Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33253 del 21/12/2018

Cassazione civile sez. trib., 21/12/2018, (ud. 19/09/2018, dep. 21/12/2018), n.33253

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – Maria –

Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. MENGONI Enrico – rel. Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI Maria Giulia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 13945/2012 proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende.

– ricorrente –

contro

Immobiliare Vittoria s.r.l. in persona del liquidatore;

– intimata –

V.C.;

– intimato –

S.G.:

– intimato –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia Romagna, n. 57/15/2011, depositata il 13/4/2011.

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

19/9/2018 dal consigliere Enrico Mengoni.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 13/4/2011, la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in riforma della pronuncia n. 76/03/2008 emessa dalla Commissione tributaria provinciale di Forlì, accoglieva l’appello proposto da Immobiliare Vittoria s.r.l. in liquidazione avverso il diniego dell’Agenzia delle Entrate ad un rimborso IVA richiesta il 16/2/2007; a giudizio del Collegio, l’istanza avanzata sarebbe soggetta al termine prescrizionale ordinario decennale, non a quello di decadenza biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, sì che l’Agenzia delle Entrate non avrebbe dovuto negare il rimborso medesimo.

2. Ha proposto ricorso per cassazione la stessa Agenzia delle Entrare, affidato a due motivi ai quali non vi è risposta.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2495 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Premesso che la contribuente era stata cancellata dal registro delle imprese nel 2002, dovendo quindi ritenersi estinta il 1/1/2004 (come da sentenze Sez. U, nn. 4060, 4061 e 4062 del 2010), e che la l’istanza di rimborso IVA era stata avanzata nel 2007 dal liquidatore, che aveva poi proposto ricorso avverso il diniego; tutto ciò premesso, la ricorrente afferma che l’istanza medesima non avrebbe potuto esser proposta dal liquidatore, poichè al momento la società era già estinta, nè il giudizio avrebbe potuto esser instaurato. Tale legittimazione, peraltro, non sarebbe spettata neppure ai singoli soci, che, con la cancellazione, non risponderebbero più dei debiti sociali, così non potrebbero più promuovere azioni per il recupero dei crediti sociali.

Il motivo è fondato.

Osserva il Collegio, infatti, che la società è stata cancellata dal registro delle imprese fin dall’8/5/2002, come dedotto nel ricorso;

che come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, la cancellazione delle società di persone e di capitali dal registro delle imprese determina l’immediata estinzione della società, indipendentemente dall’esaurimento dei rapporti giuridici ad essa facenti capo, soltanto nel caso in cui tale adempimento abbia avuto luogo in data successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 6 del 2003, art. 4(1 gennaio 2004), che, modificando l’art. 2495 c.c., comma 2, ha attribuito efficacia costitutiva alla cancellazione (Cass., Sez. U., 12 marzo 2013, n. 6070). Al riguardo, peraltro, si richiama anche Sez. 1, n. 26196 del 19/12/2016, Rv. 642761, in forza della quale in tema di società, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2495 c.c., comma 2, come modificato dal D.Lgs. n. 6 del 2003, nella parte in cui ricollega alla cancellazione dal registro delle imprese l’estinzione immediata delle società di capitali, impone un ripensamento della disciplina relativa alle società commerciali di persone, in virtù del quale la cancellazione, pur avendo natura dichiarativa, consente di presumere il venir meno della loro capacità e soggettività limitata, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali, rendendo opponibile ai terzi tale evento contestualmente alla pubblicità, nell’ipotesi in cui essa sia stata effettuata successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 6 del 2003, e con decorrenza dall’1 gennaio 2004 ove abbia avuto luogo in data anteriore;

che a seguito dell’estinzione della società, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, viene a determinarsi un fenomeno di tipo successorio, in forza del quale i rapporti obbligatori facenti capo all’ente non si estinguono ma si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda del regime giuridico dei debiti sociali cui erano soggetti durante la vita della società. Ne discende che i soci peculiari successori della società, subentrano, altresì, nella legittimazione processuale facente capo all’ente (Cass., Sez. U., n. 6070 del 2013);

che, nel caso concreto, essendo la cancellazione della società stata effettuata in data 8/5/2002, la sua capacità processuale era venuta meno, per effetto dell’estinzione della stessa a seguito della cancellazione, già prima dell’instaurazione del giudizio di primo grado, definito con sentenza della CTP di Forlì n. 76/03/2008;

che la cancellazione dal registro delle imprese, con estinzione della società prima dell’instaurazione del giudizio di primo grado, determina il difetto della sua capacità processuale e il difetto di legittimazione a rappresentarla dell’ex liquidatore, sicchè eliminandosi ogni possibilità di prosecuzione dell’azione, consegue l’annullamento senza rinvio, ex art. 382 c.p.c., della sentenza impugnata con ricorso per cassazione, ricorrendo un vizio insanabile originario del processo, che avrebbe dovuto condurre da subito ad una pronuncia declinatoria di merito (in tema di contenzioso tributario: Cass. 31 gennaio 2017, n. 2444; Cass. 23 marzo 2016, n. 5736; Cass. 28 novembre 2014, n. 25275; Cass. 8 ottobre 2014, n. 21188);

che resta dunque assorbito l’esame del secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 30 e 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. (Si lamenta che, contrariamente all’assunto di cui alla sentenza impugnata, la richiesta di rimborso IVA dovrebbe esser proposta mediante apposito modello VR – nella vicenda in esame pacificamente non presentato – nel quale il contribuente dovrebbe barrare la casella corrispondente alla causale del rimborso; presentazione che, dunque, costituirebbe un adempimento indispensabile, anche nel caso di cessazione di attività, e non una mera irregolarità formale, surrogabile con una l’indicazione del credito in dichiarazione, come da giurisprudenza di questa Corte. Il mancato rispetto del modello legale, nei termini appena richiamati, comporterebbe dunque l’attrazione della fattispecie nella norma di carattere residuale, quale D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, comma 2, con il termine biennale di decadenza per la presentazione dell’istanza;

che il consolidamento dell’indirizzo di legittimità in epoca successiva alla proposizione del ricorso per cassazione comporta la compensazione delle spese delle fasi di merito e del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e cassa senza rinvio la sentenza impugnata.

Compensa tutte le voci di spesa.

Così deciso in Roma, il 19 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 21 dicembre 2018

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