Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33314 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. trib., 17/12/2019, (ud. 16/04/2019, dep. 17/12/2019), n.33314

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRISTIANO Magda – Presidente –

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SAIJA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. MELE Francesco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9383-2017 proposto da:

UMBRIAOLII INTERNATIONAL SPA, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA GIOVINE

ITALIA, 7, presso lo studio dell’avvocato RICCARDO CARNEVALI,

rappresentato e difeso dagli avvocati LORENZO TIZI, FABIO DI

GIACOMO, giusta procura in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI, in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 509/2016 della COMM.TRIB.REG. di PERUGIA,

depositata il 25/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/04/2019 dal Consigliere Dott. SAIJA SALVATORE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MATTEIS STANISLAO che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato CORICELLI per delega dell’Avvocato

TIZI che si riporta agli atti; udito per il controricorrente

l’Avvocato CAMASSA che si riporta al controricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Umbria Olii International s.p.a. (già s.r.l., di seguito anche solo Umbria Olii), in data 11.1.2013 effettuò due distinte operazioni doganali di importazione dalla Tunisia di olio extravergine d’oliva, rispettivamente per la quantità di Kg. 32.060 e Kg. 32.080, classificando la merce, secondo il Codice di Nomenclatura Combinata, sotto la voce “C.N. Euro 15091090”, rispondente all’indicazione “Olio di oliva e sue frazioni vergini – Altri”. L’olio venne vincolato al regime di traffico di perfezionamento attivo (T.P.A.) ex artt. 114 e ss. del Reg. CEE n. 2913/1992 (C.D.C.), con sospensione dei diritti doganali fino alla successiva riesportazione verso Paesi extra UE, come da autorizzazione dell’Ufficio delle Dogane di Perugia del 21.9.2012, che prevedeva la compensazione “per identità” dei prodotti importati con quelli riesportati. Sennonchè, a seguito di controlli effettuati su campioni prelevati all’arrivo in Dogana (anche mediante il c.d. panel test), l’Ufficio ritenne la merce importata non conforme al dichiarato, dovendo essa riclassificarsi come olio vergine, anzichè extravergine, d’oliva perchè risultata di qualità inferiore, per quanto pur sempre ascrivibile alla medesima voce doganale. A seguito di richiesta di Umbria Olii, vennero effettuate due controanalisi, che però confermarono le analisi di prima istanza. Pertanto, sul presupposto della minore qualità della merce importata rispetto a quella da esportare, in contrasto con quanto autorizzato, la società venne ritenuta inadempiente al regime di perfezionamento attivo, con conseguente nascita dell’obbligazione doganale, ex art. 204 C.D.C. Vennero quindi emessi, quanto alla prima operazione doganale, il provvedimento di decisione datato 18.6.2013, relativo alla qualità della merce, nonchè l’avviso di accertamento suppletivo di rettifica del 31.7.2013, con cui si invitava la società al pagamento della somma di Euro 44.584,85; quanto alla seconda operazione doganale, l’invito al pagamento del 2.8.2013, per l’importo di Euro 44.612,46.

Avverso i tre provvedimenti, Umbria Olii propose altrettanti ricorsi dinanzi alla C.T.P. di Perugia che, previa loro riunione, li accolse con sentenza del 24.2.2015, riconoscendo sussistere la buona fede dell’importatrice e applicando, quindi, l’esimente di cui all’art. 220, par. 2, lett. b, C.D.C. La C.T.R. dell’Umbria, però, accolse l’appello dell’Ufficio con sentenza del 25.10.2016, conseguentemente rigettando le domande dell’importatrice.

Umbria Olii International s.p.a. ricorre ora per cassazione, sulla base di undici motivi, illustrati da memoria, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Dogane. Il Procuratore Generale ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1 – Con il primo motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 324,342,112 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e dell’art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4. Secondo la ricorrente, nel formulare l’appello l’Ufficio, pur chiedendo genericamente l’annullamento della sentenza impugnata, avrebbe delimitato l’oggetto dell’impugnazione al solo invito al pagamento del 2.8.2013. Conseguentemente, la C.T.R. avrebbe violato la normativa in rubrica, perchè – riformando in toto la prima decisione – avrebbe pronunciato sia ultra patita, sia in contrasto col giudicato interno già formatosi sulla nullità del provvedimento di decisione del 18.6.2013 e dell’avviso di accertamento del 31.7.2013, per di più omettendo di pronunciarsi sulle relative eccezioni, formulate da essa società con le controdeduzioni del 14.7.2015.

1.2 – Con il secondo motivo si denuncia nullità della sentenza per omessa motivazione, in violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. La C.T.R. avrebbe omesso totalmente di motivare in ordine alla ricorrenza della buona fede di Umbria Olii, riscontrata dalla C.T.P., e dunque su un questione decisiva, presupposto dell’applicabilità dell’esimente di cui all’art. 220, par. 2, lett. b, del C.D.C..

1.3 – Con il terzo motivo, si lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 220, par. 2, lett. b, nonchè dell’art. 239 del C.D.C., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente rileva che il totale difetto di motivazione implica anche la non applicazione dell’esimente in discorso ad un caso pienamente sussumibile nella previsione normativa; osserva, inoltre, che la C.T.R. non ha fatto riferimento neanche all’art. 239 C.D.C., che costituisce una clausola di equità del sistema, prevedendo l’esclusione del recupero dei dazi doganali a posteriori in caso di situazioni particolari, dovute a circostanze che non implichino frode o manifesta negligenza da parte dell’interessato, come nella specie, in cui la sua mancanza di colpevolezza sarebbe dimostrata dal rilascio del certificato dell’Autorità doganale tunisina attestante in modo inequivoco la qualità extravergine dell’olio importato.

1.4 – Con il quarto motivo si lamenta omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il mezzo viene proposto in subordine, per il caso in cui, in relazione al requisito della buona fede, non dovesse ritenersi sussistente il vizio di omessa motivazione e sulla base di tutti gli elementi fattuali già in precedenza esposti.

1.5 – Con il quinto motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 204 C.D.C., nonchè dell’art. 1 Reg. Cee n. 2658/1987 e dell’allegato I richiamato e del capitolo 15 dello stesso allegato, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente si duole che la CTR abbia disatteso le eccezioni, riproposte in appello, di insussistenza di un proprio comportamento inadempiente al regime di perfezionamento attivo con compensazione per “identità”, di mancanza di comparazione tra la merce in entrata e quella in uscita, ed infine, di sostanziale omogeneità, dal punto di vista doganale, tra la qualità dichiarata e quella accertata, così violando la normativa in rubrica, che tali accertamenti impone. Sotto altro profilo, rileva poi che, a fini doganali, non esiste alcuna distinzione tra olio d’oliva vergine ed extravergine, se non nel caso in cui si riscontrino all’assaggio difetti organolettici al di sotto del punteggio (intensità) di 3,5, tali da far degradare l’olio alla qualità “lampante”, e quindi da doverlo classificare con C.N. Euro 1510 anzichè C.N. Euro 1509, e ciò ai sensi della nota 2 B del capitolo 15 dell’allegato I, Reg. Cee. N. 2658/1987.

1.6 – Con il sesto motivo si lamenta omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè inesistenza ed apparenza della motivazione. Quanto illustrato col motivo che precede rileva, secondo la ricorrente, anche sotto il profilo della carenza motivazionale, non avendo la C.T.R. preso in esame i relativi fatti decisivi e avendo quindi adottato una decisione totalmente illogica, fra l’altro riportando tra virgolette la motivazione di precedente decisione tra le parti assunta, però, in fattispecie non sovrapponibile alla presente.

1.7 – Con il settimo motivo, si lamenta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, par. 3, Reg. Cee n. 2568/1991 e delle norme richiamate EN ISO 661 e 5555, allegato I bis al detto Reg., nonchè del D.P.R. n. 327 del 1980, art. 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Si censura la decisione impugnata laddove s’è ritenuto irrilevante, ai fini della bontà delle controanalisi effettuate dal Laboratorio doganale C.R.A. di Città S. Angelo, la fuoriuscita di olio dal campione n. 1749, comportante invece il mancato rispetto delle procedure specificamente indicate dalla normativa in rubrica, con conseguente alterazione del panel test.

1.8 – Con l’ottavo motivo, si lamenta omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè inesistenza ed apparenza della motivazione. Anche in tal caso, quanto illustrato col motivo che precede rileva, secondo la ricorrente, sotto il profilo della carenza motivazionale.

1.9 – Con il nono motivo, si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., dell’art. 116 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, nonchè dell’art. 2, par. 2, Reg. Cee n. 2568/1991, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. La ricorrente si duole dell’affermazione della C.T.R. secondo cui, una volta che il legislatore comunitario ha prescritto la necessità del panel test ai fini della classificazione della merce, non è più possibile discuterne l’attendibilità. In tal guisa, secondo la società, la C.T.R. ha negato già in astratto la possibilità di fornire la prova contraria alle risultanze dell’esame organolettico, inammissibilmente facendolo assurgere al rango di prova legale e comunque ribaltando sull’importatore l’onere della prova e non ha tenuto conto della mera soggettività del giudizio degli assaggiatori e della conseguente fallibilità del panel test, con conseguente violazione della normativa in rubrica.

1.10 – Con il decimo motivo, si lamenta omesso esame di fatti decisivi per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nonchè inesistenza ed apparenza della motivazione. Anche in tal caso, quanto illustrato col motivo che precede rileva sotto il profilo della carenza motivazionale, similmente a quanto già osservato per il sesto e l’ottavo motivo.

1.11 – Con l’undicesimo motivo, infine, si denuncia violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2, par. 2, Reg. Cee n. 2568/1991, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Secondo la ricorrente, la C.T.R. ha comunque errato nel ritenere applicabile il Reg. Cee n. 2568/1991 al caso in esame, non avendo tenuto conto del regime di sospensione in cui era venuta a trovarsi la merce importata, destinata ad essere a sua volta esportata in Paesi non UE: detto Reg., che disciplina in tutta l’UE le caratteristiche dei vari tipi di olio, non potrebbe regolamentare la fattispecie che occupa, secondo quanto parzialmente (e contraddittoriamente) riconosciuto dallo stesso giudice d’appello, laddove ha affermato l’irrilevanza del mancato affidamento di almeno una controanalisi ad un laboratorio riconosciuto dallo Stato di produzione, cioè dalla Tunisia, che non appartiene alla UE. Umbria Olii rileva poi che, in ogni caso, l’affidamento della controanalisi ad un laboratorio riconosciuto dallo Stato africano si sarebbe reso comunque necessario, perchè solo assaggiatori del Paese di origine avrebbero potuto cogliere le peculiarità dell’olio in questione.

2.1 – Il primo motivo è inammissibile ed è comunque infondato.

Anzitutto, quanto alla pretesa mancata pronuncia sulle eccezioni formulate con le controdeduzioni del 14.7.2015, va rilevato che “l’omesso esame di una questione puramente processuale non integra il vizio di omessa pronuncia, configurabile soltanto con riferimento alle domande ed eccezioni di merito, dovendosi escludere che l’omesso esame di un’eccezione processuale possa dare luogo a pronuncia implicita, idonea al giudicato, venendo in rilievo la diversa questione della riproposizione dell’eccezione in appello” (v. Cass. n. 6174/2018; secondo Cass. n. 321/2016, in tal caso si “può configurare un vizio della decisione per violazione di norme diverse dall’art. 112 c.p.c. se, ed in quanto, si riveli erronea e censurabile, oltre che utilmente censurata, la soluzione implicitamente data dal giudice alla problematica prospettata dalla parte”).

Riguardo agli altri profili, ritiene poi la Corte che il mezzo non sia conforme ai dettami dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè non riporta compiutamente il contenuto dell’appello dell’Ufficio, onde poter apprezzare se – al di là del riferimento effettuato, nelle conclusioni, al solo avviso di pagamento del 2.8.2013 – l’impugnazione fosse stata effettivamente limitata alla sola statuizione di annullamento di tale atto impositivo.

In ogni caso, il mezzo è infondato, atteso che con l’appello l’Ufficio aveva testualmente concluso per l’annullamento integrale della sentenza impugnata “per le motivazioni espresse”, ovvero (oltre che per l’inapplicabilità dell’esimente di cui all’art. 220 CDC), per la mancanza, contestata in tutti e tre gli atti a suo tempo impugnati da Umbria Olii, della condizione per accedere al regime di perfezionamento attivo costituita dalla qualità extravergine dell’olio: a fronte dell’onnicomprensività (e quindi della sicura riferibilità a tutti i medesimi atti) delle doglianze svolte dall’appellante, la successiva richiesta, pure contenuta nelle conclusioni, di “dichiarare la legittimità dell’avviso del 2.8.2013 e degli atti prodromici e connessi impugnati” va quindi ritenuta una mera svista, ininfluente ai fini della determinazione dell’ambito devolutivo del gravame.

3.1 – Il secondo motivo è fondato.

Per ben focalizzare il tema, è opportuno premettere che la C.T.R., nell’accogliere il gravame dell’Ufficio (fondamentalmente imperniato sulla critica alla prima decisione, per aver questa riconosciuto l’esimente ex art. 220, par. 2, lett. b, C.D.C.), ha così motivato, talvolta riproducendo letteralmente passaggi di alcune sentenze da essa già rese in subiecta materia: a) anzitutto, ha evidenziato che ogni critica circa l’inattendibilità in sè delle analisi organolettiche (panel test) dell’olio d’oliva importato doveva intendersi superata alla luce della scelta del legislatore comunitario, che col Reg. Cee n. 2658/1991 ha chiaramente stabilito che la classificazione dell’olio nel range da 1 (olio extravergine di oliva) a 8 (olio di sansa di oliva) necessita del controllo sia chimico sia organolettico, senza preminenza dell’un criterio sull’altro, sicchè non è possibile operare alcuna valutazione sul metodo in sè considerato; b) ha poi rilevato che, nella specie, anche le controanalisi avevano confermato la minore qualità dell’olio importato, a nulla rilevando nè la fuoriuscita dell’olio (il campione essendo stato correttamente identificato e le controanalisi essendo state correttamente svolte), nè la mancanza di una controanalisi effettuata da laboratorio riconosciuto dallo Stato di produzione, stante la ritenuta inapplicabilità del Reg. CEE 2568/1991, trattandosi di olio di provenienza tunisina; c) ancora, ha proseguito affermando che il presupposto del regime agevolativo del perfezionamento attivo (nella modalità della c.d. “compensazione per equivalente ed importazione a reintegro”) è l’esatta corrispondenza della qualità del prodotto importato con quello riesportato, che dev’essere evidentemente accertata con opportune analisi di laboratorio; d) ha sottolineato che, nella specie, oggetto della contestazione era la constatazione della diversità del prodotto da importare (olio d’oliva extravergine) per cui era stata concessa la specifica autorizzazione, rispetto a quello in concreto importato (olio d’oliva vergine) e che tale diversità non consentiva di operare il meccanismo per compensazione dei prodotti in entrata e in uscita ai fini dell’esonero dall’obbligazione doganale.

3.2 – Da quanto precede balza immediatamente all’evidenza che la C.T.R. non solo non ha espressamente affrontato la questione della buona fede dell’importatore, oggetto del gravame dell’Ufficio, ma a ben vedere, su un piano più generale, non s’è affatto confrontata con la motivazione della C.T.P., avendo invece seguito un proprio percorso motivazionale – sostituendolo a quello del primo giudice – imperniato sul difetto del presupposto del T.P.A., per essere il prodotto importato diverso da quello specificamente autorizzato.

Se così è, il secondo motivo è senz’altro fondato, perchè il giudice d’appello, dopo aver mutuato la motivazione, per comodità (e con ampio uso del “virgolettato”), da alcuni suoi precedenti, sebbene non del tutto legati alla fattispecie (come dimostrato dal richiamo alla compensazione “per equivalente”, assolutamente non pertinente col caso che occupa, ove il T.P.A. è stato autorizzato “per identità”) ha del tutto omesso di affrontare il tema decisivo della ricorrenza o meno dei presupposti per l’applicabilità dell’esimente di cui all’art. 220, par. 2, lett. b, C.D.C., questione risolta affermativamente dalla C.T.P. ed infatti gravata d’appello dall’Ufficio. Nè può ritenersi che il tenore della sentenza impugnata si ponga su un piano di incompatibilità logico-giuridica con l’esame dell’esimente in discorso: già in precedenza (v. Cass. n. 7674/2012), questa Corte ha implicitamente ritenuto che anche in tema di T.P.A. l’esimente ex art. 220 C.D.C. possa astrattamente configurarsi, essendo stato in quel caso affermato che “In tema di tributi doganali, lo stato soggettivo di buona fede dell’importatore, richiesto dall’art. 220, Comma secondo, lett. b), del Regolamento CEE n. 2913 del 1992 (cosiddetto Codice doganale comunitario), ai fini dell’esenzione della contabilizzazione a posteriori, non ha valenza esimente in re ipsa, ma solo in quanto sia riconducibile ad una delle situazioni fattuali individuate dalla normativa comunitaria, tra le quali va annoverato l’errore incolpevole, ossia non rilevabile dal debitore di buona fede, nonostante la sua esperienza e diligenza, e che, per assumere rilievo scriminante, deve essere in ogni caso imputabile a comportamento attivo delle autorità doganali, non rientrandovi quello indotto da dichiarazioni inesatte dello stesso operatore”. Non v’è quindi ragione di discostarsi da tale impostazione, implicitamente avallata da altre pronunce rese in tema di T.P.A. (tra cui, Cass. n. 5518/2013 e, soprattutto, Cass. n. 4918/2013, che ha opportunamente fissato paletti assai rigidi ai fini della riconoscibilità della detta esimente in subiecta materia, seppur specificamente riferita alla compensazione “per equivalente”).

La sentenza impugnata è dunque nulla in parte qua.

4.1 -n terzo e il quarto motivo restano conseguentemente assorbiti.

5.1 – Il quinto ed il sesto motivo sono infondati.

Infatti, la circostanza che, nella specie, sia mancato ogni controllo in uscita, al fine di effettuare la comparazione di prodotto, è assolutamente irrilevante: ribadito che Umbria Olii è stata autorizzata al T.P.A. “per identità”, la ripresa fiscale è fondata sul fatto che il prodotto importato è diverso da quello autorizzato, il solo per il quale è giustificata la sospensione daziaria. Non importa, dunque, effettuare accertamenti sul prodotto in uscita, ove si contesti che il prodotto in entrata sia diverso da quello autorizzato al T.P.A. “per identità”; il controllo sulla riesportazione, evidentemente, è funzionale all’accertamento dell’identità della merce importata, ma la questione esula dai confini di questo giudizio.

Per la stessa ragione, è irrilevante che il codice doganale dell’olio extravergine e dell’olio vergine sia identico: posto che la definizione di olio extravergine è quella normativa comunitaria (come da Reg. Cee n. 2658/1991- v. amplius nel par. 9.1), è ad essa che deve farsi riferimento, al fine di individuare la merce il cui ingresso temporaneo in Italia era autorizzato in sospensione daziaria. Non sussistono, quindi, nè il denunciato vizio di violazione di norme di diritto, nè tantomeno quello motivazionale, latamente inteso.

6.1 – L’ottavo motivo, da esaminarsi prioritariamente per ragioni logiche, è fondato.

In proposito, s’è già evidenziato come la C.T.R. abbia ritenuto priva di rilevanza la circostanza che il campione di olio contrassegnato dal n. 1749 fosse giunto non adeguatamente sigillato al Laboratorio doganale C.R.A. di Città S. Angelo, essendosi riscontrata una “fuoriuscita di prodotto dal rispettivo contenitore al sacchetto di polietilene impregnando di olio l’etichetta allegata all’interno e di olio anche l’esterno della busta” (così il verbale di controanalisi del 9.5.2013, doc. 13 del fascicolo di primo grado della società). Il superiore giudizio del giudice d’appello è fondato sul fatto che tale perdita non ha “impedito l’identificazione del campione e la correttezza dell’analisi”. Nessun altro accenno alla questione è dato scorgere nel corpo della motivazione.

Ora, affermare tout court che la non adeguata chiusura di un campione di prodotto da sottoporre ad analisi (per di più organolettiche) sia irrilevante risulta già prima facie assunto apodittico ed indimostrato. Manca, sul punto, qualsivoglia considerazione idonea a seguire il percorso logico-giuridico adottato dal giudice d’appello nel raggiungere il convincimento che, nonostante la fuoriuscita del prodotto stesso dal contenitore, il residuo contenuto potesse conservare inalterate le proprie qualità, ai fini della regolarità delle controanalisi, ovvero che, nonostante la verosimile alterazione, essa non fosse comunque idonea ad influire sull’esito delle stesse controanalisi (o, addirittura, sulla loro rilevanza ai fini dell’accertamento – v. infra, par. 9.1).

La sentenza viola sul punto il c.d. “minimo costituzionale” della motivazione (v., per tutte, Cass., Sez. Un., n. 8053/2014) ed è dunque nulla in parte qua.

7.1 -n settimo motivo è conseguentemente assorbito.

8.1 – Il nono e il decimo motivo, da esaminarsi congiuntamente perchè connessi, sono infondati.

Infatti, la ricorrente mira a mettere in discussione il risultato delle analisi a seguito del panel test, con considerazioni meramente astratte (ad es., la non certezza scientifica – o l’alta opinabilità – del risultato dell’analisi sensoriale, dimostrate a suo dire da numerosi studi scientifici o da sentenze penali di proscioglimento, documenti prodotti nella fase di merito), senza però addurre alcun elemento decisivo, sotto il profilo fattuale (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), il cui esame sarebbe stato pretermesso dalla C.T.R., se non quello della certificazione dell’autorità tunisina che ha controllato le operazioni doganali per cui è processo, evidentemente (sebbene implicitamente) ritenuto superato dal giudice d’appello per effetto delle analisi compiute in Dogana.

Nè, del resto, è dato riscontrare nella specie la violazione dell’art. 2697 c.c., o dell’art. 116 c.p.c.: non del primo, perchè la C.T.R. non ha affatto invertito l’onere probatorio, addossandolo ad una parte diversa da quella tenutavi per legge (Cass. n. 26769/2018); ma neanche del secondo, perchè “In tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione” (Cass. n. 1229/2019). Nel caso che occupa, a ben vedere, la C.T.R. non ha fatto assurgere le analisi effettuate al panel test a prova legale (e quindi incontestabile), come invece dedotto dalla ricorrente, ma ne ha valutato liberamente le risultanze anche alla luce delle controanalisi effettuate (ciò, si osserva, fermo restando quanto già statuito al par. 6.1), sicchè neppure può configurarsi la dedotta violazione. Le stesse considerazioni valgono anche per quanto concerne la pretesa violazione dell’art. 2, par. 2, del Reg. CEE n. 2568/1991.

9.1 – Infine, anche l’undicesimo motivo è infondato.

Infatti, non può revocarsi in dubbio che le autorità doganali di un Paese membro dell’UE, per quanto concerne il transito di prodotti oleari sul proprio territorio, devono necessariamente far riferimento al Reg. CEE n. 2568/1991 e s.m.i., quand’anche si tratti di prodotti di provenienza extracomunitaria. Ciò per l’evidente ragione che la stessa valutazione delle autorità circa il regime doganale da applicare alla merce in transito (come anche, appunto, la sospensione daziaria in regime di T.P.A.) presuppone il pieno dominio autoritativo ed una valutazione tipicamente discrezionale tecnica (nell’accezione amministrativa), a presidio degli interessi comuni di tutti gli Stati membri dell’UE, stante anche il concreto rischio della “comunitarizzazione” della merce stessa. Pertanto, ai fini che qui interessano, risulta ovvio che la definizione dell’olio d’oliva (nelle sue varianti, dall’extravergine fino alla sansa) è esattamente quella contenuta in detto Regolamento, tanto più che nel suo primo considerando è espressamente richiamato il Reg. n. 136/66/Cee, il cui art. 35 significativamente stabilisce che “Senza pregiudizio per l’armonizzazione delle legislazioni relative agli oli d’oliva destinati all’alimentazione umana, gli Stati membri adottano, per gli scambi intracomunitari e con i Paesi terzi, ad eccezione delle esportazioni verso Questi ultimi, le denominazioni e definizioni degli oli d’oliva previste nell’allegato del presente regolamento”.

Non è casuale che la ricorrente abbia invocato (qui, contraddittoriamente) lo stesso Reg. Cee n. 2568/1991, e segnatamente l’art. 2, par. 2, in tema di controanalisi, che così stabilisce: “Qualora il panel non confermi la categoria dichiarata, sotto il profilo delle sue caratteristiche organolettiche, a richiesta dell’interessato le autorità nazionali o i loro rappresentanti incaricano altri panel riconosciuti di effettuare quanto prima due controanalisi, di cui almeno una deve essere effettuata da un panel riconosciuto dallo Stato membro di produzione dell’olio. Le caratteristiche in questione sono considerate conformi a quelle dichiarate se le due controanalisi confermano la classificazione dichiarata. In caso contrario il costo delle controanalisi è a carico dell’interessato”.

A tal proposito, la C.T.R. ha ritenuto come la regola secondo cui uno dei due panel deve essere riconosciuto dallo Stato di produzione dell’olio non sia applicabile nella specie, perchè la Tunisia non appartiene alla UE.

Tale decisione è esente da censure, anzitutto perchè la previsione testuale della norma espressamente ne limita l’ambito ai soli Paesi membri dell’UE, ciò che è del tutto compatibile con la finalità del Regolamento in discorso, chiaramente evincibile dal terzo considerando, secondo cui “è opportuno stabilire in modo uniforme in tutta la Comunità la presenza delle caratteristiche dei vari tipi di olio; che a tal fine occorre stabilire i metodi comunitari di analisi chimica e di valutazione organolettica; che occorre tuttavia autorizzare, durante un periodo transitorio, il ricorso ad altri metodi di analisi applicati negli Stati membri pur prevedendo che, in caso di divergenza dei risultati, saranno determinanti quelli ottenuti in base al metodo comune”.

In secondo luogo, perchè è evidente che un regolamento comunitario non può ex se obbligare uno Stato extracomunitario a sottostare alle modalità procedimentali (nella specie, relativamente alle importazioni di merci) dettate per il raggiungimento di scopi ed interessi dei propri Stati membri, come invece dovrebbe dedursi ad aderire alla tesi della ricorrente. Un tale obbligo può solo derivare da trattati o accordi internazionali: nella specie, tuttavia, nulla è evincibile in tal senso dall’Accordo c.d. Euromediterraneo intervenuto tra l’UE e la Tunisia e ratificato in Italia con L. n. 35 del 1997, pure richiamato dalla società.

In ogni caso, ove anche la regola della doppia controanalisi volesse ritenersi applicabile nella specie così come dettata dal Reg. cit. (e quindi con l’intervento di un panel riconosciuto dallo Stato extracomunitario produttore), l’esito non potrebbe comunque essere favorevole alla società, in quanto lo stesso art. 2, par. 2, citato, prevede che “Le caratteristiche in questione sono considerate conformi a quelle dichiarate se le due controanalisi confermano la classificazione dichiarata”. Pertanto, la conferma del degradamento proveniente anche da un solo laboratorio non avrebbe comunque consentito il ribaltamento dell’accertamento doganale.

12.1 – In definitiva, sono accolti per quanto di ragione i motivi secondo e ottavo, rigettati il primo, quinto, sesto, nono, decimo ed undicesimo, mentre restano assorbiti i restanti. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla C.T.R. dell’Umbria, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo e l’ottavo motivo del ricorso, rigetta i motivi primo, quinto, sesto, nono, decimo ed undicesimo e dichiara assorbiti i restanti. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla C.T.R. dell’Umbria, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 16 aprile 2019.

Depositato in cancelleria il 17 dicembre 2019

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