Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33296 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. lav., 21/12/2018, (ud. 18/10/2017, dep. 21/12/2018), n.33296

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Fabrizio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25924-2012 proposto da:

M.I., C.F. (OMISSIS), domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e

difesa dall’avvocato VINCENZO DI PALMA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

LUIGI GIUSEPPE FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO

MARESCA, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2452/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 19/04/2012 R.G.N. 10171/2009.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza depositata in data 19.4.2012, la Corte di Appello di Roma ha respinto il gravame interposto da M.I. avverso la pronunzia del Tribunale della stessa sede con la quale era stata rigettata la domanda della medesima, diretta ad ottenere la dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto stipulato con Poste Italiane S.p.A. ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, così come modificato dalla L. n. 266 del 2005, relativamente al periodo (OMISSIS), nonchè la riassunzione in servizio ed il risarcimento del danno;

che avverso tale decisione la lavoratrice ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi;

che Poste Italiane S.p.A. ha resistito con controricorso;

che il P.G. non ha formulato richieste;

che sono state depositate memorie nell’interesse della società.

Diritto

CONSIDERATO

che con il ricorso per cassazione si censura: 1) la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 ed in particolare si sostiene che i giudici di seconda istanza avrebbero dovuto dichiarare la nullità del termine apposto al contratto di cui si tratta, poichè la società, come sottolineato dalla lavoratrice nei due gradi di merito, avrebbe omesso di esplicitare la causale, violando il disposto di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, comunque applicabile, a parere della ricorrente, alla fattispecie; 2) ancora, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e si lamenta che la Corte di merito avrebbe erroneamente ritenuto applicabile la predetta norma anche in un settore, quale quello in cui era inserita la M. che svolgeva mansioni di sportellista addetta al servizio bancoposta -, non rientrante specificamente nei servizi postali, i soli rispetto ai quali, a parere della ricorrente, opererebbe “l’esenzione in favore della società concessionaria”; 3) la falsa ed erronea applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, nonchè la contraddittoria ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, costituito dal mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sulla società circa il rispetto della clausola di contingentamento; in particolare, si lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto che la società datrice avesse assolto all’onere probatorio inerente al rispetto del 15% dell’organico aziendale delle assunzioni a termine consentite, con la produzione in giudizio di un prospetto nel quale era riportato il numero di lavoratori della società in organico sul territorio nazionale, nonchè il numero dei contratti a termine stipulati nell’anno (OMISSIS); 4) la falsa ed errata applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, in relazione al rispetto della clausola di contingentamento; tale motivo, che, palesemente, attiene ad una violazione di legge, viene, invece, articolato in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e con esso si deduce che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte di Appello, la società avrebbe violato la clausola di contingentamento, non avendo provato che il limite percentuale era stato rispettato, oltre che con riferimento all’ambito territoriale anche con riferimento all’ambito delle mansioni svolte dalla lavoratrice;

che i primi due motivi – da esaminare congiuntamente per evidenti ragioni di connessione – sono infondati: al riguardo, è, innanzitutto, da premettere che le assunzioni a tempo determinato, effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti specificati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, (per Poste italiane S.p.A. ex lege), non necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi del medesimo D.Lgs., art. 1, comma 1, trattandosi di ambito nel quale la valutazione sulla sussistenza della giustificazione è stata operata “ex ante” direttamente dal legislatore (Cass., S.U., n. 11374/2016; v., pure, Cass. nn. 13359/2016; 3059/2017);

che i contratti di lavoro a tempo determinato stipulati con Poste Italiane S.p.A., ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2,comma 1-bis e successive modifiche, sono, pertanto, conformi alla disciplina del contratto a tempo determinato dettata dal D.Lgs. n. 368 del 2001, applicabile ratione temporis;

che, nel caso di cui si tratta, non risulta alcuna violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, neppure con riguardo alla censura sollevata nel secondo motivo: è assorbente al riguardo il richiamo a Cass. n. 13609/2015 (v., pure, in termini, Cass. n. 6765/2017), per la quale “in tema di contratto di lavoro a tempo determinato, il D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, fa riferimento esclusivamente alla tipologia di imprese presso cui avviene l’assunzione – quelle concessionarie di servizi e settori delle poste – e non anche alle mansioni del lavoratore assunto, in coerenza con la ratio della disposizione, ritenuta legittima dalla Corte costituzionale con sentenza n. 214 del 2009, individuata nella possibilità di assicurare al meglio lo svolgimento del c.d. servizio universale postale, ai sensi del D.Lgs. n. 261 del 1999, art. 1,comma 1, di attuazione della direttiva 1997/67/CE, mediante il riconoscimento di una certa flessibilità nel ricorso allo strumento del contratto a tempo determinato, pur sempre nel rispetto delle condizioni inderogabilmente fissate dal legislatore. Ne consegue che al fine di fissare la legittimità del termine apposto alla prestazione di lavoro, si deve tenere conto unicamente dei profili temporali e percentuali (sull’organico aziendale) previsti dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2,comma 1-bis”;

che la sentenza oggetto del presente giudizio risulta del tutto in linea con l’esplicitato orientamento, ormai consolidato e del tutto condiviso da questo Collegio;

che, ai fini di valutare la legittimità del termine apposto alla prestazione di lavoro, in tale tipologia di contratti, si deve tenere conto, quindi, unicamente dei profili temporali e percentuali (sull’organico aziendale) previsti dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis: problematiche, queste, che non sono state poste (quanto al primo profilo) o sono state prese per la prima volta in considerazione (quanto al secondo profilo) nel presente giudizio;

che il terzo ed il quarto mezzo di impugnazione sono inammissibili, perchè attengono a questioni formulate per la prima volta in questa sede e, quindi, nuove;

che, pertanto, il ricorso va respinto;

che le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 18 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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