Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 33250 del 16/12/2019

Cassazione civile sez. VI, 16/12/2019, (ud. 22/10/2019, dep. 16/12/2019), n.33250

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – rel. Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 10719/2018 R.G. proposto da:

S.M., rappresentato e difeso dall’Avv. Andrea Guido, con

domicilio eletto in Roma, piazza Cavour, presso la Cancelleria

civile della Corte di cassazione;

(Ammesso p.s.s. Delib. 8 marzo 2018 Cons. Ord. Avv. Genova);

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Genova n. 201/18

depositata il 7 febbraio 2018;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 22 ottobre

2019 dal Consigliere Mercolino Guido.

Fatto

FATTO E DIRITTO

Rilevato che S.M., cittadino del Mali, ha proposto ricorso per cassazione, per due motivi, avverso la sentenza del 7 febbraio 2018, con cui la Corte d’appello di Genova ha rigettato il gravame da lui interposto avverso l’ordinanza emessa il 30 gennaio 2017 dal Tribunale di Genova, che aveva rigettato la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e, in subordine, della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari proposta dal ricorrente;

che il Ministero dell’interno ha presentato controdeduzioni.

Considerato che è inammissibile la costituzione in giudizio del Ministero, avvenuta mediante il deposito di un foglio di controdeduzioni sottoscritto dal Presidente della Commissione territoriale competente, anzichè con controricorso sottoscritto da un Avvocato dello Stato e notificato alla controparte, non trovando applicazione, in sede di legittimità, la disposizione di cui al D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 19, comma 7, che, limitatamente al giudizio di primo grado, consente all’Amministrazione di stare in giudizio avvalendosi direttamente di propri dipendenti o di un rappresentante designato dalla Commissione che ha adottato l’atto impugnato;

che con il primo motivo d’impugnazione il ricorrente denuncia l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che, nel ritenere insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, la sentenza impugnata ha omesso di valutare le più recenti fonti internazionali, da cui risultava la situazione di violenza indiscriminata in atto nell’intero territorio del suo Paese di origine, nonchè di tener conto dell’impossibilità di scegliere la zona del Paese in cui egli avrebbe dovuto fare ritorno;

che nella parte concernente il ricorso alle fonti internazionali, il motivo è inammissibile, avendo la Corte territoriale giustificato il proprio apprezzamento mediante un puntuale richiamo alle informazioni risultanti dalle Linee guida dell’UNHCR relative al Mali, accompagnato da articolate considerazioni riguardanti l’estraneità delle regioni meridionali al conflitto armato in atto nel Paese e l’individuazione dei cittadini stranieri come obiettivo degli atti terroristici posti in essere nella capitale Bamako;

che, nel contestare la predetta valutazione, il ricorrente si limita ad invocare reports più recenti, dai quali emergerebbe la situazione d’insicurezza riguardante l’intero Paese di origine, senza tuttavia indicarli specificamente e senza trascriverne almeno le parti salienti nel ricorso, in tal modo dimostrando di voler sollecitare, attraverso l’apparente deduzione del vizio di motivazione, una nuova valutazione dei fatti già presi in esame dalla sentenza impugnata, non consentita a questa Corte, alla quale non spetta di riesaminare il merito della controversia, ma solo quello di verificare la correttezza giuridica delle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, nonchè la coerenza logica delle stesse, nella misura in cui le relative anomalie sono ancora deducibili come motivo di ricorso per cassazione, ai sensi del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134 (cfr. Cass., Sez. VI, 7/12/2017, n. 29404; Cass., Sez. V, 4/08/2017, n. 19547);

che nella parte riguardante l’individuazione della zona di rimpatrio, il motivo è invece infondato, in quanto il mancato recepimento dell’art. 8 della direttiva 2004/83/CE del 29 aprile 2004, che consente agli Stati membri di escludere l’accesso alla protezione internazionale ove sia ragionevole aspettarsi che il richiedente si stabilisca in una parte del territorio del Paese di origine dove non abbia fondati motivi di temere di essere perseguitato o non corra rischi effettivi di subire danni gravi, non comporta necessariamente l’applicabilità della misura anche nel caso in cui, come nella specie, il richiedente provenga da una regione o un’area interna sicura, per il solo fatto che nello stesso Paese vi siano anche altre regioni o aree insicure (cfr. Cass., Sez. I, 15/05/2019, n. 13088; 7/11/2018, n. 28433);

che con il secondo motivo il ricorrente deduce l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nel rigettare la domanda di riconoscimento della protezione umanitaria, la sentenza impugnata non ha tenuto conto della situazione di particolare vulnerabilità in cui egli versa, a causa delle sue condizioni di povertà e della situazione d’instabilità che caratterizza il suo Paese di origine, nonchè del percorso d’integrazione nel tessuto sociale italiano da lui avviato e delle traversie sopportate nel percorso migratorio;

che il motivo è infondato, avendo la sentenza impugnata correttamente rilevato che il ricorrente, oltre a godere di buona salute, non gode ancora di uno stabile inserimento sociale in Italia, risultando privo di legami familiari ed affettivi, non avendo imparato la lingua italiana e non essendo titolare di una stabile occupazione;

che la valutazione della condizione di vulnerabilità che giustifica il riconoscimento della protezione umanitaria dev’essere infatti ancorata ad una valutazione individuale, caso per caso, della vita privata e familiare del richiedente in Italia, comparata alla situazione personale che egli ha vissuto prima della partenza ed alla quale egli si troverebbe esposto in conseguenza del rimpatrio, poichè, in caso contrario, si prenderebbe in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo Paese di origine, in termini del tutto generali ed astratti, in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (cfr. Cass., Sez. VI, 3/04/2019, n. 9304);

che il ricorso va pertanto rigettato, senza che occorra provvedere al regolamento delle spese processuali, avuto riguardo all’irrituale costituzione dell’intimato.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso dallo stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 dicembre 2019

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