Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33305 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 21/12/2018, (ud. 18/09/2018, dep. 21/12/2018), n.33305

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11002-2017 proposto da:

P.A.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMILIO

DE’ CAVALIERI 11, presso lo studio dell’avvocato MARIO MELILLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato PASQUALE SALVEMINI come da

procura in atti;

– ricorrenti –

contro

SOC. DAUNIA MEDICA SPA, in persona dell’amministratore delegato dott.

P.F.P.S., elettivamente domiciliata in TURI

(BA), VIA CISTERNINO, 29, presso lo studio degli avvocati DI PINTO

DONATO e CASTRIOTTA RAFFAELE che la rappresentano e difendono come

da procura in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2207/2016 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 26/10/2016 R.G.N. 568/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

18/09/2018 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETICH;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.

SANLORENZO RITA, che ha concluso per inammissibilità, rigetto;

udito l’Avvocato MARIO MELILLO per delega verbale Avvocato PASQUALE

SALVEMINI;

udito l’Avvocato PASQUALE GENTILE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 2207 depositata il 26.10.2016 la Corte di appello di Bari, in riforma della pronuncia del Tribunale di Foggia, ha respinto la domanda di P.A.L. proposta per la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato dalla società La Daunia Medica s.p.a., in data (OMISSIS), nell’ambito di una procedura di mobilità.

2. La Corte distrettuale, alla luce del tenore complessivo del ricorso introduttivo del giudizio, ha ritenuto impugnato dalla lavoratrice esclusivamente il profilo concernente la mancata contestualità tra comunicazione di recesso e conclusione dell’accordo sindacale intervenuto nell’ambito della procedura L. n. 223 del 1991, ex art. 4, (senza alcun riferimento comparativo alla comunicazione alle organizzazioni sindacali, all’ufficio regionale del lavoro e alla Commissione regionale per l’impiego), motivo privo di rilevanza normativa e, conseguentemente, determinante il rigetto della domanda.

3. Per la cassazione della sentenza impugnata la lavoratrice propone ricorso fondato su due motivi. La società oppone difese con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

4. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denunzia violazione degli artt. 99,112,420,421,434 e 437 c.p.c., artt. 24 e 111 Cost., art. 6 CEDU, L. n. 223 del 1991, art. 4, nonchè vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5) avendo, la Corte territoriale, erroneamente ritenuto impugnato esclusivamente la mancata contestualità tra recesso e conclusione dell’accordo sindacale (e non tra recesso e comunicazioni alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi territoriali), diversamente da quanto emergeva dal contenuto sostanziale della pretesa fatta valere nel ricorso introduttivo del giudizio (di cui vengono riportati ampi stralci), pur dovendosi convenire sulla ricorrenza di un “mero errore materiale o meglio di un refuso dell’originaria stesura dell’atto di ricorso, che nulla toglie alla comprensione del ricorso stesso”. Rileva che la questione era pacifica tra le parti e riporta stralcio della memoria di costituzione della società.

5. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, art. 111 Cost. nonchè vizio di motivazione (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5) avendo, la Corte territoriale, errato nel ritenere comunque inviati, contestualmente alla comunicazione di recesso, gli avvisi alle organizzazioni sindacali e agli organi territorialmente competenti di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9.

6. Il primo motivo di ricorso è infondato.

Questa Corte ha ripetutamente affermato che il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale (da ultimo, Cass. n. 118 del 2016, Cass. n. 23794 del 2011);

Con particolare riguardo al rito del lavoro, questa Corte ha precisato che l’esame del ricorso deve riguardare, ai fini dell’interpretazione della domanda, la valutazione complessiva dell’atto; ove, tuttavia, difetti una chiara omogeneità delle allegazioni esposte nel contenuto complessivo del ricorso stesso rispetto alla domanda formulata nelle conclusioni, espressamente e senza condizioni circoscritte, il giudice non può d’ufficio, in contrasto con l’art. 112 c.p.c., pronunciarsi in difformità, tenuto altresì conto dei criteri di preclusioni e decadenze nonchè di oralità, immediatezza e concentrazione che caratterizzano il processo del lavoro (Cass. n. 11631 del 2018; sul rigore dei rispettivi oneri di allegazione e deduzione cfr. Cass. S.U. n. 8202 del 200).

L’interpretazione della domanda è compito del giudice di merito e implica valutazioni di fatto che la Corte di Cassazione – così come avviene per ogni operazione ermeneutica – ha il potere di controllare soltanto sotto il profilo della giuridica correttezza del relativo procedimento e della logicità del suo esito (Cass. n. 20727 del 2013; Cass. n. 22893 del 2008; Cass. n. 2217 del 2007; Cass. n. 3528 del 2005), ed il risultato di tale operazione non è sindacabile in sede di giudizio di legittimità se congruamente motivato.

Ebbene, la ricorrente, pur riproducendo le allegazioni contenute in diverse pagine del ricorso introduttivo, non dimostra di aver sottoposto al giudice la comparazione tra data del recesso (ricevuta il (OMISSIS)) e data della comunicazione alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi territoriali competenti (riferimento cronologico che non è minimamente accennato, nemmeno in senso negativo ossia con riguardo al mancato invio) ai fini della valutazione sulla contestualità delle comunicazioni (richiesta dalla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9).

Invero, al di là della copiosa citazione di arresti giurisprudenziali di legittimità, il ricorso introduttivo del giudizio non contiene il dato fattuale (che deve essere oggetto di allegazione, al fine di consentire alla controparte, ai sensi dell’art. 416 c.p.c., una specifica contestazione, cfr. Cass. S.U. n. 11353 del 2004 e, successivamente, Cass. n. 1878 del 2012 e Cass. n. 22738 del 2013) necessario al fine della comparazione richiesta dall’art. 4, comma 9, citato, lamentando – la parte – che “la comunicazione del recesso non è stata contestuale alle altre comunicazioni essendo stata inviata ben 5 mesi dopo la conclusione della procedura di mobilità avvenuta con l’accordo sindacale dell’11.7.2011” e facendo, dunque, chiaramente intendere che la censura atteneva alla comparazione tra comunicazione del licenziamento e accordo sindacale intervenuto nel corso del procedimento di avvio della mobilità.

La Corte territoriale ha, dunque, correttamente evidenziato che non risultava contestata alcuna difformità temporale tra comunicazione del recesso e comunicazione all’Ufficio regionale e alle associazioni di categoria non risultando detta circostanza espressa nell’atto introduttivo del giudizio.

Nè, infine, le lacune del ricorso introduttivo del giudizio possono essere sanate dall’accettazione del contraddittorio ad opera della controparte sussistendo, nel processo del lavoro, una circolarità – ben determinata – tra oneri di allegazione, oneri di contestazione ed oneri di prova, donde l’impossibilità di contestare o richiedere prova – oltre i termini preclusivi stabiliti dal codice di rito – su fatti non allegati nonchè su circostanze che, pur configurandosi come presupposti o elementi condizionanti il diritto azionato, non siano state esplicitate in modo espresso e specifico nel ricorso introduttivo (Cass. S.U. n. 11353 del 2004).

7. Il secondo motivo – che peraltro presenta profili di inammissibilità attenendo all’accertamento in fatto della data di invio delle comunicazioni agli organi amministrativi di cui alla L. n. 223 del 1991, art. 4, comma 9, circostanza comunque esaminata dalla Corte territoriale – è assorbito dalla confermata carenza di domanda in ordine alla comparazione tra recesso e comunicazione alle organizzazioni sindacali e agli organi amministrativi territoriali.

8. Alla luce delle considerazioni esposte il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c..

9. Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre alle spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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