Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33299 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 21/12/2018, (ud. 13/12/2017, dep. 21/12/2018), n.33299

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3122-2013 proposto da:

D.A., c.f (OMISSIS), ettivamonte domiciliato in ROMA, VIA

FLAMINIA 109, presso lo studio degli avvocati BIAGIO BERTOLONE,

CORRADO DE GREGORIO che lo rappresentano e difendono, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

F.F. & C. S.N.C., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

BERING 16, presso lo studio dell’avvocato ROBERTO IMPERATO (STUDIO

VOLPE), che la rappresenta e difende giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 13/2012 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI SEZ.

DIST. DI SASSARI, depositata il 03/02/2012 R.G.N. 200/2011.

Fatto

RILEVATO

che la Corte di Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, con sentenza depositata in data 3.2.2012, ha respinto il gravame interposto da D.A., nei confronti di F.F. & C. s.n.c., avverso la sentenza del Tribunale di Sassari che aveva rigettato il ricorso proposto dalla D., diretto ad ottenere la condanna della parte resistente al pagamento, in favore della stessa D. – agente di commercio con l’incarico di promuovere, per conto della F. S.n.c., la conclusione di contratti per la vendita di prodotti commercializzati dalla stessa società in (OMISSIS) -, delle indennità di risoluzione del rapporto, di clientela, di mancato preavviso e delle ulteriori indennità previste dal CCNL Agenti e Rappresentanti del settore commercio, così come indicate nel conteggio prodotto;

che per la cassazione della sentenza ricorre la D. articolando un motivo contenente più censure;

che la F.F. & C. S.n.c. ha resistito con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste.

Diritto

CONSIDERATO

che con l’unico motivo articolato si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 1751 c.c. e degli artt. 11 e 12 A.E.C. 26.2.2002 e degli artt. 112 e 414 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonchè “la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5” ed in particolare si lamenta che la sentenza impugnata abbia disconosciuto il diritto della ricorrente alla liquidazione della residua somma richiesta a titolo di indennità di cessazione del rapporto nelle componenti minimali (indennità di risoluzione del rapporto FIRR ed indennità suppletiva di clientela) fissate dall’art. 12 A.E.C. 26.2.2002; si deduce, inoltre, che allorchè, come nella fattispecie, il preponente receda dal rapporto di agenzia, l’agente ha diritto ad una indennità comunque non superiore alla media annuale delle retribuzioni riscosse, se lo stesso ha procurato nuovi clienti o ha sviluppato gli affari con i clienti ogniqualvolta tale pagamento sia equo, con particolare riferimento alle provvigioni che l’agente perde in relazione agli affari con i clienti ex art. 1751 c.c., ed in difetto, ha diritto alla liquidazione di tale indennità nei parametri stabiliti dagli A.E.C., i quali fissano, appunto, un minimo da corrispondere sempre e comunque all’agente quando non ricorrono i presupposti meritocratici fissati dall’art. 1751 c.c.; della qual cosa, a parere della ricorrente, i giudici di seconda istanza non avrebbero fatto corretta applicazione;

che il motivo non può essere accolto. Ed invero, perchè possa utilmente dedursi in sede di legittimità la violazione dell’art. 112 c.p.c. – fattispecie riconducibile ad una ipotesi di error in procedendo ex art. 360 c.p.c., n. 4, -sotto il profilo della mancata corrispondenza tra il chiesto ed il pronunziato, deve prospettarsi, in concreto, l’omesso esame di una domanda o la pronunzia su una domanda non proposta (cfr., tra le molte, Cass. nn. 13482/2014; 9108/2012; 7932/2012; 20373/2008); ipotesi, queste, che non si profilano nel caso di specie, in cui i giudici di seconda istanza, ricostruita correttamente l’ipotesi fattuale di cui si tratta, conformemente alla decisione del primo giudice, hanno motivatamente respinto le doglianze formulate dalla D., sottolineando che tali doglianze attenevano, in sostanza, al rigetto della domanda volta alla liquidazione delle indennità di fine rapporto rilevanti ai sensi dell’art. 1751 c.c., e che, inoltre, il rigetto del gravame anche con riferimento all’A.E.C. del 26.2.2002 era conseguenza del fatto che quest’ultimo, in riferimento alle indennità di fine rapporto, non era stato posto a sostegno della pretesa della ricorrente che, in sede di appello, non ha mai richiesto l’applicazione dell’Accordo nazionale degli Agenti (e, del resto, la D. non ha trascritto tali motivi, nè ha indicato quali sarebbero stati i punti non vagliati dalla Corte di seconda istanza: e ciò, in violazione dell’art. 366 codice di rito, comma 1, n. 6, che pone a carico del ricorrente l’onere di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza, al fine di renderne possibile l’esame e di dare modo alla Corte di controllare ex actis la veridicità delle asserzioni addotte: Cass., S.U., nn. 16887/2013; 7161/2010; Cass. nn. 8569/2013; 1435/2013; 15628/2009);

che, come è noto, l’art. 1751 c.c., collega la liquidazione delle indennità per cessazione del rapporto di agenzia al verificarsi di quelle condizioni che possano rendere evidente il vantaggio, in termini economici e di impresa, che il preponente abbia ricevuto all’esito del lavoro dell’agente; vantaggio che, nel caso di specie, non si è verificato, come motivatamente osservato dai giudici di merito all’esito delle delibazioni istruttorie (v., in particolare, pagg. 4 e 5 della sentenza oggetto del presente giudizio);

che, pertanto, in carenza dei presupposti previsti dall’art. 1751 c.c., l’appello della D. è stato correttamente disatteso;

che, quanto alla denunciata violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, va ribadito che i difetti di omissione e di insufficienza della motivazione sono configurabili solo quando, dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza oggetto del giudizio, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando si evinca l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito finalizzata ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di cassazione (cfr., ex plurimis, Cass., S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 14541/2014);

che, nel caso di specie, i giudici di seconda istanza, attraverso un percorso motivazionale condivisibile sotto il profilo logico-giuridico, sono pervenuti alla decisione oggetto del presente giudizio, dopo aver analiticamente vagliato, come innanzi osservato, le risultanze dell’istruttoria espletata in primo grado, argomentando correttamente in ordine al procedimento di sussunzione che viene, in questa sede, censurato con doglianze che si risolvono in considerazioni di fatto sfornite di qualsiasi deduzione probatoria, poichè mancano della focalizzazione del momento di conflitto, rispetto alle critiche sollevate, dell’accertamento operato dai giudici di merito (cfr., Cass. nn. 24374/2015; 80/2011);

che per tutto quanto in precedenza esposto, il ricorso va rigettato;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 13 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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