Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33269 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/12/2018, (ud. 18/10/2018, dep. 21/12/2018), n.33269

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9508-2012 proposto da:

EAGLE SNC, elettivamente domiciliato in ROMA VIA TARVISIO 2, presso

lo studio dell’avvocato PAOLO CANONACO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PIETRO PAOLO FUNARI;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 17/2011 della COMM. TRIB. REG. di VENEZIA,

depositata il 17/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/10/2018 dal Consigliere Dott. RENATO PERINU.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che, Eagle s.n.c., C.G. e F.E. impugnano la sentenza n. 17/05/11, depositata in data 17/2/2011, con la quale la CTR di Venezia-Mestre, confermava la pronuncia di primo grado avente ad oggetto l’avviso di accertamento con cui, relativamente all’anno di imposta 2004, in applicazione dello studio di settore erano stati accertati maggiori ricavi in capo ai ricorrenti per complessivi Euro 43.200,00;

che, la CTR adita, per quanto qui rileva, confermava la decisione appellata, dando conto dell’avvenuta, corretta, instaurazione del contraddittorio tra Agenzia delle Entrate e contribuenti, e della adeguata indicazione nell’atto di accertamento delle ragioni, per le quali erano state disattese le giustificazioni rese dai contribuenti in riferimento ai maggiori ricavi contestati dall’Ufficio;

che, avverso tale pronuncia ricorrono per cassazione la Eagle s.n.c., C.G. e F.E., affidandosi a tre motivi;

che, l’Agenzia delle Entrate si difende con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che, con il primo motivo i ricorrenti lamentano, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, la violazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sotto un duplice profilo: a) omessa valutazione e motivazione in ordine agli elementi forniti dai contribuenti per contestare gli esiti dell’applicazione degli studi di settore; b) contraddittorietà delle valutazioni formulate dal giudice di secondo grado che, pur ammettendo che l’Ufficio aveva parzialmente accolto le doglianze dedotte dai contribuenti nel corso del contraddittorio, è poi pervenuto a contraddire tale assunto, ritenendo adeguate le ragioni che avevano indotto l’Agenzia a disattendere le argomentazioni a difesa addotte dai contribuenti in sede di contraddittorio;

che, con il secondo motivo viene denunciata in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, l’errata applicazione del combinato disposto di cui del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, per non aver considerato la sentenza impugnata, la circostanza che ai fini dell’imposta dei redditi, l’imponibile è dato dalla differenza fra ricavi e correlati costi, di conseguenza l’Ufficio avrebbe dovuto detrarre dai maggiori ricavi presunti (determinati con lo studio di settore) i relativi costi;

che, con il terzo motivo i ricorrenti lamentano in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, la violazione del R.D. n. 12 del 1941, art. 65 e l’insufficiente motivazione, per essersi la sentenza di secondo grado allineata alle determinazioni assunte dall’Agenzia che, in violazione dei principi sanciti in materia dalle SS.UU. di questa Corte, ha omesso di indicare le ragioni per cui i ricavi dei contribuenti non risultavano conformi alle risultanze degli studi di settore;

che, il primo ed il terzo motivo di ricorso appaiono strettamente connessi in quanto hanno per oggetto le valutazioni operate dal giudice di secondo grado in merito al materiale probatorio acquisito nel giudizio di merito, e vanno, pertanto, trattati congiuntamente;

che, non è ravvisabile la contraddittorietà prospettata dalla parte ricorrente nella motivazione della sentenza impugnata, atteso che, pare evidente come il passaggio della sentenza nel quale si dà contezza del contenuto motivazionale dell’accertamento, al di là della poco appropriata espressione – “di aver attentamente vagliato le ragioni per cui le stesse non sono state ritenute parzialmente idonee a giustificare lo scostamento” attesta, seppure implicitamente, dell’esito completamento negativo del vaglio da parte dell’Agenzia delle giustificazioni offerte in sede di contraddittorio dai contribuenti;

che, le censure relative agli, ulteriori, vizi di motivazione risultano inammissibili, in quanto si fondano sul contenuto dell’atto di accertamento, senza correlare, però, i motivi di censura, peraltro prospettati genericamente, alla doverosa allegazione e trascrizione nel ricorso, delle parti dell’accertamento inficiate dal difetto di motivazione ed alla produzione del documento in questione;

che, ciò costituisce palese violazione del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione (detto anche di autosufficienza) che, impone al ricorrente, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, l’onere di indicare specificamente nel ricorso anche gli atti processuali su cui si fonda e di trascriverli nella loro completezza con riferimento alle parti oggetto di doglianza (Cass. n. 14784/2015);

che, parimenti, s’appalesa inammissibile il secondo motivo;

che, infatti, i ricorrenti hanno dedotto solo nel presente giudizio la questione relativa all’omessa deduzione dei costi, ed è consolidato principio quello per cui, qualora nel ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il gravame deve a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già presenti nel thema decidendum del giudizio d’appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione non trattati nella fase di merito nè rilevabili d’ufficio;

che, alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso deve, pertanto, essere rigettato, e le spese del presente giudizio di cassazione liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Agenzia delle Entrate, che liquida in Euro 4500,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 18 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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