Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33302 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 21/12/2018, (ud. 10/05/2018, dep. 21/12/2018), n.33302

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26545-2013 proposto da:

M.L., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA PAOLA FALCONIERI 55, presso lo studio dell’avvocato AUGUSTA

MASSIMA CUCINA, che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO ISTRUZIONE UNIVERSITA’ RICERCA, P.IVA (OMISSIS), in persona

del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI

12, presso AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis (atto di costituzione del 23/1/2014);

– resistente con mandato –

e contro

AZIENDA POLICLINICO UMBERTO I, in persona del legale rappresentante

pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DEL POLICLINCO

155, presso Ufficio Affari Legali e contenzioso dell’Azienda,

rappresentata e difesa dagli avvocati ALESSIA ALESII e PAOLA BAGLIO,

giusta procura speciale Notarile in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2666/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 20/05/2013, R. G. N. 1916/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/05/2018 dal Consigliere Dott. ALFONSINA DE FELICE;

udito l’Avvocato AUGUSTA MASSIMA CUCINA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale, Dott.

MASTROBERARDINO PAOLA, che ha concluso per l’inammissibilità del 1^

e 2^ motivo del ricorso, assorbimento nel resto.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Roma, a conferma della pronuncia del Tribunale, ha dichiarato inammissibile il ricorso di M.L., funzionaria dell’Università degli Studi “La Sapienza”, inquadrata nel profilo professionale D4, in servizio presso l’Azienda sanitaria “Policlinico Umberto I”, Dipartimento di Anatomia Patologica, con cui la stessa chiedeva di essere equiparata dal (OMISSIS) alla dirigenza sanitaria.

La Corte territoriale ha ritenuto che l’appello fosse viziato da aspecificità ai sensi dell’art. 434 c.p.c., il quale impone l’indicazione, nell’atto introduttivo, dei motivi specifici di impugnazione, non avendo la difesa della lavoratrice esposto alcun argomento diverso da quelli prospettati nel giudizio di primo grado, nè avendo in alcun modo confutato la motivazione della sentenza impugnata, che aveva analizzato tutte le deduzioni esposte dalla ricorrente nei suoi atti difensivi.

Per la cassazione della sentenza ricorre M.L. con due censure, cui resiste con tempestivo controricorso l’Azienda Policlinico Umberto I, mentre l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” resta intimata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con la prima censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si lamenta “Falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c., (principio della specificità dei motivi); dell’art. 121 c.p.c., (principio della libertà della forme) e dell’art. 156 c.p.c., (principio di prevalenza della sostanza sulla forma)”. Parte ricorrente afferma che con l’atto di gravame avrebbe inteso contestare la sentenza nella sua globalità; avrebbe effettuato, inoltre, un’esposizione sommaria dei fatti al fine di porre in risalto gli aspetti su cui il Tribunale aveva omesso di statuire: in particolare in merito alla dedotta violazione del principio di parità di trattamento, perpetrata in danno della ricorrente. Ha eccepito, pertanto, che, stante la completezza dell’atto di gravame in rapporto ai requisiti previsti dall’art. 434 c.p.c., ritenendo violato lo stesso, la Corte territoriale avrebbe operato una falsa applicazione della predetta disposizione.

Con la seconda censura, formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, si contesta “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., (principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato)”. Si ritiene che la sentenza impugnata basando il rigetto della domanda dell’appellante su una presunta genericità del gravame, abbia motivato in modo liquidatorio, trascurando che la domanda di parte ricorrente era volta a scardinare il fondamento logico-giuridico della pronuncia di prime cure, e, in particolare, a sentir accertare la disparità di trattamento subita a opera del comportamento dell’Azienda sanitaria Policlinico “Umberto I”.

I motivi, che vanno esaminati congiuntamente per connessione, sono inammissibili.

Il punto centrale su cui si fondano le critiche della ricorrente è dato dalla portata del carattere devolutivo del mezzo di gravame, nei cui riguardi vale il significato che questa Corte vi attribuisce: “In tema di giudizio di appello – che non è un iudicium novum ma una revisio prioris instantiae – il requisito della specificità dei motivi dettato dall’art. 342 c.p.c., (nel testo applicabile ratione temporis anteriore alle modifiche apportategli dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. a), conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012), esige che, alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, vengano contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinarne il fondamento logico giuridico, ciò risolvendosi in una valutazione del fatto processuale che impone una verifica in concreto, ispirata ad un principio di simmetria e condotta alla luce del raffronto tra la motivazione del provvedimento appellato e la formulazione dell’atto di gravame, nel senso che quanto più approfondite e dettagliate risultino le argomentazioni del primo, tanto più puntuali devono profilarsi quelle utilizzate nel secondo per confutare l’impianto motivazionale de; Giudice di prime cure.” (Cass. n. 4695/2017)

La sentenza gravata ha fatto corretta applicazione dei principi sopra richiamati, avendo accertato che nell’atto introduttivo del giudizio “…I motivi di appello coincidono letteralmente con i motivi in base ai quali, in primo grado, era stato chiesto l’accoglimento delle domande avanzate in ricorso. Nessun argomento nuovo viene esposto per confutare la motivazione della sentenza impugnata che pure aveva preso analiticamente in considerazione, confutandole, tutte le deduzioni esposte dalla ricorrente sia nel ricorso introduttivo del giudizio, sia nelle note autorizzate” (p. 3 sent.).

L’unico elemento di novità contenuto nell’atto di appello, secondo la Corte territoriale, potrebbe essere il riferimento al divieto di porre in essere trattamenti ingiustificatamente differenziati, sebbene la Corte d’Appello, abbia ritenuto che la deduzione fosse inidonea a scardinare l’impianto argomentativo della sentenza impugnata, in quanto anche il nuovo inquadramento giuridico del personale dipendente delle Università funzionalmente assegnato al Servizio sanitario Nazionale, operato dal c.c.n.l. della Sanità 2002- 2005 non avrebbe potuto che essere pienamente rispettoso del principio richiamato, in quanto di portata generale, ed esteso al settore dell’impiego pubblico, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 45.

In conclusione, la ricorrente avrebbe dovuto contrastare la censura di aspecificità del motivo d’appello con ben altre e più circostanziate contestazioni, rispetto al contenuto delle prospettazioni formulate con il ricorso.

Omettendo, peraltro, di trascrivere la sentenza di primo grado e l’atto introduttivo dell’appello, parte ricorrente non pone questa Corte in condizione di cogliere appieno il significato delle censure, sì come rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti e atti del processo, il che rende il ricorso inammissibile per mancanza di autosufficienza.

Secondo il pacifico orientamento di legittimità, “…nell’esposizione del fatto processuale il ricorrente è tenuto ad agevolare la comprensione delle motivazioni della sentenza impugnata e a dimostrare, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti, in qual modo determinate affermazioni di diritto contenute nella decisione censurata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità.” (così da ultimo, Cass. n. 18960/2017).

In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese, come liquidate in dispositivo nei confronti dell’Azienda Sanitaria “Policlinico Umberto I”, seguono la soccombenza. Non si provvede sulle spese nei confronti dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” in assenza di attività difensiva da parte di quest’ultima.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso nei confronti dell’Azienda sanitaria “Policlinico Umberto I” delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4000 per compensi professionali, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200 e agli accessori di legge. Nulla spese nei confronti dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 10 maggio 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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