Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33312 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 21/12/2018, (ud. 24/10/2018, dep. 21/12/2018), n.33312

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26313-2013 proposto da:

MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITA’ CULTURALI, in persona del

Ministro pro tempore, domiciliato ope legis in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI n. 12, presso gli uffici dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

S.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE PARIOLI 87,

presso lo studio dell’avvocato ALDO SEMINAROTI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato CRISTINA SEROTTI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 776/2013 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata l’08/07/2013, R.G.N. 1267/2012.

Fatto

RILEVATO

che:

1. la Corte di Appello di Firenze, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città che aveva rigettato il ricorso, ha accolto le domande proposte da S.C. nei confronti del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e ha dichiarato il diritto dell’appellante “a proseguire il rapporto a tempo parziale secondo il contratto stipulato il (OMISSIS)”, condannando il Ministero al ripristino dell’originario orario di lavoro;

2. la Corte territoriale ha osservato che il contratto era stato stipulato ai sensi dell’art. 22 C.C.N.L. Comparto Ministeri 1998/2001, comma 4, che prevedeva una durata minima garantita in favore del solo lavoratore e non attribuiva al datore di lavoro pubblico il diritto potestativo di ripristinare unilateralmente il rapporto a tempo pieno;

3. il giudice d’appello ha aggiunto che il Ministero, al fine di giustificare il diniego opposto alla prosecuzione del part-time, non poteva invocare nè il D.L. n. 112 del 2008, art. 73, non applicabile ai contratti a tempo parziale in corso, nè l’art. 43 CCNI 13 luglio 2001, in quanto in sede di contrattazione integrativa non potevano essere dettate disposizioni in contrasto con la disciplina stabilita dal C.C.N.L. già operativo ed efficace;

4. per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Ministero per i Beni e le Attività Culturali sulla base di due motivi, ai quali S.C. ha resistito con tempestivo controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. il primo motivo del ricorso denuncia “vizio ex art. 360 c.p.c., n. 3: violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c.” perchè la Corte territoriale avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello;

1.1. il Ministero ricorrente rileva al riguardo che in sede di gravame la S. si era limitata a riproporre le difese formulate nel giudizio di primo grado, senza indicare le parti della sentenza impugnata e le modifiche richieste alla ricostruzione in fatto ed in diritto;

2. la seconda censura, formulata sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, addebita alla sentenza impugnata la violazione e falsa applicazione dell’art. 43 C.C.I. 13 luglio 2001, comma 6, con il quale era stato previsto che “i contratti di part-time hanno ordinariamente durata biennale e possono essere tacitamente prorogati salvo disdetta di una delle parti”;

2.1. ad avviso del Ministero il contratto integrativo avrebbe meglio precisato la disciplina dettata dal contratto nazionale, prevedendo la natura a tempo determinato del contratto di part-time ed attribuendo ad entrambe le parti del rapporto la facoltà di non rinnovarlo alla scadenza;

3. il ricorso è inammissibile in tutte le sue articolazioni;

4. anche qualora il ricorrente prospetti un error in procedendo, rispetto al quale la Corte di Cassazione è giudice del “fatto processuale”, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito presuppone l’ammissibilità della censura ex art. 366 c.p.c., sicchè la parte non è dispensata dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, di indicare in modo egualmente specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti (fra le più recenti Cass. 4.7.2014 n. 15367, Cass. 10.11.2011 n. 23420 e con riferimento alla questione della inammissibilità dell’appello Cass. 20.7.2012 n. 12664 e Cass. 10.1.2012 n. 86);

4.1. il ricorrente, pertanto, ove censuri la statuizione relativa alla ritenuta infondatezza dell’eccezione di inammissibilità dell’appello per difetto di specificità, non può limitarsi a richiamare le ragioni di diritto poste a fondamento della censura, ma ha l’onere di riportare il contenuto degli atti processuali rilevanti, nella misura necessaria ad evidenziare la pretesa assenza di specificità dell’impugnazione;

4.2. nel caso di specie il Ministero, anche a voler prescindere dall’errata formulazione della rubrica e dall’erroneo richiamo dell’art. 342 c.p.c., anzichè dell’art. 434 c.p.c., ha omesso, sia di individuare e riportare le statuizioni della sentenza di prime cure, rispetto alle quali i motivi proposti risulterebbero privi di specificità, sia di trascrivere nelle parti rilevanti il contenuto dell’atto di appello, così impedendo alla Corte, in difetto della compiuta descrizione del fatto processuale, di procedere alla preliminare verifica sulla rilevanza e decisività del vizio denunciato;

5. parimenti inammissibile è il secondo motivo, alla luce della giurisprudenza di questa Corte consolidata nell’affermare che, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 63 e dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, la denuncia della violazione e falsa applicazione dei contratti collettivi di lavoro è ammessa solo con riferimento a quelli di carattere nazionale, per i quali è previsto il particolare regime di pubblicità di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8, mentre i contratti integrativi, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dal contratto nazionale, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, se pure parametrati al territorio nazionale in ragione dell’amministrazione interessata, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto, con la conseguenza che la loro interpretazione è riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizio di motivazione, nei limiti fissati dall’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile ratione temporis (Cass. 19.3.2004 n. 5565; Cass. 22.9.2006 n. 20599; Cass. 5.12.2008 n. 28859; Cass. 19.3.2010 n. 6748; Cass. 25.6.2013 n. 15934; Cass. 14.3.2016 n. 4921);

5.1. a detti contratti non si estende, inoltre, il particolare regime di pubblicità di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47,comma 8, sicchè, venendo in rilievo gli oneri di specificazione e di allegazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 e art. 369 c.p.c., n. 4, il ricorrente è tenuto a depositarli, a fornire precise indicazioni sulle modalità e sui tempi della produzione nel giudizio di merito, a trascrivere nel ricorso le clausole che si assumono erroneamente interpretate dalla Corte territoriale (si rimanda, fra le più recenti, a Cass. nn. 7981, 7216, 6038, 2709, 95 del 2018);

5.2. nel caso di specie detti oneri non sono stati assolti ed inoltre il Ministero, nell’escludere il contrasto della contrattazione integrativa con quella nazionale, ritenuto, invece, dalla Corte territoriale, non ha individuato ed indicato le norme di ermeneutica contrattuale da quest’ultima in ipotesi violate;

6. alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo;

6.1. non sussistono le condizioni di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, perchè la norma non può trovare applicazione nei confronti di quelle parti che, come le Amministrazioni dello Stato, mediante il meccanismo della prenotazione a debito siano istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo (Cass. S.U. n. 9938/2014; Cass. n. 1778/2016; Cass. n. 28250/2017).

P.Q.M.

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.000,00 per competenze professionali, oltre rimborso spese generali del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 24 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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