Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3329 del 11/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 11/02/2020, (ud. 13/11/2019, dep. 11/02/2020), n.3329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10095-2018 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

G.A. e F.S.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 5688/15/2017 della Commissione tributaria

regionale del LAZIO, depositata il 03/10/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 13/11/2019 dal Consigliere Dott. LUCIOTTI Lucio.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte:

costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1-bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, osserva quanto segue:

In controversia avente ad oggetto l’impugnazione del provvedimento agenziale di diniego del rimborso del credito IVA richiesto dai contribuenti G.A. e F.S., nelle rispettive qualità di socia e di liquidatore della Pomegranate s.r.l., in liquidazione, con riferimento all’anno d’imposta 2011, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR laziale ha rigettato l’appello dell’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, sostenendo, da un lato, che la mancata indicazione del credito nel bilancio finale di liquidazione della società non era di ostacolo al rimborso non essendo applicabile il D.M. 26 febbraio 1992, art. 5, richiamato dall’amministrazione finanziaria, in quanto emesso sulla base di un decreto legge non convertito (D.L. n. 47 del 1992), e, dall’altro, che il “difetto di assolvimento dell’onere probatorio da parte della società appellata” era eccezione inammissibile perchè proposta dall’Agenzia soltanto in grado di appello.

Avverso tale sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui non replicano gli intimati. Il primo mezzo di cassazione, con cui la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, è fondato e va accolto non essendosi la CTR attenuta al principio giurisprudenziale in base al quale “In tema di contenzioso tributario, il contribuente che impugni il rigetto dell’istanza di rimborso di un tributo riveste la qualità di attore in senso sostanziale, con la duplice conseguenza che grava su di lui l’onere di allegare e provare i fatti a cui la legge ricollega il trattamento impositivo rivendicato nella domanda e che le argomentazioni con cui l’Ufficio nega la sussistenza di detti fatti, o la qualificazione ad essi attribuita dal contribuente, costituiscono mere difese, come tali non soggette ad alcuna preclusione processuale, salva la formazione del giudicato interno” (Cass. n. 15026 del 2014; conf. Cass. n. 21197 del 2014), giacchè “nelle liti originate dalla negazione del credito (sia stato esso chiesto a rimborso ovvero sia stato riportato a nuovo (…) l’anno successivo a quello di relativa maturazione), (…) è sempre consentito all’amministrazione prospettare in giudizio argomentazioni giuridiche ulteriori rispetto a quelle espresse nella motivazione del provvedimento negativo (v. per tutte Cass. n. 22567/2004)” (cfr., in motivazione, Cass. n. 18427 del 2012).

Peraltro, con particolare riguardo al caso di specie, in cui i giudici di appello hanno ritenuto tardivamente contestata dall’amministrazione finanziaria l’assolvimento dell’onere della prova da parte della società appellata, va ricordato il principio secondo cui “In tema di appello nel processo tributario, la contestazione in ordine alla valenza probatoria della documentazione prodotta dall’altra parte in primo grado non può essere considerata un’eccezione in senso stretto rientrante nel divieto posto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, in quanto si tratta di una mera difesa, che non amplia l’oggetto del giudizio” (Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 12614 del 22/05/2018, Rv. 648521 – 01).

E’ parzialmente fondato il secondo motivo di ricorso con cui la difesa erariale deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, dell’art. 2697 c.c. e del D.M. 26 febbraio 1992, art. 5, comma 1, sostenendo che la CTR ha erroneamente escluso l’applicabilità al caso di specie del citato decreto ministeriale, ritenendo sostanzialmente provata la spettanza del rimborso IVA sulla base di documenti (libro giornale e scheda di mastro) inidonei allo scopo.

Al riguardo deve osservarsi che, se da un lato la CTR ha correttamente escluso la vigenza dell’obbligo di includere il credito nel bilancio finale di liquidazione, previsto dal D.M. 26 febbraio 1992, art. 5, ai fini del rimborso dei crediti d’imposta in favore delle società cancellate dal registro delle imprese, per mancata conversione del D.L. 1 febbraio 1992, n. 47, di cui il citato D.M. costituisce attuazione, in ossequio al principio espresso da questa Corte nella sentenza n. 27951 del 2009, la cui applicabilità non può essere limitata ai soli anni 1994 e 1995, come si legge nella massima della citata pronuncia (la quale ha altresì precisato che “non (può) trovare applicazione la clausola di salvezza prevista dalla L. 24 marzo 1993, n. 75, art. 1, comma 2, la quale va riferita esclusivamente agli atti di natura amministrativa, e non anche a quelli normativi, adottati in base al decreto-legge non convertito, nonchè agli effetti già prodottisi durante il periodo di vigenza dello stesso, e non anche a situazioni non ancora verificatesi in detto periodo”), dall’altro lato i giudici di appello non hanno esaminato la questione del corretto adempimento da parte dei contribuenti agli oneri probatori sui medesimi gravanti e della conseguente valenza probatoria della documentazione dai medesimi prodotta in primo grado, ovvero libro giornale e scheda di mastro, posta dall’Agenzia delle entrate con l’eccezione sollevata in grado di appello ma erroneamente ritenuta inammissibile dalla CTR (questione esaminata nel primo motivo).

In sintesi, quindi, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio al giudice di merito che rivaluterà la vicenda processuale alla stregua anche del consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità secondo cui incombe sul contribuente, il quale invochi il riconoscimento di un credito d’imposta, l’onere di provare i fatti costitutivi dell’esistenza del credito fiscale, mediante esibizione di documentazione idonea a provare il meccanismo fisiologico di applicazione del tributo (cfr. Cass., Sez. 5, Sentenza n. 18427 del 26/10/2012, Rv. 624308; Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 27580 del 30/10/2018, Rv. 651072). Il giudice del rinvio provvederò anche alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020

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