Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33275 del 17/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 17/12/2019, (ud. 10/10/2019, dep. 17/12/2019), n.33275

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – rel. Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

Dott. GORI Pierpaolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24585-2018 proposto da:

RISCOSSIONE SICILIA SPA, in persona del procuratore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIUSEPPINA RIZZA;

– ricorrente –

contro

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dagli avvocati RUGGERO GIBILISCO, ROSARIO GUASTELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 313/4/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della SICILIA SEZIONE DISTACCATA di SIRACUSA, depositata

il 22/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ROSARIA

MARIA CASTORINA.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., come integralmente sostituito dal D.L. n. 168 del 2016, art. 1 – bis, comma 1, lett. e), convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016 osserva;

Con sentenza n. 313/04/2018, depositata il 22.1.2018, la CTR della Sicilia accoglieva l’appello di C.R. su controversia avente ad oggetto l’impugnazione di una cartella di pagamento afferente Ici per gli anni di imposta 2003 e 2004 sul presupposto che il ricorrente risultava del tutto estraneo al rapporto tributario e che, il concessionario, il quale non aveva chiamato in giudizio l’ente impositore, non aveva fornito la prova dell’esistenza della pretesa erariale.

Riscossione Sicilia s.p.a. ricorre per la cassazione della sentenza affidando il suo mezzo a un motivo.

Il contribuente resiste con controricorso.

1. Con il motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 20 e ss., dell’art. 88 c.p.c., comma 1, del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 39, del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non avere la CTR dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’Agente della riscossione e il difetto di contraddittorio con la conseguente necessità di integrazione del contraddittorio con l’ente impositore Comune di (OMISSIS).

Il ricorso è inammissibile.

La sentenza gravata si basa su due rationes decidendi: la legittimazione passiva dell’Agente della Riscossione che non aveva chiamato in giudizio l’ente impositore e l’estraneità del ricorrente al rapporto tributario per appartenere gli immobili a una società di capitali rispetto alla quale il C. non risultava avere ricoperto nemmeno cariche sociali.

La seconda ratio decidendi non è stata oggetto di impugnazione.

Va al riguardo richiamato quanto in più pronunzie affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, enunciando il principio secondo il quale, nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su più ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, è necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinchè si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, in toto o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano.

Ne consegue che è sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perchè il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato (v., ex multis, Cass. Sez. U. 8 agosto 2005, n. 16602 e numerose successive conformi).

La censura risulta pertanto inammissibile, per difetto di interesse, in quanto il ricorrente non ha più ragione di avanzare censure che investono l’ulteriore ratio decidendi giacchè, ancorchè esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della decisione anzidetta.

In conclusione va dichiarata l’inammissibilità del ricorso.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilità del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, (sulla ratio della disposizione si rinvia a Cass., Sez. U., 17 ottobre 2014, n. 22035 e alle numerose successive conformi), se dovuto.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 5.600,00 per compensi professionali, oltre quindici per cento spese generali e altri accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dichiara sussistenti i presupposti per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ex art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2019

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