Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33265 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/12/2018, (ud. 18/10/2018, dep. 21/12/2018), n.33265

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello M. – Consigliere –

Dott. PERINU Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 15872/2012 R.G. proposto da:

ECOTER SRL, rappresentata e difesa dall’avv. Salvatore Virgone,

elettivamente domiciliata in Roma, in via E. Jenner n. 48, presso lo

studio dell’avv. Pierbiagio Tavaniello.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato.

– controricorrente –

SERIT SICILIA SPA

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Sicilia, sezione n. 1, n. 67/01/11, pronunciata il 24/03/2011,

depositata il 28/04/2011.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18 ottobre

2018 dal Consigliere Riccardo Guida.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Ecoter Srl ricorre, sulla base di tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate e di Serit Sicilia Spa, per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia (in seguito: CTR), in epigrafe, che – in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di una cartella di pagamento (notificata il 16/03/2007) emessa; ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, per il mancato versamento, relativo all’anno d’imposta 2003, di IVA, IRAP e IRPEG regolarmente dichiarate – confermava la sentenza di primo grado, sfavorevole alla contribuente.

Secondo la CTR, infatti: a) diversamente da quanto prospettato dalla società, poichè il controllo automatizzato non aveva prodotto un risultato diverso da quello indicato dalla contribuente nella dichiarazione e, inoltre, non sussisteva alcuna incertezza su aspetti rilevanti della dichiarazione, l’Amministrazione finanziaria non aveva violato alcun obbligo di invitare la stessa società a fornire chiarimenti o a produrre i documenti mancanti; b) l’omessa indicazione del responsabile del procedimento non era causa di nullità della cartella; c) la sentenza di primo grado era congruamente motivata.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso, mentre Serit Sicilia Spa non si è costituita.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Primo motivo di ricorso: “Nullità della sentenza per omessa pronuncia.”.

Si denuncia che la CTR, reiterando la medesima violazione commessa dal giudice di primo grado, avrebbe omesso di pronunciarsi sulle: “doglianze relative alla violazione delle norme afferenti la formazione del ruolo e l’indicazione del numero dello stesso che sembra essere reso esecutivo prima della sua formazione” (cfr. pag. 4 del ricorso per cassazione).

1.1. Il motivo è inammissibile.

Innanzitutto, il rilievo in esso contenuto non risulta essere stato dedotto nel giudizio di merito; al riguardo è opportuno ricordare che, secondo l’orientamento pacifico di questa Corte, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. 26/03/2012, n. 4787).

Il contribuente, per evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione dinanzi al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 16/06/2017, n. 15029; 31/01/2006, n. 2140).

D’altro canto, la censura, per com’è formulata, è anche priva dei caratteri della tassatività e della specificità che, secondo il consolidato indirizzo della Corte, costituiscono requisiti essenziali dei “motivi di ricorso”.

Invero, il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito. Ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 c.p.c., sicchè è inammissibile la critica generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleate dal codice di rito. (Cass. 14/05/2018, n. 11603).

2. Secondo motivo: “Violazione art. 360 c.p.c., comma 5. Insufficiente. Omessa motivazione in ordine all’eccepita violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis. Sulla violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36-bis, comma 3, – Violazione e falsa applicazione dello Statuto del contribuente, art. 6”.

Si fa valere il vizio della sentenza impugnata per non avere rilevato la nullità della cartella di pagamento emessa senza che prima l’Amministrazione finanziaria avesse provveduto, come prescritto (appunto) a pena di nullità, a invitare la contribuente a fornire i necessari chiarimenti o a produrre i documenti mancanti.

2.1. Il motivo è infondato.

L’Amministrazione finanziaria non era obbligata a provocare il contraddittorio preventivo con la contribuente, mediante l’invito a fornire chiarimenti o a produrre i documenti mancanti, come prescritto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6,comma 5, prima dell’iscrizione a ruolo della pretesa tributaria, in quanto – la circostanza non è contestata – il controllo automatizzato ex art. 36-bis cit. aveva rilevato (semplicemente) l’omesso versamento, da parte della società, di varie imposte regolarmente dichiarate.

3. Terzo motivo: “Violazione e falsa applicazione delle norme relative alla riscossione – violazione e falsa applicazione delle norme sulla trasparenza, sulla chiarezza e sulla motivazione degli atti tributari.”.

L’ultima censura si appunta sull’errore di diritto commesso dalla CTR nel negare che l’omessa indicazione del responsabile del procedimento, nella cartella impugnata, sia causa di nullità, come espressamente previsto dal D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4-ter, “in vigore dal 01.03.2008”; la contribuente, inoltre, dubita della legittimità costituzionale della L. 28 febbraio 2008, n. 31, art. 36, nella parte in cui esclude, espressamente, che la mancata indicazione del responsabile del procedimento, nelle cartelle di pagamento relative ai ruoli consegnati prima del 1/06/2008, ne determini la nullità.

3.1. Il motivo è infondato.

E’ il caso di rimarcare che il rigetto, da parte della CTR, della censura della contribuente di nullità della cartella per omessa indicazione del responsabile del procedimento, si colloca nel solco del consolidato indirizzo della Corte, al quale il Collegio intende aderire, che ha avuto modo di precisare che: “L’indicazione del responsabile del procedimento negli atti dell’Amministrazione finanziaria non è richiesta, dalla L. n. 212 del 2000, art. 7, a pena di nullità, in quanto tale sanzione è stata introdotta per le cartelle di pagamento dal D.L. n. 248 del 2007, art. 36, comma 4-ter, conv., con modif., dalla L. n. 31 del 2008, applicabile soltanto alle cartelle riferite ai ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1 giugno 2008.” (Cass. sez. un. 14/05/2010, n. 11722; Cass. 12/05/2017, n. 11856).

A ciò si aggiunga che la Corte costituzionale, con sentenza n. 58/2009, ha disatteso i rilievi d’incostituzionalità delle disposizioni normative che prevedono la necessità di tale adempimento, a pena di nullità, esclusivamente con riferimento alle cartelle di pagamento relative a ruoli consegnati agli agenti della riscossione a decorrere dal 1/06/2008.

4. Ne consegue il rigetto del ricorso.

5. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Cassazione rigetta il ricorso; condanna la contribuente a pagare all’Agenzia delle entrate le spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 6.000,00, a titolo di compenso, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 18 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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