Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3326 del 11/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 11/02/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 11/02/2020), n.3326

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18504-2018 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, rappresentata e difesa dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO

STATO, presso la quale è domiciliata in Roma, alla via dei

Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

P.R. COSTRUZIONI di M.R. e S.P., in persona

del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza n. 3352/04/2017 della Commissione tributaria

regionale della CALABRIA, depositata in data 12/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 23/10/2019 dal Consigliere LUCIOTTI Lucio.

Fatto

RILEVATO

che:

1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di recupero di un credito d’imposta emesso dall’Agenzia delle entrate nei confronti della società contribuente per indebita compensazione di crediti IVA relativi agli anni 2003 e 2004, che l’amministrazione finanziaria riteneva inesistenti, con la sentenza impugnata la CTR rigettava l’appello proposto dall’Ufficio condividendo la decisione dei giudici di primo grado circa l’applicabilità nella specie del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., non avendo l’Ufficio contestato la documentazione prodotta dalla società contribuente a prova della sussistenza dei crediti IVA.

2. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’Agenzia delle entrate con due motivi, cui non replica l’intimata.

3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo, dedotto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, sub specie di motivazione apparente, in violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36.

2. La censura è fondata.

3. Questa Corte ha più volte affermato che il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (art. 111 Cost., comma 6), e cioè dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell’omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l’iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata; l’obbligo del giudice “di specificare le ragioni del suo convincimento”, quale “elemento essenziale di ogni decisione di carattere giurisdizionale” è affermazione che ha origine lontane nella giurisprudenza di questa Corte e precisamente alla sentenza delle sezioni unite n. 1093 del 1947, in cui la Corte precisò che “l’omissione di qualsiasi motivazione in fatto e in diritto costituisce una violazione di legge di particolare gravità” e che “le decisioni di carattere giurisdizionale senza motivazione alcuna sono da considerarsi come non esistenti” (in termini, Cass. n. 2876 del 2017; v. anche Cass., Sez. U., n. 16599 e n. 22232 del 2016 e n. 7667 del 2017 nonchè la giurisprudenza ivi richiamata).

3.1. Alla stregua di tali principi consegue che la sanzione di nullità colpisce non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione dal punto di vista grafico (che sembra potersi ritenere mera ipotesi di scuola) o quelle che presentano un “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e che presentano una “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (cfr. Cass. S.U. n. 8053 del 2014; conf. Cass. n. 21257 del 2014), ma anche quelle che contengono una motivazione meramente apparente, del tutto equiparabile alla prima più grave forma di vizio, perchè dietro la parvenza di una giustificazione della decisione assunta, la motivazione addotta dal giudice è tale da non consentire “di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato” (cfr. Cass. n. 4448 del 2014), venendo quindi meno alla finalità sua propria, che è quella di esternare un “ragionamento che, partendo da determinate premesse pervenga con un certo procedimento enunciativo”, logico e consequenziale, “a spiegare il risultato cui si perviene sulla res decidendi” (Cass. cit.; v. anche Cass., Sez. un., n. 22232 del 2016 e la giurisprudenza ivi richiamata).

3.2. Deve quindi ribadirsi il principio più volte affermato da questa Corte secondo cui la motivazione è solo apparente – e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo – quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U, Sentenza n. 22232 del 2016, Rv. 641526-01; conf. Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 14927 del 2017).

4. In tale grave forma di vizio incorre anche la sentenza che, come nel caso di specie, opera un espresso quanto immotivato rinvio per relationem alla sentenza di primo grado. Al riguardo questa Corte (cfr. Cass. n. 22022 del 2017) “ha ripetutamente statuito che la motivazione per relationem è valida a condizione che i contenuti mutuati siano fatti oggetto di autonoma valutazione critica e le ragioni della decisione risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo (Cass., S.U. 14814/08 e 642/15), specificando che il giudice d’appello è tenuto ad esplicitare le ragioni della conferma della pronuncia di primo grado con riguardo ai motivi di impugnazione proposti (Cass. sez. V, nn. 4780/16, 6326/16; Cass. S.U. n. 8053/14; conf. ex multis, Cass. sez. V, nn. 16612/15, 15664/14, 12664/12, 7477/11, 979/09, 13937/02), sicchè deve considerarsi nulla – in quanto meramente apparente una motivazione la cui laconicità non consenta di appurare, come nel caso di specie, che alla condivisione della decisione di prime cure il giudice d’appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame, previa specifica ed adeguata considerazione delle allegazioni difensive, degli elementi di prova e dei motivi di appello proposti (ex multis Cass. sez. V, nn. 3320/16, 25623/15, 1573/07, 2268/06, 25138/05, 13990/03, 3547/02)”.

5. Nella fattispecie il rinvio che la CTR opera alla sentenza di prime cure – per avere “correttamente” accolto il ricorso della società contribuente sull’accertata “sussistenza dei crediti IVA che erano stati oggetto di contestazione, in forza di valida documentazione prodotta dalla ricorrente” ed in applicazione del principio di non contestazione, in quanto quella documentazione “non era stata oggetto di specifica contestazione”, è fatto in evidente ed insanabile difformità ai sopra citati arresti giurisprudenziali, essendosi i giudici di appello limitati a condividere la sentenza appellata, senza alcuna valutazione critica del motivo di appello proposto al riguardo dall’Agenzia delle entrate (per autosufficienza trascritto nel ricorso), peraltro, neppure sommariamente riferito, contenente specifiche censure alla sentenza di primo grado, e senza neppure dare atto della natura e della idoneità della documentazione prodotta dalla società contribuente a dimostrare la sussistenza dei crediti IVA che l’amministrazione finanziaria aveva negato con l’emissione dell’atto impugnato, in tal modo non consentendo di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata.

6. La motivazione in esame si pone anche al di sotto del minimo costituzionale nella prospettiva di cui a Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014 (secondo cui “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”).

7. Il secondo motivo, con cui la ricorrente deduce la violazione del principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., resta all’evidenza assorbito, ancorchè non possa questa Corte esimersi dal rilevare che, anche là dove l’amministrazione finanziaria non avesse contestato la documentazione prodotta dalla società contribuente, era comunque onere del giudici di merito verificarne la portata dimostrativa e darne specifica contezza in motivazione.

8. In estrema sintesi, va accolto il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR perchè provveda a riesaminare la vicenda, fornendo adeguata e congrua motivazione, ed alla regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Calabria, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2020

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