Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3327 del 12/02/2010

Cassazione civile sez. I, 12/02/2010, (ud. 04/11/2009, dep. 12/02/2010), n.3327

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – rel. Consigliere –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. SALVATO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.V.M. (c.f. (OMISSIS)), nella qualità di

liquidatore pro tempore della F.LLI DI VIZIO S.R.L., JOB.CO. S.R.L.

(c.f. (OMISSIS)), in persona dell’Amministratore Unico pro

tempore, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA G. PISANELLI 40,

presso l’avvocato BISCOTTO BRUNO, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato SCOGNAMIGLIO LUCIA, giusta procura a margine

del ricorso;

– ricorrenti –

contro

GIVAL S.R.L. (c.f. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

LUNGOTEVERE DEI MELLINI 44, presso l’avvocato MILETO SALVATORE, che

la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

CURATELA DEL FALLIMENTO FRATELLI DI VIZIO S.R.L. (c.f. (OMISSIS)),

in persona del Curatore dott. P.C., elettivamente

domiciliata in ROMA, P.LE CLODIO 1, presso l’avvocato SCAFFIDI

ARGENTINA RAUL, rappresentata e difesa dall’avvocato DE FELICE

CLAUDIO, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il

29/09/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

04/11/2009 dal Consigliere Dott. FIORETTI Francesco Maria;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato BRUNO BISCOTTO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente GIVAL srl, l’Avvocato ALESSIO

PETRETTI, per delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Libertino Alberto che ha concluso per l’accoglimento del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 31/2004 il Tribunale di Latina, su ricorso della medesima società, dichiarava il fallimento della F.LLI Di Vizio s.r.l..

Nel corso della procedura fallimentare venivano presentate due proposte di concordato nuovo testo della L.Fall., ex art. 124: la prima da parte della GIVAL s.r.l, la seconda da parte della società fallita insieme ad altra società la JOB.CO s.r.l.. Le due proposte, che nelle versioni definitive, prevedevano entrambe il soddisfacimento integrale dei creditori, anche se con diverse modalità applicative e garanzie, venivano dagli organi del fallimento regolarmente istruite (entrambe ottenevano il parere favorevole del curatore e del comitato dei creditori) e sottoposte contemporaneamente alla votazione dei creditori, come previsto dalla L. Fall., art. 125.

L’esito della votazione dei creditori era favorevole alla proposta presentata dalla GIVAL s.r.l..

A seguito di tale votazione la società fallita e la JOB.CO. si opponevano alla omologazione della proposta di detta società e chiedevano al Tribunale di Latina di omologare la loro anzichè quella presentata dalla GIVAL. Il Tribunale di Latina, con decreto in data 14 – 25.02.2008, omologava la proposta presentata dalla GIVAL. La società Fallita e la JOB.CO. impugnavano detto decreto con reclamo dinanzi alla Corte d’Appello di Roma, che rigettava il reclamo.

Avverso detto provvedimento la s.r.l. F.lli Di Vizio, in persona di D.V.M., quale liquidatore in carica all’atto della dichiarazione di fallimento della società, e la s.r.l. JOB.CO. hanno proposto ricorso per Cassazione sulla base di tre motivi. La GIVAL s.r.l. e la curatela del Fallimento F.lli Di Vizio s.r.l. hanno resistito con controricorso. Detta curatela ha anche depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo le ricorrenti chiedono a questa Suprema Corte di pronunciarsi: “Sul diritto del fallito, che abbia presentato proposta di concordato fallimentare ai sensi del vigente L. Fall., art. 124, di essere preferito rispetto agli altri soggetti che abbiano presentato proposte di concordato fallimentare, allorchè tutte le proposte realizzino in modo perfettamente eguale le ragioni dei creditori insinuati ed abbiano ricevuto il parere favorevole del Comitato dei Creditori e del Curatore;

sulla correlata insussistenza di qualsivoglia potere in capo ai creditori della massa fallimentare di scelta in caso di proposte concordatarie eguali, allorchè una delle stesse sia stata formulata dal fallito alle condizioni prescritte dalla legge”, denunciando la violazione o falsa applicazione della L. Fall., artt. 124 e 125 nonchè dell’art. 360 c.p.c., n. 3.

Deducono le ricorrenti che in caso di fallimento con un residuo attivo, come nel caso di specie, la proposta del fallito – se di eguale soddisfazione per la massa creditoria e per gli interessi generali della procedura – andrebbe preferita, a prescindere dalle maggioranze formatesi in seno all’adunanza dei creditori L. Fall., ex art. 127. Mancando una espressa disciplina di tale situazione, la disciplina del caso concreto dovrebbe essere individuata, attraverso una operazione ermeneutica costituzionalmente orientata, utilizzando il criterio discretivo della comparazione degli interessi contrapposti.

Tale comparazione dovrebbe essere effettuata tra l’interesse del fallito a recuperare il proprio patrimonio, cosi come contrattosi dopo la soddisfazione dei creditori e l’interesse del terzo proponente all’accoglimento della propria proposta.

Trattandosi di un interesse eguale nella sostanza, nello stabilire la prevalenza dell’uno rispetto all’altro, andrebbe necessariamente considerata la condizione soggettiva dei portatori degli stessi, il che porterebbe a riconoscere livello poziore all’interesse del fallito, in quanto altrimenti il terzo proponente verrebbe a trovarsi nella titolarità di beni di cui non avrebbe mai vantato alcun titolo di proprietà.

Pertanto la tesi della equipollenza delle proposte, con correlata preferenza accordata acriticamente a quella che consegue al voto favorevole del Comitato dei creditori, dovrebbe essere respinta perchè lesiva del diritto del fallito di estinguere la procedura fallimentare per ottenere il beneficio del rientro in bonis e riacquistare la disponibilità del residuo attivo del valore del compendio fallimentare, onde riattivare l’azienda sociale.

Nelle procedure concorsuali nelle quali i creditori ricevano integrale soddisfazione, nell’ottica dell’equo contemperamento delle diverse posizioni giuridico – soggettive coinvolte, andrebbero privilegiate le soluzioni che siano in grado di tutelare anche le posizioni soggettive giuridicamente apprezzabili dei soci della società fallita, essendo questi ultimi titolari di diritti patrimoniali, seppure subordinati alle ragioni del ceto creditorio fallimentare.

Da tale interpretazione, costituzionalmente orientata ed in armonia anche con l’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, discenderebbe quale ineludibile corollario l’insussistenza di qualsivoglia potere in capo ai creditori della massa fallimentare di scelta in caso di proposte concordatarie eguali, allorchè una delle stesse sia stata formulata dal fallito alle condizioni prescritte dalla legge.

Essendo state assentite dal curatore e dal comitato dei creditori, gli organi della procedura avrebbero dovuto impedire che il gradimento dei creditori si esprimesse sulle due proposte, che, pur realizzando entrambe il risultato dell’integrale soddisfazione del ceto creditorio, non erano affatto eguali e meritevoli di identica tutela, perchè una delle due proposte proveniva direttamente dal fallito.

L’autonomia dei creditori della massa fallimentare non si estenderebbe affatto alla potestà di scelta insindacabile in caso di più proposte identiche; in tal caso il potere discrezionale finale di scelta dovrebbe ritenersi rimesso al collegio dell’organo giudicante.

Il potere di scelta discrezionale in capo ai creditori troverebbe una sua plausibile giustificazione solo in presenza di più proposte caratterizzate da un pagamento parziale, nel qual caso sarebbe giusto che i creditori, proprio perchè essi rinunciano ad una parte delle proprie ragioni creditorie, si esprimano con voto vincolante sulle diverse offerte, valutandone il grado di convenienza e soprattutto la qualità e l’ampiezza della garanzia offerta. Allorchè le proposte siano eguali quanto a grado di soddisfazione dei creditori, la proposta della società fallita doveva ritenersi automaticamente preferita a quella della GIVAL, sul presupposto della sussistenza di un vero e proprio diritto della società fallita.

Con il secondo motivo le ricorrenti chiedono a questa Suprema Corte di pronunciarsi “sull’omessa motivazione in ordine alla specifica questione dell’errata valutazione dell’attivo e del passivo fallimentare in costanza di soddisfazione integrale dei creditori, alla luce tra l’altro della mancata tutela dell’interesse del fallito a fronte dell’insussistenza di qualsivoglia pregiudizio in capo al ceto creditorio”, denunciando la omessa pronuncia e/o motivazione nonchè violazione o falsa applicazione della L. Fall., artt. 124 e 125 e dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5.

Le ricorrenti avrebbero censurato la decisione del Tribunale, in quanto lo stesso avrebbe sostenuto che il giudizio di opposizione alla omologazione del concordato fallimentare sarebbe limitato alla contestazione dei meri vizi formali della procedura. Al fine di dimostrare la sussistenza in capo all’opponente della potestà di censurare anche le valutazioni di merito circa il valore dell’attivo fallimentare, le ricorrenti avevano fatto ricorso all’argomento dirimente individuato nel fatto che la L. Fall., art. 131, comma 3, impone al reclamante l’onere di indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi, ma soprattutto nel fatto che la norma attribuisce pieni poteri istruttori al collegio del Tribunale e della Corte d’Appello.

Avevano, pertanto, dedotto in sede di appello che la sussistenza in capo al Collegio di pieni poteri di istruzione a carattere financo inquisitorio si potrebbe giustificare ed avrebbe senso solo se si ammettesse che la potestà di censura dell’opponente si potrebbe riferire anche alla contestazione di vizi di merito, che affliggano la procedura di omologazione, inclusi i rilevati (dalle ricorrenti) in primo grado errori di valutazione contenuti nei pareri estimatori del curatore fallimentare e del Comitato dei creditori dell’attivo e del passivo fallimentare, nonchè nelle perizie dei consulenti nominati dagli organi della procedura.

La Corte d’Appello avrebbe omesso di pronunciare sul punto decisivo, atteso che in assenza delle immotivate ed illegittime svalutazioni dell’attivo, operate dal curatore, l’attivo, tenendo conto dei valori di mercato, sarebbe risultato superiore al passivo di non meno di Euro 7.000.000,00.

Con il terzo motivo le ricorrenti chiedono a questa Suprema Corte di pronunciarsi “sulla questione di legittimità costituzionale condizionata, per violazione degli artt. 2,3, 35, 41 e 42 Cost., nonchè dell’art. 8 della Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo, della L. Fall., artt. 124 e 125, come modificati dal D.Lgs. n. 5 del 2006, nella parte in cui non attribuiscono al fallito, che abbia presentato proposta di concordato fallimentare, il diritto ad essere preferito rispetto ad ogni altro soggetto che abbia presentato proposta di concordato fallimentare in caso di proposte esattamente eguali quanto a tipologia e grado di soddisfazione dei creditori costituenti la massa passiva fallimentare, in ragione ed a causa dell’irreversibile e ingiustificata lesione del diritto della persona di disporre dei propri beni”.

Ove si dovesse accettare la proposta errata della Corte d’Appello circa la totale insussistenza del diritto del fallito ad essere preferito, in caso di pluralità di proposte L. Fall., ex art. 125 eguali e concordati, ci si troverebbe in presenza di un vuoto normativo, che può e deve essere colmato attraverso una pronuncia giudiziale che riconosca ed affermi (in forza di analogia legis se non proprio ricorrendo all’analogia iuris) il diritto del fallito ad essere preferito rispetto a terzi in ipotesi di più proposte identiche di concordato.

Qualora tale vuoto non dovesse essere colmato attraverso l’interpretazione analogica, le ricorrenti sollevano la eccezione di illegittimità costituzionale della menzionate norme fallimentari, comportando la soluzione interpretativa data dalla corte di merito lesione del diritto della persona di disporre dei propri beni, posto che il fallimento determina sino alla liquidazione una mera indisponibilità dei beni e non l’espropriazione della proprietà in danno del debitore fallito.

Il primo ed il secondo motivo di ricorso, che essendo logicamente connessi possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.

Secondo la precedente disciplina la proposta di concordato fallimentare poteva essere presentata dal solo fallito; infatti L. Fall., art 124 (nella vecchia formulazione) indicava come solo legittimato alla presentazione della proposta il fallito. Sulla proposta di concordato il giudice delegato era tenuto a chiedere il parere del curatore e del comitato dei creditori ed, ottenuti tali pareri, tenuto ad effettuare una preliminare valutazione di convenienza della proposta e ciò al fine di evitare perdite di tempo e spese qualora la proposta fosse inaccettabile.

In caso di valutazione positiva il giudice era tenuto a comunicarla, unitamente ai pareri summenzionati, ai creditori per la votazione (L. Fall. art. 125), Intervenuta da parte dei creditori la approvazione del concordato, il giudice delegato era tenuto a dichiarare con ordinanza aperto il giudizio di omologazione (art. 129). Aperto il giudizio di omologazione i creditori dissenzienti e qualsiasi interessato (da identificarsi in qualsiasi soggetto sulla cui posizione giuridica incidesse il concordato) potevano fare opposizione, indicandone i motivi (prospettando con questi la illegittimità o dannosità del concordato).

Il Tribunale fallimentare, chiamato a decidere sulla omologazione o meno della proposta di concordato era tenuto ad effettuare un (pregiudiziale) controllo di legittimità, inteso a verificare la ritualità del procedimento e l’osservanza degli adempimenti imposti dalla legge ed un (successivo) controllo di merito, avente per oggetto la valutazione della convenienza ed opportunità del concordato (L. Fall., art. 130, comma 1). Secondo il prevalente orientamento dottrinale e giurisprudenziale il Tribunale, nell’effettuare il controllo di merito, avrebbe dovuto compiere una semplice comparazione di convenienza fra percentuale concordataria e patrimonio del debitore, per stabilire se dalla liquidazione dei beni acquisiti al fallimento si potesse ricavare una somma pari, inferiore o superiore a quella offerta con la proposta. In tale prospettiva, secondo indicazioni giurisprudenziali, avrebbe dovuto darsi rilievo anche al fatto che, secondo una cauta e realistica previsione, il pagamento sarebbe avvenuto entro tempi più brevi di quanto potesse consentire l’esito normale della procedura fallimentare e senza necessità di iniziare procedure giudiziarie per la realizzazione dell’attivo. In sintesi, la precedente normativa prevedeva un solo soggetto legittimato a presentare la proposta di concordato fallimentare: il soggetto dichiarato fallito, e demandava al giudice delegato (preliminarmente) e poi al Tribunale fallimentare la valutazione della convenienza del concordato.

Con la riforma della disciplina delle procedure concorsuali, effettuata con il D.Lgs. n. 5 del 2006 (applicabile nel caso di specie; la nuova disciplina introdotta con tale decreto è stata poi integrata e corretta con il D.Lgs. n. 169 del 2007 e con la L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 61), il quadro normativo relativo al concordato fallimentare è profondamente mutato.

In particolare, mentre con la disciplina precedente la proposta di concordato poteva essere presentata dal solo fallito, con la nuova disciplina può essere presentata da una pluralità di soggetti e precisamente: da uno o più creditori o da un terzo (in tal caso, qualora ricorrano determinate condizioni, anche prima del decreto che rende esecutivo lo stato passivo) o dal fallito o da società cui egli partecipi o sottoposte a comune controllo, dopo decorsi sei mesi dalla dichiarazione di fallimento e purchè non siano decorsi due anni dal decreto che rende esecutivo lo stato passivo (art. 124 nella nuova formulazione come introdotta dal citato D.Lgs. n. 5 del 2006).

Mentre secondo la precedete disciplina spettava al giudice delegato effettuare una preliminare valutazione della convenienza del concordato, ora tale valutazione è demandata al curatore e al comitato dei creditori.

Secondo la nuova disciplina il giudice delegato, cui va presentata la proposta di concordato, è tenuto a chiedere il parere del comitato dei creditori e del curatore (vedi l’art. 125 come riformulato dal D.Lgs. n. 5 del 2006), con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione.

Qualora la proposta non contenga condizioni differenziate per singole classi di creditori (ipotesi che richiederebbe un ulteriore adempimento che nel caso in esame non rileva), espletati i suddetti adempimenti di carattere preliminare il giudice delegato, acquisito il parere favorevole del curatore ordina (senza, quindi, procedere ad effettuare una qualche valutazione di convenienza) che la proposta (se le proposte sono più di una devono essere portate in votazione contemporaneamente) venga comunicata ai creditori, specificando dove possono essere reperiti i dati per la sua valutazione, fissando un termine non inferiore a venti giorni nè superiore a trenta entro il quale i creditori devono far pervenire nella cancelleria del tribunale eventuali dichiarazioni di dissenso.

Se la proposta viene approvata, si fa luogo al giudizio di omologazione (disciplinato dall’art. 129). Sia il fallito, che i creditori dissenzienti e qualsiasi altro interessato sono legittimati a proporre, entro il termine fissato dal giudice delegato, eventuali opposizioni; termine entro il quale deve essere presentata anche la relazione conclusiva del curatore.

Se nel termine fissato dal giudice delegato non vengono proposte opposizioni, il Tribunale, verificata la regolarità della procedura e l’esito della votazione, omologa il concordato con decreto motivato non soggetto a gravame.

Se sono state proposte opposizioni o se è stata presentata richiesta di omologazione si procede ai sensi dell’art. 26, commi 5, 6, 7 ed 8, in quanto compatibili.

L’art. 26, che disciplina il reclamo contro i decreti del giudice delegato e del tribunale, dispone, tra l’altro, al comma 6, che il reclamo deve contenere la determinazione dell’oggetto della domanda;

l’esposizione dei fatti e degli elementi di diritto su cui si basa il reclamo e le relative conclusioni; l’indicazione specifica, a pena di decadenza, dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti. Con le disposizioni di cui agli ulteriori comma sopra citati viene disciplinato lo svolgimento del giudizio in modo da assicurare il diritto di difesa ed il rispetto del principio del contraddittorio.

Da quanto precede emerge quanto segue.

Il legislatore, nell’ottica di una marginalizzazione dei poteri del giudice, posizione che egli non aveva nella L.Fall. del 1942, ha demandato al curatore ed al comitato dei creditori ed infine a tutti i creditori, in sede di votazione per l’approvazione o meno del concordato, la valutazione della convenienza dello stesso, riservando al giudice controlli formali di legalità.

Se ciò può pacificamente affermarsi per quanto riguarda la ipotesi in cui non vengano proposte opposizioni, atteso che in tal caso il Tribunale è tenuto a verificare soltanto la regolarità della procedura e l’esito della votazione, non sembra che questo stesso criterio interpretativo valga anche nell’ipotesi in cui sia stata proposta un’opposizione.

In tal caso, infatti, non potrebbe ragionevolmente negarsi che spettino al Tribunale più ampi poteri di giudizio, correlati alla necessità di procedere alla disamina ed alla risoluzione di una controversia idonea ad incidere su diritti soggettivi dei creditori e del fallito.

Sicchè in questa ipotesi il controllo di legittimità dell’autoregolamentazione dell’insolvenza non è limitato alla mera verifica delle norme procedimentali, ma tende ad assicurare la piena conformità della fattispecie all’ordinamento giuridico; la quale postula, anzitutto, la sua non contrarietà a norme imperative e, massimamente ai precetti costituzionali.

Come si è già rilevato, nel nuovo quadro di riferimento la proposta di concordato può essere presentata da soggetti diversi (dallo stesso fallito, da uno o più creditori oppure da un terzo); le proposte possono essere, contrariamente a quanto poteva verificarsi con la precedente disciplina, più di una e quindi, gli organi fallimentari competenti (curatore, comitato di creditori ed infine l’assemblea dei creditori in sede di approvazione del concordato) possono essere chiamati a dare una valutazione di convenienza su una pluralità di proposte.

Se viene presentata una pluralità di proposte, la valutazione di convenienza comporta non soltanto una comparazione di convenienza fra percentuale concordataria e presumibile ricavato dalla liquidazione del patrimonio del debitore, ma anche la comparazione tra le varie proposte; la nuova disciplina, ampliando la rosa dei soggetti proponenti, ha indubbiamente accresciuto anche la possibilità di situazioni conflittuali, e, quindi, la varietà di ragioni giuridiche poste a fondamento delle eventuali opposizioni.

Può verificarsi, come in effetti si è verificato nel caso di specie, che una proposta sia stata presentata dal fallito, che tutte le proposte presentate prevedano il pagamento integrale delle varie categorie di creditori, che su tutte si siano espressi favorevolmente il curatore ed il comitato dei creditori e che soltanto la proposta del soggetto terzo abbia ottenuto il voto favorevole dei creditori.

La Corte d’Appello di Roma ha affermato che in tal caso non sussiste un diritto del fallito ad essere preferito nei confronti dei terzi al fine di poter rientrare nel possesso dei suoi beni, con conseguente potere del Tribunale di superare la scelta del ceto creditorio e, a parità di condizioni, imporre la soluzione concordataria che favorisca la posizione del debitore, atteso che nel nostro ordinamento non sussiste alcuna disposizione che giustifichi tale prospettazione, preoccupandosi in realtà il legislatore di tutelare il fallito solo sotto il profilo procedurale e non pure sotto quello sostanziale; che, per considerazioni sostanzialmente analoghe devesi ritenere infondata la sollevata questione di legittimità costituzionale della L. Fall., artt. 124 e 125 come modificati dal D.Lgs. n. 5 del 2006 sotto il profilo di una lesione del diritto della persona a disporre dei propri beni, posto che il fallimento determina fino alla liquidazione una mera indisponibilità dei beni e non una espropriazione in danno del fallito; che devesi considerare che la procedura concorsuale nasce in realtà da un dissesto provocato proprio dal fallito che comunque, con il suo comportamento, ha creato una turbativa nel regolare svolgimento dell’attività del mercato in cui opera e difficoltà agli imprenditori con cui ha intrattenuto rapporti, sconvolgimento che la procedura fallimentare tende appunto ad appianare, perseguendo il fine di interesse generale di eliminazione del vulnus provocato dal fallito che, pertanto, in tale situazione, non può certo pretendere un trattamento della sua sfera patrimoniale in primo luogo da lui stesso compromessa, come se nulla fosse successo e senza i risvolti pregiudizievoli connaturati alla situazione patologica inevitabilmente venutasi a creare.

Con riferimento poi alla convenienza comparata della proposta concordataria scelta la Corte di merito ha ritenuto di dover confermare la decisione adottata dal Tribunale, atteso che tale scelta, di completa soddisfazione dei creditori, operata all’esito di una approfondita valutazione delle singole proposte da parte degli stessi diretti interessati, non può essere ancora rimessa in discussione in funzione del surriferito in condivisibile intento di conculcare il legittimo potere discrezionale del ceto creditorio, che il Tribunale è chiamato a far rispettare, donde l’intangibilità di scelte legittimamente operate.

Tali affermazioni non possono essere condivise.

Certamente esiste un potere discrezionale del ceto creditorio in ordine alla approvazione del concordato fallimentare e la valutazione di convenienza e la conseguente approvazione del concordato non potrebbero essere sindacati dal Tribunale fallimentare, ma ciò nella ipotesi in cui non siano state proposte opposizioni.

Si è già detto in precedenza che in tal caso il Tribunale ha il potere di verificare soltanto la regolarità della procedura e l’esito della votazione; se la verifica è positiva è tenuto ad omologare il concordato con decreto motivato non soggetto a gravame.

Nella ipotesi in cui siano state proposte opposizioni, il Tribunale, prima di pervenire alla decisione è tenuto a seguire la procedura di cui all’art. 26 (commi 5, 6, 7 e 8), il quale prevede che il reclamo contenga la indicazione dei fatti e la indicazione degli elementi giuridici su cui si fonda, nonchè la indicazione specifica dei mezzi di prova di cui il ricorrente intende avvalersi e dei documenti prodotti e che il giudizio si svolga nel rispetto del diritto di difesa e del principio del contraddittorio.

Il Tribunale, quindi, qualora siano state proposte opposizioni o dal fallito o dai creditori dissenzienti o da qualsiasi altro interessato, è tenuto ad effettuare un controllo di legalità ben più pregnante ed incisivo, dovendo esaminare e valutare i fatti costitutivi dedotti a sostegno della proposta opposizione, senza dover limitare il proprio controllo alla sola verifica della regolarità formale della procedura.

Le disposizioni ora esaminate non avrebbero ragion d’essere, perchè sarebbero superflue, se non dovessero ritenersi dettate al fine di dirimere eventuali conflitti insorti tra i vari protagonisti del concordato fallimentare: ceto creditorio, fallito, creditori proponenti e terzi proponenti, per il pregiudizio arrecato a situazioni giuridiche meritevoli di tutela.

Nella fattispecie in esame vengono in considerazione tre distinti interessi potenzialmente confliggenti: quello dei creditori a vedere soddisfatte le loro pretese creditorie e quelli del fallito e del terzo ad ottenere ciascuno la omologazione della propria proposta di concordato.

La valutazione di convenienza del concordato, come detto, va effettuata, secondo quanto previsto dall’art. 125, comma 1 nuova formulazione, con specifico riferimento ai presumibili risultati della liquidazione (verosimilmente dell’attivo del fallimento) comparandoli ovviamente con le garanzie offerte dal proponente. Nella ipotesi di una pluralità di proposte la valutazione di convenienza dovrà scaturire anche dalla comparazione di tutte le proposte al fine di stabilire quale delle proposte possa assicurare in più larga misura il soddisfacimento dei creditori.

Nella ipotesi in cui tutte le proposte prevedano il pagamento integrale di tutti i creditori e siano state ritenute sia dal curatore che dal comitato dei creditori tutte parimenti convenienti per il ceto creditorio è demandato ugualmente alla valutazione dei creditori di approvare l’una o l’altra delle proposte.

Se non vengono proposte opposizioni, il Tribunale, verificati la regolarità della procedura e l’esito della votazione, è tenuto ad omologare il concordato senza poter sindacare la valutazione di convenienza espressa dal ceto creditorio con l’approvazione del concordato.

Se viene proposta opposizione dal proponente, che ha visto rifiutare la propria proposta, ed in particolare se questo è lo stesso fallito e contesta, nelle ipotesi di proposte parimenti idonee a soddisfare integralmente le pretese dei creditori, il diritto dei creditori di effettuare una scelta (insindacabile) della proposta perchè irreversibilmente lesiva del diritto di disporre dei propri beni, ritenendo che la scelta definitiva debba essere in tal caso demandata al Tribunale fallimentare, il Tribunale fallimentare non potrebbe esimersi dal superare la contestazione affermando che non può essere messo in discussione, in sede di omologazione, il legittimo potere discrezionale del ceto creditorio, come se fosse un notaio chiamato a raccogliere e documentare la volontà delle parti, ma deve procedere ad istruire la causa al fine di dirimere, in situazione di terzietà, il conflitto insorto circa la insindacabilità della scelta operata dall’assemblea dei creditori, tra fallito, terzo proponente e ceto dei creditori.

In una situazione, quale quella che viene in considerazione nel caso di specie, vi è, da una parte, un soggetto che, pur avendo offerto il pagamento integrale dei creditori, viene ad essere espropriato della propria azienda (un soggetto che, quindi, certat de danno vitando), un soggetto, dall’altra, che, senza aver effettuato una proposta più conveniente di quella del fallito, viene ad acquisire, assumendosi i debiti del fallimento, l’azienda del fallito stesso (un soggetto, cioè, che certat de lucro captando) e dei creditori che, pur non avendo un interesse apprezzabile alla approvazione di una o dell’altra proposta, essendo entrambe le proposte parimenti convenienti, divengono arbitri di una scelta, che, senza essere giustificata da ragioni di convenienza, finisce per sconfinare nell’arbitrio.

A questo punto si impongono queste ulteriori considerazioni.

L’art. 1180 c.c. prevede che l’obbligazione può essere adempiuta da un terzo, anche contro la volontà del creditore, se questi non ha interesse a che il debitore esegua personalmente la prestazione; che, tuttavia, può rifiutare l’adempimento offertogli dal terzo, se il debitore gli ha manifestato la sua opposizione.

Da tale disposizione si evince che un soggetto estraneo al rapporto obbligatorio è legittimato, pur agendo in nome proprio e senza essere legato da un qualche rapporto giuridico con il debitore, ad estinguere il credito, effettuando la prestazione che avrebbe dovuto eseguire il debitore; che il creditore non può rifiutare l’adempimento del terzo se non ha un interesse oggettivo e concreto all’adempimento da parte del debitore; che quest’ultimo a sua volta può opporsi alla prestazione del terzo, opposizione che, se fondata, priva il terzo della legittimazione ad adempiere.

Se il creditore può rifiutare la prestazione del terzo nel caso in cui ha interesse all’adempimento personale del debitore e nel caso di opposizione del debitore, è tenuto però ad accettare l’offerta della prestazione, quando venga effettuata direttamente dal debitore, rifiutando l’eventuale adempimento del terzo, a meno che non possa accampare un legittimo motivo che giustifichi la preferenza accordata all’adempimento da parte di quest’ultimo.

Lo si evince dall’art. 1206 c.c., il quale dispone che il creditore è in mora, quando, senza un legittimo motivo, non riceve il pagamento nei modi indicati dalla legge o non compie quanto è necessario affinchè il debitore possa adempiere l’obbligazione. Da ciò il corollario che, se contemporaneamente l’adempimento dell’obbligazione è offerto dal debitore e dal terzo, il creditore non può scegliere quale prestazione ricevere, ma è tenuto (a meno che, come detto, non ricorra un legittimo motivo) a ricevere l’adempimento del debitore; l’offerta della prestazione da parte del debitore priva il terzo della legittimazione ad adempiere ed il creditore dell’interesse a ricevere la prestazione dal terzo, atteso che mentre la prima estingue il debito, la seconda soddisfa l’interesse del creditore, ma lascia sussistere una situazione debitoria del debitore nei confronti del terzo.

Applicando in via sistematica e secondo una interpretazione costituzionalmente orientata tali principi alla situazione che ne occupa (atteso che anche nel caso in esame vi è l’offerta di un adempimento totale sia da parte del debitore che da parte del terzo, che ha effettuato la proposta del concordato) si ha che i creditori in mancanza di un legittimo motivo, non hanno il diritto di rifiutare, senza violare detti principi, la proposta del fallito e che, la proposta stessa, se ritenuta parimenti conveniente a quella del terzo, lo priva della legittimazione ad adempiere.

In tal caso, in mancanza di prova di un legittimo motivo da parte dei creditori per rifiutare il soddisfacimento dei loro crediti da parte del fallito, con la omologazione della proposta di concordato del terzo e la conseguente acquisizione dei beni del fallimento da parte del terzo stesso, verrebbe, infatti, a verificarsi uno spostamento ingiustificato (e quindi illegittimo) di ricchezza dal patrimonio del fallito a quello del terzo.

La causa giuridica, che giustifica la preferenza accordata alla proposta di concordato rispetto alla liquidazione nell’ambito della procedura fallimentare dei beni del fallito, è la maggior convenienza per i creditori della proposta di concordato; tale maggior convenienza è anche la causa che giustifica la scelta tra più proposte di concordato ed in definitiva la acquisizione dei beni facenti parte della massa attiva del fallimento da parte del soggetto (creditore o terzo) che ha effettuato la proposta di concordato.

Nella ipotesi in cui siano state presentate da qualche creditore o da un terzo più proposte di concordato parimenti convenienti appare legittimo attribuire rilievo, tenendo conto della intervenuta “privatizzazione” del fallimento e del fatto che in tal caso tutti i proponenti certant de lucro captando, alla autonomia del ceto creditorio ed omologare la proposta di concordato che ha ottenuto la approvazione dell’assemblea dei creditori. Si può ritenere che in tal caso non vi siano ostacoli alla omologazione del concordato e che al Tribunale spetti soltanto di verificare la regolarità della procedura e l’esito della votazione.

Diversa è la situazione se tra i più proponenti di proposte parimenti convenienti vi è anche il fallito. In tal caso trovasi accanto a coloro che certant de lucro captando un soggetto che certat de lucra vitando. Tale situazione deve avere un trattamento diverso da quella esaminata in precedenza, atteso che, per dare la preferenza ad un pari soddisfacimento del debito offerto da un terzo e far conseguire a questo attraverso la omologazione la titolarità dei beni prima di proprietà fallito (la dichiarazione di fallimento, com’è noto, comporta la perdita da parte del fallito del potere di disposizione, ma non della titolarità dei beni acquisiti alla massa attiva), non è più sufficiente che vi sia stata la votazione favorevole alla proposta del terzo da parte dell’assemblea dei creditori, ma è necessario che sussista, per quanto suddetto, un motivo legittimo perchè i creditori possano rifiutare la proposta di concordato del fallito (vale a dire il pagamento loro offerto dal debitore). Diversamente l’attribuzione dei beni al terzo resta privo di causa giuridica e comporta, quindi, un ingiustificato spostamento di ricchezza, togliendo al fallito stesso, tornato in bonis, (ed il cui fallimento a volte può essere imputabile non a comportamenti negativi dello stesso, ma ad improvvisi ed imprevedibili sconvolgimenti del mercato) la possibilità di poter intraprendere, con i beni ancora in suo possesso, nuove iniziative imprenditoriali.

Pertanto nel conflitto tra fallito e terzo, quando le rispettive proposte prevedano il pagamento integrale di tutti i creditori e siano, quindi, parimenti convenienti per il ceto dei creditori stessi, il Tribunale, qualora sia stata approvata dall’assemblea dei creditori la proposta di concordato del terzo, può procedere alla omologazione di detta proposta soltanto dopo avere accertato, alla stregua delle considerazioni svolte, la legittimità del rifiuto opposto alla proposta del fallito.

Per quanto precede i due primi motivi di ricorso debbono essere accolti, il terzo deve essere dichiarato assorbito; conseguentemente il provvedimento impugnato deve essere cassato e la causa deve essere rinviata alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità e che per la decisione si uniformerà al principio di diritto sopra enunciato.

P.Q.M.

LA CORTE Accoglie i primi due motivi di ricorso, assorbito il terzo; cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2010

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