Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3331 del 10/02/2021

Cassazione civile sez. II, 10/02/2021, (ud. 09/10/2020, dep. 10/02/2021), n.3331

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – rel. Presidente –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24046-2019 proposto da:

T.N., rappresentato e difeso dall’avvocato LORENZO TRUCCO,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente –

nonchè contro

PROCURA GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE SUPREMA DI

CASSAZIONE;

– intimata –

avverso la sentenza n. 217/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 05/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

09/10/2020 dal Presidente Dott. FELICE MANNA.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

T.N., cittadino del (OMISSIS), nato nel (OMISSIS) e vissuto nella regione di (OMISSIS), proponeva ricorso innanzi al Tribunale di Brescia avverso la decisione della locale Commissione territoriale, che aveva respinto la sua richiesta di protezione internazionale o umanitaria. A sostegno della domanda deduceva di aver lasciato il (OMISSIS) in quanto, deceduti i suoi genitori, non poteva restare a vivere con i fratelli o le sorelle, variamenti impegnati nella loro vita, per di più nel contesto di un Paese, come il suo, altamente insicuro.

Il Tribunale rigettava la domanda.

L’appello proposto dal richiedente era del pari respinto dalla Corte distrettuale di Brescia con sentenza n. 217/19. La quale osservava che nei fatti narrati non era isolabile alcun elemento di persecuzione, pubblica o privata, idonea a fondare la protezione internazionale richiesta. Premesso che la domanda dovesse essere esaminata alla luce delle informazioni relative al (OMISSIS), Paese d’origine del richiedente, e non alla Libia, Paese di solo transito, la Corte territoriale escludeva che nella regione di provenienza del richiedente fossero segnalati conflitti o scontri armati, questi ultimi essendo localizzabili solo nel nord del (OMISSIS); e che, quanto alla richiesta protezione umanitaria, in difetto di situazioni personali di vulnerabilità il solo percorso di integrazione in ambito Caritas non fosse tale, in comparazione con la situazione personale di lui nel Paese d’origine, da far ritenere che il suo rientro nel (OMISSIS) lo privasse del godimento dei diritti fondamentali.

Avverso detta pronuncia il richiedente propone ricorso per cassazione affidato a due motivi.

Il Ministero dell’Interno ha depositato un “atto di costituzione”, in vista dell’eventuale discussione orale del ricorso.

Il quale ultimo è stato avviato alla trattazione camerale ex art. 380-bis.1. c.p.c.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il primo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. h) e c) e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 sia perchè sarebbe priva di fondamento giuridico la ritenuta irrilevanza della situazione del Paese di transito, sia in quanto la situazione di instabilità e l’attività di guerriglia si sarebbe estesa dal nord all’intero territorio del (OMISSIS), come risultante da fonti qualificate.

1.1. – Il motivo è infondato in entrambe le censure in cui si articola.

Quanto alla prima, va ricordato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte Suprema, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, impone al giudice del merito di valutare la domanda alla luce di informazioni precise ed aggiornate circa la situazione esistente nel Paese di origine del richiedente e “ove occorra” nel Paese in cui è transitato, allorchè l’esperienza vissuta in quest’ultimo presenti un certo grado di significatività in relazione ad indici specifici quali la durata in concreto del soggiorno, in comparazione con il tempo trascorso nel Paese di origine (v. n. 13758/20); ovvero nel caso in cui – peraltro rilevante, di regola, solo ai fini della protezione umanitaria – il richiedente abbia subito nel Paese di transito violenze potenzialmente idonee, quali eventi in grado di ingenerare un forte grado di traumaticità, ad incidere sulla condizione di vulnerabilità della persona (v. nn. 13565/20 e 13096/19). Circostanze di fatto, entrambe, che parte ricorrente non dimostra di aver dedotto in maniera specifica nelle fasi di merito (v. pag. 2 del ricorso, ove si enuncia, senza alcun’altra precisazione, che il richiedente, giunto in Libia e rimastovi per un lungo periodo di tempo, sarebbe stato “sottoposto a trattamenti disumani”). Nè, infine, varrebbe sostenere il carattere notorio delle persistenti situazioni di pericolo e di disagio in Libia, per quanti vi giungano dall’Africa sub-sahariana in vista ed in cerca di un transito per l’Europa, poichè il carattere eminentemente individualizzato della protezione internazionale (salvo l’ipotesi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) ed umanitaria sottrae valenza a nozioni che – come la generale situazione di un Paese – ne prescindano.

Riguardo alla seconda, proprio in base alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione Europea citata nel ricorso (causa C-465/07, sentenza 17 febbraio 2009, Elgafaji, e causa C-285/12, sentenza 30 gennaio 2014, Diakitè), ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria. Il grado di violenza indiscriminata deve aver pertanto raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (così Cass. nn. 18306/19, 9090/19 e 13858/18).

Pertanto, affinchè sia integrabile la situazione di violenza indiscriminata che legittima la protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. C non basta una situazione di instabilità politica più o meno accentuata, questa non equivalendo a quella. La ricorrenza della quale nel caso singolo costituisce, poi, oggetto di un apprezzamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità.

2. – Col secondo mezzo è dedotta la violazione e/o – erronea applicazione”, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, del T.U. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 10 Cost., comma 3. Assume parte ricorrente che la Corte distrettuale avrebbe illegittimamente sovrapposto la protezione umanitaria a quella sussidiaria e al diritto d’asilo, non considerando il carattere particolarmente ampio e non eccezionale della prima, prevista a tutela del diritto alla vita privata e familiare garantito dall’art. 8 CEDU. E lamenta, infine, il carattere puramente tautologico dell’esito negativo del giudizio di comparazione operato dai giudici di merito tra la situazione del richiedente in Italia e quella in caso di rientro di lui nel Paese di provenienza.

2.1. – Anche tale motivo non ha pregio.

Non diversamente da quanto esigibile per qualsivoglia altra violazione di legge, anche in materia occorre che il ricorrente non si limiti ad enunciare e commentare la norma asseritamente violata, ma indichi in maniera specifica le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (giurisprudenza costante di questa Corte, a partire dalla n. 16132/05 fino alla n. 4075/19).

Dimostrazione, nella specie, del tutto mancata, visto che parte ricorrente critica non già una data affermazione in diritto, ma l’esito finale della decisione, senza neppure allegare di aver dedotto l’esistenza di una causa di vulnerabilità soggettiva tra quelle elencate dal T.U. n. 286 del 1998, art. 19 o ad ogni modo a queste riconducibili.

Quanto, infine, al giudizio di comparazione, che nella specie parte ricorrente lamenta affetto da una sostanziale apoditticità, deve osservarsi che esso presuppone pur sempre la vulnerabilità del richiedente. Questa ricorre in presenza di alcuna delle condizioni di cui al T.U. n. 286 del 1998, art. 19 ovvero nell’ipotesi della c.d. vulnerabilità di ritorno, quale risultato, cioè, di un raggiunto livello di integrazione nel Paese di accoglienza che, rapportato a quello che il richiedente ritroverebbe nel Paese d’origine, faccia prevedere a carico di lui la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale (cfr. n. 4455/18). Solo in presenza di elementi di un’effettiva integrazione tale giudizio comparativo ha ragion d’essere. Ne deriva che, nella specie, non avendo la Corte d’appello rilevato altro che “un percorso di integrazione in ambito Caritas” da parte del richiedente, e dunque una situazione ancora iniziale, debitrice di un’istituzione di accoglienza e tale, pertanto, da non poter configurare un radicamento in Italia, non vi erano neppure le condizioni per effettuare la ridetta comparazione.

3. – In conclusione il ricorso va respinto.

4. – Nulla per le spese, non essendo il deposito da parte dell’Avvocatura dello Stato di un mero “atto di costituzione” equiparabile alla notifica di un controricorso avente i requisiti di cui all’art. 370 c.p.c.

5. – Ricorrono i presupposti processuali per il raddoppio, a carico del ricorrente, del contributo unificato, se dovuto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Sussistono a carico del ricorrente i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 9 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2021

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