Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3328 del 11/02/2011

Cassazione civile sez. trib., 11/02/2011, (ud. 17/11/2010, dep. 11/02/2011), n.3328

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario – Presidente –

Dott. D’ALONZO Michele – Consigliere –

Dott. BOGNANNI Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

BERNARDI GIANNI & C SNC, in persona del legale rappresentante

pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA ANCONA 20, presso lo

studio dell’avvocato VERGANO ARNALDO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato BONORA GIOVANNI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 38/2005 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 29/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito per il resistente l’Avvocato GIORDANO DIEGO, che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso alla commissione tributaria provinciale di Venezia la società Bernardi Gianni & C. snc. impugnava l’avviso di accertamento per il recupero a tassazione della deduzione operata per l’Ilor ed accessori per l’anno d’imposta 1995, relativamente all’attività di lavoro autonomo svolto dai soci come amministratori, assumendo di non essere tenuta al pagamento della maggiorazione d’imposta; chiedeva perciò l’annullamento di quell’atto, difettando i presupposti della pretesa tributaria.

Instauratosi il contraddittorio, l’agenzia delle entrate eccepiva l’infondatezza dell’opposizione, posto che si trattava di attività non prevalente dei soci, e cioè non in quanto tali ma amministratori, e quindi di pretesi costi e non degli utili distribuiti per lavoro svolto in prevalenza, su cui operare la deduzione; perciò chiedeva il rigetto del ricorso.

Il giudice adito lo rigettava.

Avverso tale decisione la società Bernardi proponeva appello, cui l’agenzia delle entrate resisteva, dinanzi alla commissione tributaria regionale del Veneto, la quale rigettava il gravame, osservando che la deduzione riguardava somme erogate per l’attività di amministratori dei soci, e non piuttosto svolta in tale qualità e per di più in misura prevalente, senza che la contribuente peraltro avesse provato il suo assunto.

Contro questa decisione la società Bernardi ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

L’agenzia delle entrate non ha svolto alcuna difesa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Col primo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41 bis, oltre che omessa e/o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in quanto il giudice dell’impugnazione non considerava che l’accertamento parziale non poteva essere compiuto soltanto in virtù della segnalazione del Settore strategie di controllo, senza che l’ufficio avesse avuto altri elementi di supporto per il suo assunto, come peraltro addotto con l’appello.

Il motivo, oltre ad essere piuttosto generico, perchè non vi si specificano compiutamente le doglianze che sarebbero state prospettate, comunque è infondato. Infatti ai fini dell’accertamento parziale di tributi diretti, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 41 bis, tra gli elementi indiziari che consentono di stabilire l’esistenza di un reddito non dichiarato o il maggiore ammontare di un reddito parziale dichiarato, che avrebbe dovuto concorrere a formare l’imponibile, rientrano non solo le dichiarazioni rilasciate da terzi alla polizia tributaria, ma anche le notizie che comunque pervengono all’ufficio in particolare dall’anagrafe tributaria, a prescindere dal fatto che tale maggior reddito non risulti dalle scritture contabili, facendo le stesse prova contro l’imprenditore, ma non a suo favore (art. 2709 cod. civ., con l’eccezione stabilita dal successivo art. 2710), ed essendo, quindi, contestabili con qualunque mezzo di. prova, non necessariamente documentale (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 357, 16/02/2010 16845, n. del 2008).

2) Col secondo motivo la ricorrente denunzia violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 120, comma 1, giacche il giudice di appello non considerava che l’attività prevalente dei soci veniva svolta nei lavori inerenti all’impresa edile da loro gestita in forma societaria, senza che quella di amministratori comportasse un maggiore impiego di tempo e di energia, ancorchè figurava come retribuita in misura leggermente maggiore.

La censura non ha pregio. Il legislatore ha voluto privilegiare il lavoro effettivamente svolto dai soci in una società di persone ai fini del beneficio fiscale invocato mediante la deduzione della relativa spesa, e ciò a maggior ragione allorquando si tratti di compagine sociale avente le caratteristiche di impresa artigiana, come la contribuente assume. Nel caso in specie invece, peraltro come osservato dalla CTR, i soci avevano indicato un reddito autonomo come amministratori nella dichiarazione dei redditi, e questo era addirittura superiore rispetto a quello preteso come reddito da partecipazione per l’attività di soci svolta, il che ovviamente non poteva costituire valido presupposto per la deduzione invocata. Del resto in tema di ILOR e con riguardo alle società di persone, la spettanza della deduzione dal reddito d’impresa prevista dall’art. 120 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, è condizionata alla circostanza che il socio presti la sua opera nell’impresa e che tale prestazione costituisca la sua occupazione prevalente. Possono, pertanto, essere dedotte le quote di reddito derivanti dalla partecipazione agli utili del socio, in quanto al medesimo imputate ai fini IRPEF come reddito proprio del contribuente e non della società, in quanto la deduzione persegue l’intento di eliminare dall’imponibile la parte che si può considerare formata dal lavoro del soggetto. Tuttavia, l’onere di provare, in presenza di contestazione, che i soci prestano la loro opera società e che tale opera costituisce la loro “occupazione prevalente” era – come in genere l’onere di dimostrare le componenti negative del reddito, tanto riguardo alla .loro esistenza che all’inerenza – a carico della contribuente società Bernardi, atteso che dette circostanze, in quanto legittimanti la deduzione, rappresentano gli elementi costitutivi del diritto della società stessa alla deduzione, onero però che l’interessata non aveva assolto (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 3173 del 11/02/2010, n. 5786 del 2008, n. 25626 del 2006). Inoltre va rilevato che la deduzione non trova applicazione nel caso in cui l’attività svolta in qualità di amministratore risulti prevalente rispetto a quella svolta in qualità di socio. Tale prevalenza deve essere intesa in senso sia qualitativo che quantitativo, e quindi rapportata all’impegno di tempo e di energie fisiche e mentali che l’attività richiede in concreto per essere espletata, rispetto ai quali il corrispettivo economico rappresenta soltanto uno degli elementi di valutazione. Pertanto, pur potendosi presumere, secondo l'”id quod plerumque accidit”, che ad una maggiore remunerazione corrisponda un maggior impegno lavorativo, deve ritenersi sempre ammessa da parte del contribuente la prova contraria che alla prevalenza del corrispettivo riconosciutogli per l’attività di amministratore non corrisponde una sostanziale prevalenza d’impegno, in quanto ai fini della spettanza della deduzione assume rilievo decisivo l’effettiva prevalenza dell’attività di socio e non già la valutazione economica che ad esso viene attribuita (V. pure Cass. Sez. U, Sentenza n. 5786 del 04/03/2008).

Sul punto perciò la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto.

3) Col terzo motivo la ricorrente lamenta insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto deciso della controversia, poichè il giudice “a quo” non delibava la questione relativa alla prova fornita della prevalenza del lavoro dei soci in tale qualità nell’impresa e non come amministratori, giusta la documentazione in atti.

La doglianza è generica, e quindi inammissibile, posto che la ricorrente non ha specificato in quale parte dell’appello avrebbe indicato la relativa censura col riportarla; quali sarebbero i documenti di prova asseritamente non vagliati, sicchè sotto questo profilo il ricorso su tale; punto non è autosufficiente.

Ne deriva che il ricorso va rigettato.

Quanto alle spese del giudizio, le stesse si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano in Euro 1500,00 per onorari altre pese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 17 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2011

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