grado la banca aveva invocato la prescrizione sulla diversa considerazione che questa “comincia a decorrere dal momento dell’accreditamento a favore della banca delle singole somme corrispondenti agli interessi sugli interessi capitalizzati trimestralmente”.

Sul punto ha altresì soggiunto che, comunque, la banca non aveva ottemperato all’onere sulla stessa gravante, di provare l’ammontare del presunto fido, dalla cui consistenza dipendeva la configurabilità di rimesse solutorie, e di precisare quali erano le rimesse solutorie rispetto all’addebito degli interessi ultralegali ed anatocistici, elemento rilevante per determinare la decorrenza della prescrizione.

Ha quindi affermato che il ricalcolo degli interessi attivi conseguiva correttamente alla richiesta dell’ A. di rideterminazione del saldo.

La banca propone ricorso per cassazione con quattro mezzi; replicano con controricorso A.M., I., F., E., D., A. e An., nonchè D.F.A.F., quali eredi di A.U., titolare dell’omonima impresa edile.

Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

La ricorrente ed i controricorrenti hanno depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo si lamenta la violazione degli artt. 2033 e 2697 c.c..

La banca, sulla premessa che la domanda di ripetizione avrebbe potuto essere accolta solo per le rimesse aventi effetto solutorio, lamenta che, trattandosi di domanda per ripetizione di indebito, il cliente non abbia assolto al suo onere probatorio, limitandosi a contestare genericamente l’addebito illegittimo di somme sul suo conto, idoneo a produrre uno spostamento patrimoniale a favore della banca.

La banca sostiene che le rimesse (o parte) erano solutorie, e non ripristinatorie, e che per le stesse era stata eccepita la prescrizione: si duole, quindi, che la Corte di appello abbia ritenuto che la prova del carattere solutorio delle rimesse spettasse alla banca stessa, così come la prova dell’ammontare del presunto fido.

1.2. Il motivo è infondato.

Per quanto concerne l’onere probatorio in ordine all’indebito, considerato che il correntista aveva fondato la richiesta di indebito sulla corresponsione di interessi ultralegali e anatocistici in mancanza di pattuizione scritta, era onere della banca fornire la prova di detta pattuizione scritta, onere rimasto non adempiuto; quanto all’eccezione di prescrizione, era sempre onere della banca, che ha eccepito la prescrizione, fornire la prova della decorrenza e quindi della natura solutoria delle rimesse, ai fini della dimostrazione l’intervenuta prescrizione dalla data delle singole rimesse, onere anche questo rimasto non adempiuto.

La Corte di appello ha correttamente precisato gli oneri probatori gravanti sulla banca per l’esercizio proficuo dell’eccezione di prescrizione, tanto più che il carattere solutorio delle rimesse, che ne costituiva il presupposto logico, non era stato oggetto di accertamento, ed ha efficacemente rimarcato che l’onere probatorio incombeva su chi deduceva tale circostanza.

2.1. Con il secondo motivo si lamenta la omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio, ancorchè controverso tra le parti.

Secondo la banca, la Corte di appello avrebbe omesso di valutare la Convenzione del 26/9/1996, già allegata in primo grado, dalla quale risultava la apertura di alcune linee di credito, documento di cui il CTU aveva tenuto conto, considerando solutorie tutte le rimesse post Convenzione eccedenti il limite del fido e tutte le rimesse anteriori alla stipula del fido ex Sez. U. n. 24418/2010.

2.2. Il motivo è infondato.

2.3. Il fatto decisivo che non sarebbe stato valutato è la convenzione di apertura di credito del 1996; tuttavia, contrariamente a quanto assume la ricorrente, la Corte di appello, laddove afferma che il rapporto di apertura di credito integrava una situazione pacifica tra le parti (fol. 4) dimostra di avere dato per pacifica l’esistenza dell’affidamento in relazione al periodo a cui va riferita la Convenzione (1996/1998), che pertanto non risulta omessa nell’accertamento del fatto.

3.1. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 345 c.p.c. e degli artt. 2697 e 2948 c.c., con riferimento al diniego dell’operatività della prescrizione eccepita dalla banca.

La ricorrente si duole che l’eccezione sia stata considerata come nuova, perchè proposto in relazione alle richieste solutorie, mentre prima era stata sollevata con riferimento al momento dei singoli pagamenti a favore della banca.

3.2. Il motivo è inammissibile perchè la reiezione dell’eccezione di prescrizione si fonda su plurime rationes decidendi, segnatamente relative non solo alla novità della stessa, ma soprattutto al mancato assolvimento dell’onere della prova circa la natura solutorie delle rimesse conseguenti ad un utilizzo extrafido, che non ha costituito oggetto di accertamento. La critica a tale seconda ratio, contenuta nel primo motivo, già è stata ritenuta infondata. Quindi la censura sulla novità della eccezione di prescrizione è inammissibile, fondandosi la decisione anche sull’altra autonoma ratio, che resiste alla critica di parte ricorrente.

4.1. Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 112 c.p.c., lamentando che il giudice di appello, nel respingere lo specifico motivo di impugnazione, aveva esteso la sua pronuncia (così come il giudice di primo grado) su diritti di credito del correntista, conseguenti ad un ricalcolo degli interessi attivi a suo favore, che non aveva costituito oggetto della originaria domanda, non limitandosi ad interpretare la domanda, ma addirittura sostituendone il contenuto.

4.2. Il quarto motivo è infondato.

4.3. Non c’è pronuncia ultra petita, perchè la Corte territoriale ha dato atto che nella domanda introduttiva parte attrice ha chiesto il pagamento delle somme oggetto dell’indebito maggiorate degli interessi. Quindi gli interessi attivi sono stati espressamente richiesti.

5. In conclusione il ricorso va rigettato.

La ricorrente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità nella misura liquidata in dispositivo.

Sussistono i presupposti per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

– Rigetta il ricorso;

– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, alle spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed agli accessori;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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